Il conte di Cagliostro nella Fortezza di San Leo
La prolungata e sofferta detenzione del conte di Cagliostro nella Fortezza di San Leo, cui giunse verso il mezzodì del giorno 21 aprile 1791 dopo un travagliato viaggio di cinque giorni da Roma, accompagnato dall’Aiutante Grilloni con quattro soldati del Reggimento “dé Corsi”, fu resa ancor più difficile dall’ingiusto trattamento e dalle vessazioni alle quali fu sottoposto da parte del Comandante della Fortezza, il Castellano conte Sempronio Semproni, aiutato dal Tenente Pietro Gardini, ufficiale preposto alla truppa, e dalle guardie poste a difesa e custodia della Rocca. A ciò va aggiunto che, dopo un breve soggiorno nella stanza denominata del “Tesoro”, il conte fu rinchiuso definitivamente nella cella della Fortezza, definita il “Pozzetto” per le sue caratteristiche,e oggi conosciuta come la “Cagliostrina di San Leo”. Questa, lunga 3,40 metri e larga 3 metri con un’altezza di 3 metri, aveva un solo accesso dall’alto attraverso una botola, o “cateratta”, costituita da due finestrelle di diverse dimensioni, che si potevano aprire separatamente; dalla più piccola veniva calato il cibo, mentre, sollevando la più grande, si poteva scendere tramite una scaletta di 15 gradini. Nella parete subito sotto la volta, dal lato della botola, c’e un ampio spioncino che consentiva alle guardie di controllare i suoi movimenti in quasi tutto lo spazio della stanza. Oggi, un’apertura laterale (che prima non esisteva) consente ai turisti di entrare agevolmente nell’angusta cella. In questa cella, nella quale il conte visse per quattro anni, quattro mesi e cinque giorni, ricavata al centro di un torrione nel lato nord-ovest del Forte, c’era una sola finestra sempre aperta di 30 per 70 centimetri, a volte malamente e pietosamente velata da “una tela oliata”, scavata nel muro profondo 1,25 metri, e chiusa da una triplice grata di ferro. Il conte, esposto così a tutte le avversità del clima, doveva sopportare anche il disagio dell’acqua che trasudava dalle pietre grezze che ne costituivano le pareti. A quel tempo, il muro era anche rivestito da un sottile intonaco, sul quale il conte poté incidere delle frasi. Tra queste, alcune hanno un profondo significato esoterico, e forse furono da lui usate per un rituale magico; purtroppo, la parete è stata completamente raschiata e ripulita da ogni segno già da parecchi decenni, per cui oggi si presenta completamente spoglia. Tuttavia, il testo è stato ricopiato su carta, ed è tuttora consultabile negli Archivi. E’ doveroso ricordare che, oltre all’umidità perenne in quell’angusto spazio, gli inverni a S. Leo erano, e sono ancora, lunghi e rigidi. Sono state addirittura riportate, in quel periodo, specie nel 1795, temperature che raggiunsero i -20 gradi! Da questa finestra si poteva scorgere il Duomo con il Campanile e il Cimitero, quasi a invogliare i suoi pensieri solo al pentimento e ai cattivi auspici. Raramente filtrava, nelle belle giornate, un timido sole, come se anche questo avesse il timore di raffreddare i propri raggi in quella buia spelonca. Tuttavia, il conte “come torre si ergeva di fronte all’altra torre!” Qui, ingiustamente accusato e illecitamente condannato per crimini non commessi, tra i quali il reato di Eresia, il conte di Cagliostro visse una penosa esistenza fino alla presunta morte dichiarata il giorno 26 agosto 1795, subendo maltrattamenti di ogni sorta da parte degli sbirri papalini. Fu l’ultima grande vittima del Tribunale della Santa Inquisizione Romana.
Abstract dal libro di Tommaso De Chirico: il conte di Cagliostro nel suo tempo, 2° volume della trilogia sul conte di Cagliostro, Ed. Mnamon, Milano, 2014
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