Domenico Cimarosa e l’inno al veleno
Esponente dell’Opera Buffa del tardo Settecento, Domenico Cimarosa, aversano di nascita, ma napoletano di adozione, nel 1799 musicò l’inno della Repubblica Napoletana sulle parole di Luigi Rossi. Fu l’unica volta che il musicista aversano si firmò con la doppia consonante ‘M’ nel cognome, secondo la pronuncia napoletana, forse intensificare la sua appartenenza a quel popolo che andava acquistando la sua sovranità repubblicana. L’inno fu eseguito la prima volta, il 19 maggio del 1799, in Largo del Palazzo (attuale piazza del Plebiscito) in occasione della festa dell’Albero della Libertà. Applauditissimi e soddisfatti furono gli autori della composizione che si esibirono in una piazza gremita di persone. Ma quel momento di gloria sarebbe loro costato la vita. Con il ritorno del tiranno borbone e la caduta della Repubblica Luigi Rossi fu condannato a morte, mentre Cimarosa, il 9 dicembre fu arrestato e rinchiuso nelle prigioni di Stato di Santa Maria Apparente. Fu liberato quattro mesi più tardi grazie ai buoni uffici del suo protettore allievo, il cardinale Consalvi, segretario di Stato di Pio XI. Secondo lo storico Carlo Botta, il Cimarosa tornò in libertà grazie ad alcuni soldati e ufficiali russi, ammiratori del suo genio musicale, una ipotesi che trova riscontro in un dipinto di Raffaele Tancredi conservato nella Galleria d’Arte Moderna di Firenze. Subito dopo la liberazione, il musicista si affrettò a lasciare Napoli, rifugiandosi a Venezia, dove però l’11 gennaio del 1801, morì a causa di una violenta colica epatica, secondo la versione ufficiale; secondo altre fonti fu avvelenato dagli emissari della regina di Napoli la cui vendetta, non avrebbe risparmiato l’autore dell’inno repubblicano. Sei giorni dopo la città lagunare gli rese un primo significativo omaggio con la rappresentazione dell’Artemisia al teatro “La Fenice”.
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