La ‘Democrazia’ nelle Repubbliche Italiane di fine ‘700
Il concetto di democrazia animò la lingua di una politica non più teorica e limitata alla ragione di Stato, bensì legata al quotidiano problema del rapporto con le istituzioni vigenti. Il termine “democrazia”, con tutta la sua famiglia etimologica, divenne il lessema centrale nei discorsi pubblici e negli scritti dei patrioti rivoluzionari democratici di fine Settecento. Giuseppe Compagnoni, costituzionalista e letterato del periodo, scrisse che, nel gergo della politica, la parola democrazia affermava un nuovo modo di visione della società in opposizione ai vecchi governi e del pari assorbiva i valori prima legati al lemma “liberale”. Essere buon democratici assunse il significato di agire per la libertà e l’uguaglianza e nel contempo di lottare contro l’Antico Regime, che era la negazione assoluta di quei principi, già fatti propri dalla Rivoluzione Americana del 1776 e da quella francese del 1789. La prima Costituzione Repubblicana Italiana, quella di Bologna del 1796, proclamava all’Articolo 1 che “i diritti dell’uomo vivente in Società sono la libertà, l’uguaglianza, la sicurezza, la proprietà”. L’Articolo 2 chiariva che “la libertà civile consiste nel poter far tutto ciò che non è vietato dalla legge”, una definizione che risentiva del pensiero di Hobbes, ma era anche controbilanciata dall’enfasi repubblicana sull’autogoverno mediante l’attiva partecipazione dei cittadini. I suddetti principi furono successivamente riaffermati e ben delineati dalla Carta costituzionale della Repubblica Napoletana del 1799 che, come scrisse Vincenzo Cuoco, fu “migliore la certo delle costituzioni ligure, romana, cisalpina”. Il 'Progetto Costituzionale' fu opera di Mario Pagano e fece tesoro del grande patrimonio dell’illuminismo italiano, di cui Napoli costituì l’avanguardia. La rivoluzione francese aveva avuto la sua innegabile valenza ispiratrice ma, rimarcando alcune specificità dell’esperienza italiana, si evidenzia quella del contrasto al potere temporale della Chiesa Cattolica. Nella prima Costituzione Repubblicana Italiana, quella di Bologna del 1796, il Senato, contrariamente al giusto pensiero dei rivoluzionari francesi, incluse, tra i doveri del cittadino, non solo “la conservazione della religione cattolica romana”, ma cercò di includere l’esclusione dei non cattolici dagli uffici pubblici. La Repubblica Romana del 1798 fu più determinata nella concessione della libertà di culto; riconobbe la libertà civile agli ebrei, abolì il ghetto, suscitando il risentimento come sempre degli ambienti fanatici che si espresse con la rivolta del 25 febbraio 1798 a Trastevere, dove fu più forte l’influenza delle gerarchie vaticane che ostacolavano il processo di libertà religiosa.
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