Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Una lapide alla memoria della gloriosa bestialità

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‘Nel tempo dell'inganno universale dire la verità è un atto rivoluzionario’, avrebbe ribadito George Orwell, prestando giusto un attimo di attenzione a  critiche filo borboniche a dir poco ridicole e richieste che rasentano l’assurdo. Ma giusto un attimo, perché certe cose non le si riesce nemmeno ad ascoltare per una istintiva repulsione  alla laida manovra che serpeggia a scapito di gente credulona e di facile raggiro.

Remare contro una becera ‘contro storia’ che vorrebbe sconfessare verità documentate, infangando miti ed ideali su cui, intrisa di sangue umano,  è stata costruita la nostra Repubblica italiana, è un’opera civile e meritevole che non teme attacchi fangosi.

Stravolgere la storia, catapultando vittime e carnefici è un atto non solo immorale, ma deplorevole, delinquenziale e tipico di chi, per velleità personali, vuole a tutti i costi ottenere un cono di luce da cui espandere ed ottenere potere.

L’articolo 292 del Codice penale italiano punisce il vilipendio alla bandiera italiana, considerato un reato che offende pubblicamente valori tutelati dalla legge.

Ciononostante  dei  loschi personaggi reiterano questo reato ogni giorno, alcuni addirittura con il malsano esercizio dell’insegnamento della storia nelle scuole, usufruendo dei soldi dello  Stato per imbottire di false ideologie dei poveri malcapitati ragazzi che si sentono inculcare nelle menti delle illusorie memorie di antiche grandezze risalenti ad un’epoca monarchica, per nostra fortuna, morta e sepolta da oltre 150 anni. E come se ciò non bastasse il vilipendio prosegue anche fuori delle mura scolastiche, molto spesso sui network da dove è facile richiamare l’attenzione  di un certo tipo di utenti che vanno alla ricerca  di qualcosa in cui credere.

Una forma, questa, di coercizione mentale che trova terreno fertile in una pietosa ignoranza dilagante che si trasforma in strumento di conquista nelle mani di chi, scaltramente, muove i fili del deplorevole teatrino.

La Repubblica italiana è costituita da cittadini che conoscono e rispettano le leggi dello Stato ed anche la sua storia. Chi non si sente onorato di appartenere ad una Repubblica libera e democratica evidentemente non ne ha compreso i sacri principi, non concepisce l’universalità dei ‘Diritti dell’uomo’, quegli stessi diritti per  i quali i  Repubblicani di Napoli del 1799 furono giustiziati per mano dei borbone.

E non furono un centinaio, bensì migliaia. In piazza Mercato, tra luglio del ’99 al settembre del 1800, furono giustiziati e resi noti  solo i nomi dei  martiri ‘illustri’, coloro che avevano partecipato attivamente alla Repubblica nella capitale, ma  in tanti dimenticano le stragi che avvennero nelle province, sia per mano degli anarchici che dei mercenari del Cardinale Ruffo.

E’ storia risaputa, e fin troppo documentata per essere stravolta,  quella del reclutamento della peggiore delinquenza allo scopo di riportare il borbone Ferdinano IV sul trono di Napoli, dopo che per sei mesi se ne era stato vilmente nascosto con la sua famiglia a Palermo. In tanti dimenticano la sua fuga da Napoli il 24 dicembre 1798, impaurito dalla venuta dei francesi. Fu una fuggi fuggi vigliacco in un mare in tempesta, dove trovò la morte anche uno dei suoi figli, un altro futuro tiranno verso il quale indecorosamente si vorrebbe attirare della falsa pietà.

Ferdinando IV prosciugò le casse del regno, si fece consegnare ori ed argenti dalle famiglie nobili per salvarsi la pelle con la sua corrotta corte. Fu una vergognosa fuga che costò migliaia di vittime tra un popolo che si trovò senza difesa militare, senza cibo, abbandonato al suo destino dal loro amato re in condizioni disumane. In molti dimenticano, o fingono di dimenticare, o peggio, vorrebbero stravolgere un’altra verità inconfutabile che vide protagonisti migliaia di  lazzari napoletani imbestialiti da una criminale anarchia che li portò a saccheggiare case, a violentare donne, ad uccidersi tra loro e ad accanirsi contro chi tentò di ristabilire un ordine, una forma di governo: i nostri repubblicani,appunto,  i nostri martiri del 1799.

La Repubblica napoletana venne coraggiosamente  proclamata il 23 gennaio del 1799, un mese dopo la fuga del dispotico sovrano borbone ed i francesi, sentiti allora come liberatori in un paese avvolto dalle fiamme dell’inferno, arrivarono qualche giorno dopo, facendosi strada tra lazzari indemoniati, incattiviti dalla fame e dalla miseria in cui li aveva lasciati il loro ‘re nasone’. Ed una rivoluzione fa vittime, questo è risaputo, soprattutto se quel genere umano era stato abituato a sopravvivere come bestie e come tali a difendersi ed a divorare i cadaveri dei nemici.

Ogni liberatore era un nemico, ogni lazzaro uccideva per se stesso, per fame, per sopravvivenza, con una ferocia sprigionata dopo tanti e tanti anni di sottomissione al padrone di turno.

E’ chiaro che una volta costituita una forma di governo questa fece fatica per essere accettata tra siffatta gente oramai lasciata allo stato brado. Questo spiega le difficoltà che i repubblicani del ’99 trovarono nel farsi comprendere ed accettare dalla plebe.

‘La plebe deve essere educata a divenire popolo’ implorava  Eleonora de Fonseca Pimentel dalle pagine del Monitore Napoletano. Ma purtroppo erano troppo poche numericamente quelle ‘anime illuminate’ che tentarono di spiegare l’alto valore della Libertà e della Democrazia  a gente abituata a vivere sotto i calci di un padrone.

E purtroppo ancora oggi,  a distanza di secoli,  nel loro ricordo, i nostri patrioti del 1799 fanno fatica a farsi comprendere  da quella ‘plebe’rimasta  numericamente superiore, ma mentalmente ancora tanto, troppo inferiore. Se meritano una lapide costoro, va data alla memoria della loro gloriosa  bestialità.

 

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