Complessità del reale
Sembra facile parlare della realtà che ci circonda. Il concetto, e il termine che a esso si riferisce, sono usati con tale frequenza che spesso li inseriamo nel discorso senza neppure pensarci. Mi si conceda allora un gioco di parole: “in realtà” le cose non sono affatto così scontate, e cerco di spiegarmi con parole semplici. Un conto è la realtà che sperimentiamo ogni giorno, composta da tavoli, case, esseri umani etc., sulla quale tutti più o meno concordiamo essendo oggetto della nostra esperienza diretta. Un altro è quella che ci propone la scienza contemporanea, in primo luogo la fisica. Qui la concordanza sparisce poiché gli scienziati forniscono un’immagine del mondo lontanissima – per non dire alternativa – all’immagine del senso comune. Il problema è capire sino a che punto ciò che dice la scienza è credibile, e già porsi un simile quesito equivale, per i sostenitori dell’assoluta validità dell’immagine scientifica, a una bestemmia. Eppure anche il fisico teorico americano Lee Smolin, nel suo libro “Time Reborn”, ha scritto che molti dei più profondi misteri riguardanti l’universo potrebbero essere risolti riallineando la fisica ad alcune intuizioni comunissime, per esempio la convinzione che il fluire del tempo sia davvero reale. Sembra un’osservazione scontata, ma non lo è affatto per i fisici che adottano un paradigma in cui il tempo è, invece, illusorio. Sentiamo il ticchettio degli orologi, percepiamo il susseguirsi delle stagioni, ci accorgiamo giorno dopo giorno di invecchiare. Come può la scienza dire che si tratta di illusioni? Secondo Smolin tutto inizia con l’idea che la natura sia governata da leggi eterne come quella newtoniana di gravità, ovvero da principi che stanno al di là del tempo. Di qui la ricerca spasmodica di una “teoria del tutto” o, per dirla con il fisico premio Nobel Steven Weinberg, del sogno di “una teoria finale”. Detta teoria sarebbe in grado di spiegare l’intera storia naturale dal big bang all’istante attuale. Mette però conto notare che, procedendo su questa strada, si presuppone che leggi e principi precedano il tempo stesso. Il fisico americano rileva a questo punto che questo modo di pensare assomiglia più alla metafisica che alla scienza. Anche se davvero ci fosse una “teoria del tutto”, dovremmo pur sempre chiederci perché la teoria sia propria “quella”. O, il che è lo stesso, sarebbe necessario appurare per quale motivo esista proprio “questo” universo e non uno degli infiniti altri universi che paiono possibili. Tali quesiti si ritrovano pari pari in un altro volume piuttosto recente di Jim Baggott, scienziato inglese che ha poi scelto – e con successo – di dedicarsi alla divulgazione scientifica. Il libro, intitolato “Farewell to Reality”, ha suscitato subito un acceso dibattito. Baggott è ancora più esplicito di Smolin, e accusa addirittura i fisici teorici di aver prodotto una sorta di “industria” basata su una “fisica da favola” (fairytale physics), popolata da stringhe e altre entità di incerta natura. La fisica da favola di cui sopra procede attraverso assunzioni arbitrarie e ingiustificate che non possono essere sottoposte a verifica empirica e si collocano, pertanto, oltre i confini dei test sperimentali. In questo l’autore concorda totalmente con uno dei più grandi fisici del ’900, il premio Nobel Richard Feynman, tra i protagonisti del Progetto Manhattan che portò alla realizzazione della prima bomba atomica. Baggott rammenta a tale proposito una celebre frase di Feynman: “String theorists don’t make predictions, they make excuses”. E’ noto, d’altra parte, che immaginazione e speculazione astratta rappresentano elementi vitali della scienza, come dimostra l’esempio dello stesso Albert Enstein. Ma resta il fatto che, negli ultimi decenni, l’apparato istituzionale e professionale degli scienziati ha creato intere discipline diventate “di moda” (e in qualche caso presto dimenticate) senza punto chiedersi se la natura era o meno in accordo con esse. Non solo. La scoperta del bosone di Higgs ha determinato il trionfo del modello standard delle particelle elementari, destinato a descrivere la realtà al livello delle stesse particelle e delle forze che le uniscono. Ma questa non è certo la fine della storia, dal momento che il modello standard non spiega tantissime cose né è chiaro che le spiegazioni siano in futuro possibili in base ai dati di cui disponiamo. Ancora una volta, dunque, ci troviamo su un terreno che sembra più metafisico che scientifico. Eppure la convinzione che la “teoria finale” possa essere delineata – e anche in tempi brevi – è assai radicata. Commentando un articolo da me pubblicato, nel quale mettevo in dubbio la possibilità di giungere a una teoria onnicomprensiva che ci consenta di appurare una volta per sempre quali sono i componenti ultimi della realtà, un fisico replicò in questo modo: “Mi sembra che dal punto di vista teorico il modello standard sia ormai completo, ossia finito. A quali altri modelli da investigare o confutare si riferisce? In realtà la scoperta del bosone di Higgs è un colpo terribile alla comunità scientifica, dato che chiude de facto molte altre possibili strade. Mi sa proprio che riguardo alla fisica delle particelle è la fine della storia…”. A mio avviso tale sicurezza è infondata. Si scambia un modello di interpretazione del reale con la realtà stessa, scordando un fatto di fondamentale importanza. Noi siamo esseri limitati – anzi, “molto” limitati – e il nostro accesso al mondo è sempre determinato da fattori che rispecchiano le nostre capacità cognitive. Anch’esse limitate, ovviamente. Difficile che una “teoria del tutto” possa essere raggiunta da creature caratterizzabili in primo luogo mediante il concetto di “limite”.
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