Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Jean-Jacques Rousseau: il pensiero pedagogico

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Rousseau era parte del gruppo dei philosophes promotori dell' Enciclopedia (esponenti di spicco dell'illuminismo francese), alla cui redazione partecipò curando alcune voci di musica e di economia e soprattutto sollecitando fino a punti estremi gli strumenti critici introdotti dal gruppo stesso.

Queste sue estremizzazioni critiche lo porteranno, nel 1757, alla rottura con Diderot e il gruppo dell'Enciclopedia, rottura nella quale è possibile vedere rispecchiata la posizione oramai lontana dall'illuminismo ufficiale assunta da Rousseau.

Infatti, se la critica illuminista portava alla ricerca di una nuova cultura che proponesse un modello di Stato futuro, Rousseau, al contrario, volge il suo sguardo al passato, per ritrovare in condizioni precedenti alle attuali gli ideali e i valori da perseguire, arrivando a escludere in loro nome anche la cultura.

Egli è alla ricerca di una nuova antropologia (e in questo possiamo ritrovare la parte costruttiva del suo pensiero) nella quale sia possibile riscoprire una legittimazione della vita associata.

Questa ricerca viene condotta attraverso l'arma principe degli illuministi: la critica avanzata nei confronti della società della cultura, ma, diversamente dai pensatori del suo tempo, Rousseau ritiene che il più grande bene dell'uomo non sia la ragione,ma che gli esseri umani si distinguono principalmente sulla base dei loro bisogni e delle loro passioni.

Il grande difetto riscontrato da Rousseau nella società, ma anche nella visione comune della cultura, è che esse tendono a moltiplicare i bisogni e a corrompere le passioni, portando l'uomo lontano dalla sua natura originaria.

Il processo porta a un passaggio da uno stato originario di uguaglianza a uno artificiale, nato con lo sviluppo dell'uomo, di ineguaglianza.

L'autore non propone un ritorno alle origini, che egli ben percepisce come impossibile, ma invita alla ricerca di forme legislative e educative capaci di ristabilire una forma di uguaglianza tra uomini, o, meglio, tra uomini in quanto cittadini. Rousseau è un autore geniale per molti aspetti e come tale anche contraddittorio.

Noi, per proporre alcune riflessioni sul suo pensiero pedagogico, cercheremo di attenerci ai testi ed in particolare all’Emilio.  

La prima cosa che colpisce è che con l’Emilio, Rousseau vuole intrattenere una sorta di “dialogo” con il lettore. Egli si rivolge direttamente agli uomini comuni, ai borghesi, saltando la mediazione degli intellettuali.

Come è stato da più parti rilevato, egli vuole parlare  illuministicamente  alla ragione degli uomini, senza paura dei paradossi e vuole così rompere il “guscio dei pregiudizi”.

Costruisce un modello ideale di educazione sebbene sia ricco di indicazioni concrete. Va subito detto che per Rousseau è impossibile, essendo la società corrotta, un’educazione pubblica.

In realtà egli critica pesantemente l’educazione conformista e disciplinata dei collegi, e quella dei salotti nobiliari con le loro ipocrisie e vanità, verbosità, buone solo a creare servi e padroni.

Egli aveva identificato nell’organizzazione della società del suo tempo, nei suoi valori dominanti, nelle sue modalità di relazione, la radice dei mali dell’uomo: assenza di libertà, lacerazioni del cuore, disuguaglianza economica, sociale e morale, decadenza del gusto.

Altra sarebbe secondo Rousseau  l’educazione in uno Stato fondato sulla volontà generale, in cui l’educazione sarebbe pubblica e avrebbe forti tratti di integrazione olistica e patriottica (che oggi ci appaiono piuttosto inquietanti): «L’educazione pubblica, regolata da norme stabilite dal governo e sotto la guida dei magistrati scelti dal sovrano , è dunque uno dei principi basilari del governo popolare o legittimo.

Se i bambini sono allevati in comune in regime d’uguaglianza, se sono imbevuti delle leggi dello Stato e dei principi della volontà generale, se sono educati a rispettarli al disopra di tutto, se sono circondati da esempi e da oggetti che parlano senza posa della tenera madre che li nutre, del suo amore per loro, dei benefici inestimabili che ne ricevono, e di ciò che le devono in cambio, non c’è da dubitare che non apprendano a volersi bene fra loro come fratelli, a voler sempre solo ciò che vuole la società, a sostituire azioni da uomini e da cittadini alle sterili e vane chiacchiere dei sofisti, e a divenire un giorno i difensori e i padri della patria di cui tanto a lungo saranno stati i figli».

Rousseau ci propone, col suo testo, una originale fusione di narrazione e riflessione filosofica e pedagogica fondata sul principio che “l’uomo è naturalmente buono” ed è la società che lo corrompe.

L’Emilio è un saggio di teoria pedagogica, quando la pedagogia ancora non esisteva come branca autonoma del sapere, ma ricco di spunti ed indicazioni concrete tanto da sembrare ancora oggi una specie di “manuale pedagogico”. La base di partenza è quella dell’antropologia di Rousseau: «Tutto è bene quando esce dalle mani dell’Autore delle cose, tutto degenera fra le mani dell’uomo».

Ma subito aggiunge: «L’educazione è un arte, è quasi impossibile che riesca tutto ciò che si può fare a forza di cure è di avvicinarsi più o meno allo scopo, ma per raggiungerlo bisogna essere fortunati». 

Egli ha quindi consapevolezza della relatività e fallibilità del processo educativo. Benché abbia in mente un modello ideale, conosce bene le difficoltà pratiche dell’educazione. In ogni caso, la linea guida dell’educazione in Rousseau è l’aderenza alla Natura, in questo caso dell’uomo, ben sapendo che al punto in cui siamo, non possiamo fare a meno dell’educazione.

Rousseau ha ben chiara la funzione dell’educazione nella formazione dell’uomo: «Tutto ciò che abbiamo alla nascita e di cui abbiamo bisogno da grandi, ci è dato dall’educazione e questa educazione ci viene dalla Natura, o dagli uomini o dalle cose». E ben comprende, modernamente, che essa è il risultato dell’interazione di più fattori: «Quella della natura non dipende da noi, quella delle cose dipende da noi solo sotto certi aspetti.

Quella degli uomini è la sola di cui siamo padroni». La pedagogia in Rousseau si costruisce poi attorno ad alcuni punti fermi, molto moderni e comunque attuali ancora oggi, che vale la pena di ricordare in via preliminare: “ Occorre osservare i bambini nella loro specificità, perché l’infanzia non è semplicemente un’età preparatoria al mondo degli adulti. Si deve rispettare l’infanzia nella sua gradualità: essa attraversa stadi evolutivi successivi. 

La conoscenza della mente dell’uomo e delle sue “disposizioni primitive” il senso – l’utilità – la ragione è fondamentale per l’azione pedagogica. Lo scopo dell’educazione è di formare l’uomo e non di limitarsi solo a sviluppare abilità c’è in Rousseau una “dialettica” tra educazione ed istruzione. L’educazione concorre a costituire una nuova società di uomini liberi, che vivono secondo natura, in pace con se stessi e gli altri.

La formazione del giovane non può avvenire senza la contemporanea auto e co-formazione dell’adulto che è coinvolto nel processo educativo. L’importanza del pensiero critico ed anticonformista: l’educazione come base per esplorare nuove possibilità, come processo aperto: «la sola abitudine che si deve lasciar prendere al fanciullo è quella di non contrarne nessuna; preparate da lontano il regno della sua libertà».

L’educazione ha un orientamento esistenziale il collegamento tra educazione e vita, non è solo una tecnica di controllo: «il mestiere di vivere è quello che voglio insegnargli»; «vivere è agire, è fare uso dei nostri organi, dei nostri sensi, delle nostre facoltà, di tutte le parti di noi stessi che ci danno il sentimento della nostra esistenza».

Educazione non come processo intellettualistico, ma come esperienza concreta. «quello che fra di noi che sa meglio sopportare i beni ed i mali di questa vita è, a parer mio, il meglio educato: ne consegue che la vera educazione consiste meno di precetti che di esercizi».

L’affermazione della centralità del concetto di Libertà di contro ad Autorità.” Questo primo periodo formativo del bambino, in cui la ragione ancora non è pienamente sviluppata e non può quindi essere pienamente utilizzata, deve essere caratterizzata per Rousseau da un'educazione negativa. Questo termine non è utilizzato da Rousseau in senso peggiorativo rispetto a un'educazione tradizionale, ma come definizione di un metodo pedagogico che sia volto più che a progettare interventi formativi specifici e rispettare lo sviluppo del bambino evitando interventi contrari a esso.

Si faccia attenzione a non concludere dunque che il formatore in questi primi anni debba limitarsi a non far nulla e a lasciare che il bambino completi da sé la propria educazione.

Al contrario egli dovrà impegnarsi molto per impedire che sia influenzato negativamente e per predisporre al contrario occasioni propizie per uno sviluppo armonico. Egli insiste molto sull'importanza nel percorso educativo dei bambini delle sensazioni provate dalla manipolazione degli oggetti e dal movimento.

Ritiene invece che si debba escludere in questa fase ogni forma di educazione morale, in quanto senza il supporto della ragione il bambino non potrebbe capire ciò che sta dietro a divieti e imposizioni e li considererebbe solo come mere imposizioni, allontanandosi così dallo stato naturale di libertà.

La seconda fase dell'educazione del bambino, che per Rousseau va dai 3 ai 12 anni circa, resta sempre caratterizzato dall'impiego di una pedagogia negativa, ma si introduce il concetto della libertà anche come conquista.

Il bambino comincerà e rendersi conto dello squilibrio che esiste tra i suoi bisogni e le capacitàche gli sono date di soddisfarli. Su questa dicotomia ci si potrà appoggiare per una prima educazione morale che non conterrà obblighi o doveri ma partirà appunto dall'osservazione e dal confronto con la necessità delle cose, metodologia che dovrebbe portare allo sviluppo dell'uomo sulla base dell'autonomia e dell'autenticità.

Il precettore dovrà essere vigile in modo da non anticipare mai lo sviluppo dei bambiniche gli sono affidati, e basando sempre i suoi insegnamenti sui bisogni e sugli interessi dei suoi piccoli allievi.

Egli, ricorda Rousseau, dovrà fare buon uso del suo pensiero critico, in modo che i bambini avvertano di essere loro a comandare, mentre il vero controllo resta però nelle mani degli insegnanti che guidano e controllano quindi la crescita educativa degli alunni, pur, come si è detto, nel rispetto del loro percorso naturale di crescita.

Questa impostazione porta, naturalmente, alla messa tra parentesi della didattica tradizionale, i cui programmi sono sentiti come troppo rigidi e lontani dalle esperienze concrete degli alunni, che quindi non ne trarranno mai un autentico beneficio.

Con l'avvicinarsi del bambino all'adolescenza scompare la distinzione forte che aveva caratterizzato l'infanzia tra i bisogni e il potere di soddisfarli. Ora la ragione e le forze del fanciullo si sviluppano velocemente, e di conseguenza anche l'impostazione della pedagogia deve cambiare diventando da negativa a positiva.

Il motore che porta alla crescita in questa età (crescita che non è più solo fisica ma soprattutto spirituale) è la curiosità su cui deve poggiarsi la linea pedagogica positiva del bravo insegnante. Infatti, occorre ora introdurrele linee guida di un sapere formale, ma non trasmettendo al giovane una serie di idee preordinate, quanto piuttosto portandolo alla scoperta delle idee attraverso un percorso che muova, appunto, dalla sua innata curiosità e faccia continuo riferimento all'utilità di quanto emerge dalla ricerca.

Dal punto di vista dello sviluppo intellettivo il bambino sta ora passando dalle sensazioni dell'infanzia al mondo delle idee dell'adolescenza.  

Questo comporta – sul piano morale – un passaggio educativo da una condotta regolata sulla necessità a una condotta orientata all'utilità, verso cui, è bene ricordarlo, anche l'insegnamento formale deve condurre.

Per Rousseau il passaggio da ciò che è veramente utile a ciò che è buono sarà poi breve e facile. Dal punto di vista sociale il giovane deve essere tenuto lontano dai complicati concetti di relazioni sociali, che ancora rischierebbero di confonderlo.

La sua socializzazione dovrà prendere dunque l'avvio dalla conoscenza e dalla pratica di mestieri che risultino di pubblica utilità, e di cui egli sia portato a comprendere le ragioni di utilità sociale.

Con l'adolescenza inizia la vera e propria educazione , che non è più guidata dalle sensazioni o dalla curiosità, ma dalle passioni, che introducono il giovane all'interno della società.

Altri aspetti caratterizzanti di questa fase, tutti conseguenti però al subentrare delle passioni, sono lo sviluppo dell' immaginazione, il confronto con le problematiche morali, la comparsa delle idee astratte fino a giungere alla conquista razionale dell'idea di Dio.

Le passioni, si è detto, sorgono naturalmente nell'animo dei giovani, ma in questo caso Rousseau mette in guardia i formatori dal pericolo di contaminazione a cui esse sono costantemente soggette. Consiglia pertanto di non offrire ai giovani occasioni che portino all'eccitazione delle passioni, quanto di mirare piuttosto a contenerle, in modo che sia più facile per il giovane rispettare e seguire l'evoluzione naturale del suo sentire.

Questa evoluzione naturale ha origine dal sentimento di amore, che inizialmente si pone come amore di sé stesso (e che deve essere guidato perché non diventi amor proprio, base della vanità e dell'orgoglio), alla base della nostra stessa sopravvivenza e motore della curiosità dei giovani. Da questa prima essenziale forma di amore dei fanciulli ne deriva poi un secondo, più evoluto, che si esplica nell'amore per chi gli sta vicino.

Al sentimento di amore è vicino il sentimento della pietà, per sviluppare il quale (che porta come l'amore per se stessi all'amore per gli altri, anche se da un'altra strada) Rousseau raccomanda di porre l'adolescente a confronto con situazioni di sofferenza e dolore.

Queste esperienze lo porteranno ad amare maggiormente chi gli sta vicino, e quindi a rispettare i suoi simili. Questo è il percorso morale che si avvia con l'ingresso del giovane nell'adolescenza e che lo porterà ad apprendere gradatamente i valori, il concetto di giustizia, di pace, di Dio.

Anche in questa fase l'educazione formale non scompare, ma ancora una volta non è affidata a verbalizzazioni astratte quanto all'esperienza diretta del giovane che, spinto dalla curiosità, sarà guidato a confrontarsi direttamente nella pratica o tramite ragionamento con le nuove conoscenze.

 

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