Michele Morelli: la fermezza di un’anima senza devozione
Lo stesso Direttore dell’Archivio Diocesano, Mons. Antonio Illibato scrive, nella prefazione al testo della Orefice: “ E’ significativa la narrazione delle ultime ore di vita di Michele Morelli, stesa dallo scrivano della Compagnia Ignazio de Bisogno”. Mentre Silvati aveva accettato i sacramenti prima di ascendere al patibolo, Michele Morelli, nella notte precedente l’esecuzione, ai Bianchi della Giustizia, i monaci preposti all’opera del ben morire, confessava che, pur ammettendo “appena le Divinità”, non si era mai posto la questione della Rivelazione, lasciando i monaci nello sconforto e nella confusione. Inoltre, interrogato riguardo alla Maria Nostra Madre, Morelli aveva risposto “che egli come militare non aveva mai pensato a tale divozione”. Allora i monaci ebbero il sospetto che il militare avesse preso una forte dose di oppio, ma il chirurgo medico delle carceri, avendo osservato il condannato, sostenne che non vi era alcuna traccia di assunzione di droga. Quindi si concluse che il Morelli era rimasto solo coerente con la sua incredulità riguardo alla Rivelazione e al credo cristiano. Rassegnati, i fratelli dei Bianchi della Giustizia dovettero riferire all’Arcivescovo che il condannato non poteva avere la “sepoltura Ecclesiastica”. Furono comunque “ fatte preghiere sia pubbliche che private” per assicurare una certa salvezza alla sua anima, su ordine dell’Arcivescovo. Tutto ciò anche e soprattutto in virtù della superstiziosa credenza che le anime “dannate”, non trovando pace nelle luce divina, sarebbero rimaste a vagare vendicative sul luogo della morte. Ed un Morelli poteva essere forse più pericoloso da morto che da vivo. Dopo l’esecuzione, avvenuta per ghigliottina nella piazza di S.Francesco fuori Porta Capuana alle ore 15:30, il cadavere del militare fu “lasciato a discrezione della polizia che dicesi l’abbia seppellito nel cortile delle carceri di San Francesco a Capuana, luogo non sacro”.
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