Quando Ferdinando I di Borbone ordinò di sterminare i briganti
Il reame borbonico era stato, sin dagli inizi, costretto a convivere con un fenomeno brigantesco endemico ed impossibile a sradicarsi, tanto che le misure repressive adottate dai Borbone di Napoli erano dirette più a mantenerlo ad una condizione limitata che non ad eliminarlo del tutto, ossia erano finalizzate a “controllarlo” anziché a “distruggerlo. L’inefficienza notoria dell’esercito e della polizia borbonici era aggravata dal fatto che erano ambedue in buona misura pervasi da criminali comuni, il che rendeva ancora più problematica un’attività repressiva dei briganti. Particolarmente grave apparve la situazione dell’ordine pubblico negli anni della Restaurazione, quando il sovrano Ferdinando I di Borbone si trovò un reame stracolmo di briganti, che compivano ogni sorta di reati: assassini, sequestri di persona, estorsioni, rapine, stupri … Il re delle Due Sicilie, in seguito a precise relazioni delle autorità militari e di polizia ed imitando un analogo editto pontificio del 7 luglio 1821, emise un editto in cui esprimeva la sua precisa volontà d’impiegare «misure straordinarie ed efficaci per la punizione ed esterminio» dei briganti: l’ordine regio richiedeva letteralmente lo «ESTERMINIO» di questi criminali. Si trattava del «Decreto con cui si danno delle energiche disposizioni per lo pronto esterminio de’ malfattori che infestano il regno, o che potessero refluirvi dalle limitrofe provincie pontificie», emesso a Napoli 30 agosto 1821 e firmato direttamente da «Ferdinando I per la grazia di Dio re del regno delle Due Sicilie, di Gerusalemme ec. infante di Spagna, duca di Parma, Piacenza, Castro, ec. ec. gran principe ereditario di Toscana ec. ec. ec.». Il sovrano borbonico ricordava anzitutto «l’editto pontificio de’ 7 di luglio 1821, accompagnato da nota ministeriale del cardinal Consalvi», che prevedeva severe misure repressive contro il brigantaggio presente nello stato pontificio . Ciò premesso, l’editto borbonico proseguiva facendo notare la gravità della situazione del regno delle Due Sicilie per ciò che riguardava l’ordine pubblico, per cui si rendevano necessarie norme eccezionali destinate a sterminare i criminali: «Informati per gli rapporti che ci pervengono, dello stato attuale delle nostre provincie in proposito a’ malfattori. Volendo adottare delle misure straordinarie ed efficaci per la punizione ed esterminio di essi. Sulla proposizione del Direttore della real Segreteria di Stato di grazia e giustizia. Abbiamo deciso di decretare e decretiamo quanto segue». Le quattro corti marziali, ognuna diretta da sei ufficiali militari, avrebbero avuto le seguenti aree di competenza: la prima sulle zone di Napoli, Salerno ed Avellino, in pratica l’odierna Campania; la seconda sulla Terra di Lavoro, i tre Abruzzi e Campobasso, in pratica Abruzzo, Molise e Puglia settentrionale attuali; la terza su Lucania, Capi¬tanata, Trani, Lecce, in pratica la Basilicata e la Puglia meridionale; la quarta sulle tre Calabrie, in pratica l’attuale Calabria. Il decreto affidava ogni ripartizione ad un alto comandante militare, rispettivamente: la Campania al maresciallo Salluzzi; l’Abruzzo, Molise, Terra di Lavoro al maresciallo Mari; Basilicata e Puglia meridionale al maresciallo Roth; la Calabria al maresciallo Pastore. Costoro erano ritenuti passibili di uccisione «non solamente dalla forza pubblica, ma da qualunque altro»; in altri termini, chiunque poteva uccidere, legittimamente, un brigante. Erano previsti anzi premi in denaro per queste uccisioni, rispettivamente di 200 ducati per il capobanda e di 100 per il semplice gregario «Le Corti medesime puniranno di morte tutti quelli che in comitiva armata in numero non minore di tre individui, uno almeno de’ quali sia portatore d’armi proprie, incederanno per la campagna, commettendo misfatti o delitti di qualunque natura; que’ che scientemente e volontariamente ricetteranno le comitive armate, gl’individui che le compongono, e gl’inscritti sulle liste di cui è parola nell’articolo 5; quelli infine che scientemente e volontariamente somministreranno ad essi ajuti, viveri, armi, munizioni, o che con essi stessi manterranno corrispondenza». Era promessa l’amnistia, ma solo per i briganti che ne uccidessero altri. Per la precisione, un semplice gregario otteneva l’impunità per i propri reati uccidendo un altro semplice gregario, mentre invece un capobrigante era amnistiato soltanto che uccideva tre altri fuor banditi. Se invece un fuor bandito uccideva un capobanda, non solo era graziato, ma anche premiato. Si cercava in questo modo d’istigare i briganti ad uccidersi fra loro. [cfr. Collezione delle leggi e decreti reali del Regno delle Due Sicilie, anno 1821, de¬creto n. 110, pp. 104-110.] |
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