Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La Scienza della Legislazione di Gaetano Filangieri

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Ne La Scienza della Legislazione l'economia occupa un ruolo centrale che colpisce il lettore fin dalle prime pagine. Le è appositamente dedicato un intero libro, il secondo, volto ad indagare le leggi della popolazione e della ricchezza, che per Filangieri regolano il funzionamento del sistema economico.

Ma, più in generale, è protagonista dell'ideale che ispira il pensiero dello scrittore napoletano e che è descritto già nelle righe iniziali del piano ragionato dell'opera. È la ricerca del benessere, l'unico vero oggetto delle leggi, e questa è riassunta nell'esigenza di garantire un’esistenza agiata, nella libertà di godere, conservare e accrescere le proprietà, nella possibilità di acquisire e vendere i beni che sono utili, e nella sicurezza della propria vita e del patrimonio nelle relazioni con le autorità e gli altri individui.

Le sette distinte partizioni che compongono il progetto filangieriano, di cui solo cinque effettivamente scritte, rappresentano lo studio del modo in cui i vari assetti legali che sovrintendono l’organizzazione della società possono consentire ai cittadini di ottenere adeguati livelli di felicità.

Così ciascun libro affronta uno specifico aspetto di come dovrebbero essere gli ordinamenti dei Paesi che intendono assicurare il più ampio vantaggio per i loro membri.

Non a caso, rispettando un ordine logico, le leggi economiche sono trattate da principio, così da osservare subito le condizioni che permettono di produrre e distribuire la ricchezza e poi, nelle successive parti riservate al diritto penale, all’educazione, alla religione, alla proprietà e alla famiglia, si analizza come questa vada tutelata e goduta all’interno del consorzio civile.

Il pensiero economico di Filangieri è prevalentemente orientato ad approfondire i requisiti dei processi di crescita delle nazioni europee. La riflessione esposta procede costruendo nessi causali per studiare il dispiegarsi dei fenomeni economici, appare sufficientemente ampia da includere un variegato insieme di questioni, e nella trattazione si mostra acuta e seducente per il lettore.

Dal punto di vista teorico La Scienza della Legislazione rivela l’influenza esercitata dai principali autori e correnti del panorama settecentesco. Nello studio sul progresso dei sistemi economici viene portata avanti un’interessante opera di sintesi tra dottrine provenienti da scuole e stili nazionali distinti come il moralismo scozzese, la letteratura illuminista italiana e soprattutto la fisiocrazia d’Oltralpe, il cui contributo è prevalente e fortemente caratterizzante.

Quella filangieriana nei suoi risultati è un’operazione abbastanza riuscita e intellettualmente affascinante, seppure per la storia delle idee economiche presenti il peccato non indifferente di non eccellere per originalità analitica.

È questa una spiegazione del perché lo studioso partenopeo non primeggia nella storiografia del pensiero economico, sebbene non vada però dimenticato che il suo liberalismo è uno di quei rari casi che supera con favore il giudizio severissimo di Francesco Ferrara.

Probabilmente l’apporto di Filangieri alla cultura economica va osservato su un piano differente da quello riservato alla comprensione del funzionamento dei mercati concorrenziali, del commercio internazionale o della distribuzione del reddito.

È la relazione tra la cornice istituzionale e legale e l’economia l’oggetto nel quale La Scienza della Legislazione offre risultati innovativi e storicamente significativi.

Nell’opera il contesto costituzionale e legislativo non è indifferente per la prosperità di una nazione ma al contrario gioca un ruolo decisivo. Il benessere di un Paese dipende dall’interazione delle norme, dei codici e delle autorità pubbliche con i fatti economici e in rapporto alle possibili diverse composizioni che ne risulteranno varieranno gli effetti ottenuti.

Lo stesso metodo adottato ne è una testimonianza dato che procede attraverso comparazioni tra distinti idealtipi di governo della società o tra le reali esperienze degli Stati del momento o storicamente antecedenti.

L’abilità del legislatore sta nella scelta della soluzione giuridica più opportuna per consentire la crescita, e un eventuale errore potrebbe invece comprometterla. Il sistema economico non è quindi indipendente nel suo funzionamento ma indissolubilmente legato alla sfera politica e legale che ne condiziona l’operato.

Ne consegue che, se le norme sono strumenti in grado di incidere così significativamente sulla prosperità di un popolo, si devono giudicare sulla base della loro capacità di arrecare agli individui una maggiore utilità e di non procurare loro conseguenze controproducenti.

Il diritto non va valutato ex ante per la giustizia formale che può essere intrinseca nel suo comando ma per gli effetti concreti che è in grado di produrre e per la loro coerenza con gli scopi auspicati. “Non può mai dirsi buona una legge, quando non è atta a produrre l’effetto che il legislatore vuol conseguire; e l’inutilità non è stata mai una circostanza indifferente, per una legge.

Che se il giudicare dagli effetti è un cattivo sistema, questa regola può avere luogo in tutto, fuorché nella legislazione”. Ne La Scienza della Legislazione l’analisi economica è presente ben oltre i contenuti del libro II poiché assurge a criterio logico per elaborare una teoria generale dell’organizzazione della società.

L’opera testimonia il sogno illuminista di riformare le istituzioni e le leggi per realizzare un ordine politico retto dalla ragione, in grado di assicurare a ogni uomo il raggiungimento della massima felicità possibile. L’economia politica aiuta questo progetto poiché i presupposti di razionalità da cui muove la rendono un seducente strumento d’indagine nella sfera giuridica, una chiave di lettura esplicativa dei comportamenti individuali e collettivi e un principio per giudicare la bontà delle norme e dei poteri pubblici.

La scienza economica è quindi rintracciabile in tutto il testo, poiché è impiegata da Filangieri come supporto al proprio ragionamento sul diritto, sulla morale o sulla politica. L’attenzione dello scrittore napoletano per le condizioni istituzionali che procurano benessere ha costituito di recente il punto di partenza per una revisione storiografica che ha evidenziato la modernità del pensiero filangieriano.

Con la definizione di “costituzionalismo illuminista” si è inteso descrivere l’impegno teorico profuso nella speculazione su un assetto del potere capace di affermare pienamente la dignità umana a partire dai diritti fondamentali della persona sanciti dal diritto di natura.

Il riformismo dell’opera propone di intraprendere un processo di trasformazione delle costituzioni che ponga il cittadino e i suoi bisogni come protagonisti della società in cui vive.

La categoria del “repubblicanesimo dei moderni” specifica ulteriormente questo progetto sottolineando la distanza che intercorre con la tradizione del modello repubblicano ideale, fondato sulla perfetta eguaglianza, ostile all’interesse economico e timoroso verso il progresso.

La costituzione de La Scienza della Legislazione, all’opposto, cerca nell’economia una base materiale in grado di dare concretezza ai diritti dell’uomo e ritiene che il loro esercizio non prescinda dalla realtà della moderna società commerciale, caratterizzata dalla divisione del lavoro, dal perseguimento del benessere individuale, dal mercato e dalla meritocrazia.

Lo stesso principio di giustizia sociale, descritto nel capo II del libro I e nel capo XXXV del libro II, non è un mero enunciato di tesi puramente etiche ma un vero piano di equa distribuzione del reddito nazionale attento a incrementare il benessere generale della nazione e a incentivarne la crescita. L’economia politica è dunque partecipe del disegno di riforma filangieriano e possiamo scorgerla o nel suo aspetto più consueto di studio dei fenomeni della produzione e distribuzione o come motivo ispiratore di un modello politico o in quanto strumento di analisi razionale dell’ordinamento giuridico e dei comportamenti sociali.

Sebbene La Scienza della Legislazione si rivolga ai sovrani e ai governi e tratti dei sistemi economici o degli ordinamenti penali e civili delle nazioni, notiamo che la sua attenzione è indirizzata soprattutto agli individui.

Ciò è coerente con il desiderio di Filangieri di creare le condizioni economiche, istituzionali e giuridiche per i cittadini, perché possano condurre una vita dignitosa e agiata e godere realmente dei diritti inviolabili della persona.

La stessa definizione del benessere sociale ha un fondamento individualista e consiste nell’aggregazione dell’utile dei singoli. “La felicità pubblica non è altro, che l’aggregato delle felicità private di tutti gli individui che compongono la società”.

La procedura attraverso la quale, a partire dall’interesse privato, è possibile giungere a quello pubblico è utilitaria. La valutazione dei piaceri e dei dolori è, come per buona parte degli autori italiani del tempo, il criterio più valido per pervenire a deliberazioni collettive che arrechino vantaggi alla maggior parte della cittadinanza.

L’utilitarismo filangieriano è però abbastanza lontano dal consequenzialismo benthamiano poiché deve armonizzarsi con la dottrina giusnaturalista ed è escluso che possa entrarvi in conflitto. La giustizia e l’equità, come anche i diritti umani, non nascono estemporaneamente come il risultato del calcolo economico ma sono già sanciti nell’ordine razionale che governa la natura. L’utilità è il principio logico che aiuta a comprendere i comandi del diritto naturale e a conformarvi la legislazione. Si tratta di una soluzione tesa a dare maggiore consistenza etica all’utilitarismo e che è ricorrente nella letteratura italiana del XVIII secolo e di parte del XIX.

L’analisi dell’opera si sviluppa osservando l’influenza che le leggi e le istituzioni esercitano sul comportamento umano e le conseguenze che possono derivarne per la felicità pubblica. Lo schema adottato per studiare le motivazioni e le azioni dei singoli si caratterizza per l’individualismo e l’edonismo. Gli uomini operano guidati dal proprio interesse e istituiscono relazioni sociali per procurarsi un beneficio.

Filangieri ricostruisce idealmente i rapporti che si instaurano nella società grazie all’idea del contratto. Ogni cittadino dà vita con la collettività, rappresentata dalle autorità, a scambi il cui scopo è arrecare a entrambe le parti un vantaggio.

La forza motrice che spinge ad agire è “l’amore del potere” che ha origine nel desiderio di ciò che è piacevole e nell’avversione di quanto è doloroso. Il potere è, infatti, la facoltà che si ha di ottenere dal consorzio civile quanto occorre per essere felici. “Se è vero che l’amor del piacere, e l’avversione al dolore, sono le due molle che fanno agire l’uomo, non vi vuol molto a vedere che l’amor del potere sia il vero principio d’azione in tutti i governi; giacché quest’amor del potere prende la sua origine nell’amor istesso del piacere.

Ognuno desidera d’essere il più felice che sia possibile: ognuno dunque desidera d’avere tra le mani un potere, che obblighi gli altri uomini a contribuire con tutte le loro forze alla,sua felicità, e questa è la ragione per la quale si desidera di comandarli”.

Ne consegue quindi che le persone ambiscono in ogni momento a detenere sufficiente potere per soddisfare i propri bisogni, ma questa possibilità si acquisisce solo vantando un credito nei confronti della nazione a seguito di una qualche prestazione che si è offerta. “I servizi dunque resi alla patria sono i soli mezzi che possono mettere il cittadino in istato d’ottenere una porzione di potere in premio dei suoi meriti”.

La natura dell’obbligazione tra lo Stato e il cittadino e i suoi effetti sul benessere complessivo mutano in relazione alla costituzione del Paese. È l’ordinamento con le sue norme che determina se la ricerca di un vantaggio privato avviene con la cooperazione di tutti i membri della società e con un beneficio comune, o attraverso la violenza, la sopraffazione e la corruzione e con una perdita generale.

“Il mezzo dunque è sempre l’istesso, ma gli effetti sono diversi. L’istesso amore del potere, che in una repubblica libera e bene ordinata, rende il cittadino virtuoso e amante della patria, lo fa divenire un mostro in un governo dispotico.

Egli farà nascere nel tempo istesso un Curzio, un Decio, un Fabio in Roma, e nell’Asia il più vile degli schiavi”. Il ragionamento serve a Filangieri per approfondire la sua critica ai regimi dispotici ed esaltare le virtù dei sistemi repubblicani e tende a dimostrare la fondamentale importanza del diritto costituzionale nell’indirizzare uno Stato verso un assetto politico caratterizzato da libertà, prosperità economica ed equità.

Ciò che a noi interessa sottolineare in questa riflessione è la soluzione che viene escogitata al problema di come individui mossi da motivazioni egoistiche possano instaurare relazioni di stima reciproca e giungere a forme di convivenza pacifica; un interrogativo ricorrente nella storia delle idee settecentesche e che sta alla base anche del notissimo “Adam Smith’s problem”.

La Scienza della Legislazione risolve il dilemma affidando alla cornice legale il compito di incentivare il singolo alla collaborazione ed evitare così il conflitto. La democrazia è il sistema che meglio si presta a questo scopo per alcune qualità che la distinguono: tutti i cittadini possono aspirare alle migliori posizioni; premi e onori sono in relazione al merito; la distribuzione delle cariche avviene tramite elezioni e dipende dalla pubblica opinione.

La meritocrazia e la necessità di conquistare il rispetto degli altri uomini costituiscono degli stimoli capaci di guidare l’interesse personale verso quelle attività in grado di incrementare anche l’utilità pubblica.

“Ogni cittadino dunque sarà allora persuaso che, per ottenere qualche porzione di potere, deve acquistare l’opinione del popolo, e che per acquistarla deve servirlo, deve impiegare i suoi talenti per farli conoscere, deve finalmente far risplendere le sue virtù colle azioni utili e coi benefici resi alla patria”.

Al momento di spiegare come la società deve distribuire le ricompense lo scrittore napoletano ci dà una prima occasione per cogliere la sua sensibilità marginalista. È importante che i benefici siano ordinati rispettando una graduazione che corrisponda ai diversi contributi che gli individui apportano. Ogni cittadino si impegnerà in opere quanto è necessario per avere il premio che ambisce e ogni incremento nella scala delle gratifiche servirà da stimolo per assicurare al Paese un servigio superiore.

“Se ogni cittadino serve la sua patria a misura dei beneficii che in ricompensa questa gli offre; se l’amor del potere è l’unico oggetto di queste speranze; se finalmente i diversi gradi d’autorità che si possono conferire ad un cittadino, sono la sola moneta colla quale egli vuol essere pagato dei suoi meriti.

Che la legge disegni la strada per la quale si deve pervenire ai primi posti,  che essa stabilisca un certo ascenso, una certa graduazione; che l’esercizio di una carica serva, per così dire, di probazione e di merito per ottenerne un’altra più luminosa”.

Nella vita civile di una nazione la facoltà di godere di un determinato livello di benessere per concretizzarsi deve necessariamente apparire in una veste legale. La capacità di comandare e ottenere quanto è utile consiste nel disporre di alcuni diritti. È questo l’aspetto formale sotto il quale devono presentarsi i beni e tutto ciò che è in grado di arrecare un vantaggio all’individuo.

Lo stesso patto che dà origine a una società altro non è che un’obbligazione che impegna il singolo ad adempiere dei doveri per acquisire un insieme di diritti che la collettività gli trasmette. Ognuno di questi rappresenta per il cittadino la disponibilità di usufruire nel consorzio civile di un’utilità che, al pari di una merce, può divenire oggetto di scambio ed essere trasferita da un soggetto a un altro.

Di conseguenza nella concezione di Filangieri ogni diritto non è indipendente dai giudizi umani ma è il risultato di una stima che gli individui formulano e dato che a ciascuno di loro corrisponde un beneficio è dal valore di quest’ultimo che per traslazione si ottiene quello del primo. I diritti hanno dunque un prezzo così come un qualsiasi bene sul mercato.

A questo punto per proseguire nel ragionamento giuridico de La Scienza della Legislazione è opportuno inoltrarci nella sua teoria del valore. Leggendo l’opera non si può avere dubbio di trovarsi davanti una spiegazione psicologica di come si determinano i prezzi.

Questi scaturiscono dall’opinione degli uomini e tale parere è prevalentemente fondato sull’utilità senza particolari considerazioni riguardanti i costi di produzione o altri elementi oggettivi.

Per quanto Filangieri attinga a una letteratura economica abbastanza eterogenea, in tema di valore si trova pienamente dentro la tradizione soggettivista e utilitaria italiana. Un altro elemento di sintonia con il pensiero nazionale è riscontrabile nei riferimenti all’influenza che la rarità esercita sul prezzo.

Le forze della domanda e dell’offerta operano rispecchiando da un lato la volontà dei consumatori di pagare la cifra più bassa possibile e dall’altro quella speculare dei produttori di averne una sempre più alta. Il prevalere degli uni o degli altri dipende dalla quantità del bene che ha un effetto diretto sul valore. La scarsità determina infatti prezzi elevati mentre l’abbondanza conduce a prezzi più contenuti.

“La concorrenza che nasce dalla loro moltitudine, deve necessariamente avvilire il prezzo”. Fino a questo punto lo studioso partenopeo non si discosta per originalità e profondità d’analisi dagli altri autori che nel XVIII secolo spiegano il valore attraverso l’utilità, i gusti dei consumatori e la disponibilità del bene.

Bisogna proseguire nella lettura dell’opera fino alle pagine del libro III sulla pena per rintracciare elementi fortemente innovatori e anticipatori delle tesi marginaliste. È in quei passaggi che viene avanzata una dimostrazione precisa di come la quantità di un bene incide sulla stima che gli individui nutrono della sua utilità. Nel capo XXX Filangieri afferma che il valore è riconducibile a un’opinione umana la quale è strettamente condizionata dalla familiarità che si ha con l’oggetto in questione. La frequenza con la quale le sensazioni, positive o negative, si ripetono è generalmente influente sui nostri giudizi rendendocele desiderabili o sgradevoli quando non sono numerose e indifferenti quando divengono familiari.

“Or non si può dubitare, che le impressioni più forti perdano il massimo loro vigore, allorché sono frequenti. La callosità, che si vede nella superficie de’ corpi animati, prodotta dalle replicate percussioni de’ corpi esterni, non è diversa (se non che riguardo al soggetto) da quella, che si genera nello spirito, colla replicata immagine degli oggetti che gli si presentano.

L’intensità di qualunque mozione dell’animo si scema a misura che cresce il numero e la frequenza delle cause, che l'eccitano”. Questa relazione ha effetti diretti al momento di attribuire un prezzo. Tutto ciò che arreca un beneficio ha alcune intrinseche qualità invariabili e ogni sua dose in termini assoluti è perfettamente uguale alle altre.

Questa circostanza non ha però rilevanza nello stabilire il valore del bene che dipende esclusivamente dal giudizio degli individui, che non prende in considerazione elementi oggettivi e immodificabili ma semplicemente il beneficio che si ottiene nel momento nel quale si è terminato il consumo.

L’ultima utilità di un bene largamente disponibile e ampiamente consumato avrà dunque minore considerazione di quella delle cose più rare e di conseguenza la prima sarà pagata meno di quanto è corrisposto alla seconda. La Scienza della Legislazione per chiarire meglio il concetto si affida a una metafora. “ or le impressioni, troppo frequenti sull’opinione, indeboliscono l’opinione istessa.

Questa verità comparirà più luminosa se sarà illustrata da un esempio. Un grave pericolo sovrasta ad un popolo. Un cittadino ardito corre in mezzo a’ maggiori rischi a salvare la patria. L’esito corrisponde alle sue speranze. Egli ritorna dalla sua gloriosa intrapresa coverto de’ segni del suo patriottismo e del suo coraggio.

La nazione benedice il suo eroe, e l’opinione pubblica l’eguaglia agli Dei. Questo pericolo si rinnova per ben mille volte. Mille cittadini, l’un dopo l’altro, corrono cogl’istessi rischi alla difesa della patria intimorita, e ciascheduno di essi glorioso ritorna dalla sua felice intrapresa.

La salute della patria si deve tanto all’ultimo quanto al primo. I rischi a’ quali si è esposto il primo, non sono maggiori di quelli, a’ quali si è esposto l’ultimo. Il popolo è persuaso dell’uguaglianza del beneficio ottenuto dall’uno e dall’altro, ed è persuaso dell’uguaglianza del merito. Ma l’eroismo dell’ultimo cittadino farà forse nell’opinione pubblica quell’impressione che vi fece l’eroismo del primo?

L’opinione pubblica, scossa per tante replicate volte da impressioni dello istesso genere, sarà essa così energica nel corrispondere, come lo era nel principio? Quale sarà l’effetto di tutte queste ripetute impressioni? L’ultimo eroe non otterrà quella quantità di opinione, che ottenne il primo; ma il primo perderà tutto quello, che aveva di più sull’ultimo  noi troveremo che tanto nelle pene quanto ne’ premii di opinione, il loro valore si diminuisce a misura che si moltiplica il numero de’ puniti o de’ premiati”.

Nella definizione filangieriana rintracciamo tutti gli elementi che la rendono analiticamente compiuta ed efficace e avvicinabile a quelle più celebri e posteriori di Menger e Jevons.

L’utilità è decrescente con il consumo e il valore è determinato al margine dall’ultima unità del bene. Forzando un po’ la lettura si potrebbe concludere che Filangieri è anche consapevole che il consumatore goda di una qualche rendita dato che sottolinea con enfasi che tutte le dosi sono qualitativamente uguali, il nostro soddisfacimento dipende da ognuna di esse e quelle precedenti avrebbero ottenuto maggiori remunerazioni se non se ne fossero aggiunte delle altre.

I meriti dell’autore non si limitano però nell’anticipazione del principio marginalista, che probabilmente dovrebbe condividere con altri scrittori di economia del XVIII e XIX secolo.

Il contributo di originalità che lo studioso napoletano offre alla storia delle idee economiche consiste nell’andare oltre quella brillante enunciazione per giungere alla sua applicazione alla soluzione di concreti problemi sociali.

Se poi, come vedremo, la sfera nella quale il marginalismo viene impiegato è quella giuridica, abbiamo ulteriori elementi per valutare la portata innovativa de La Scienza della Legislazione. Il libro III dell’opera sviluppa più degli altri un’analisi marginalista che impiega per elaborare una teoria della deterrenza penale.

Il tema è uno dei più dibattuti nel XVIII secolo e costituisce il momento centrale della maggior parte dei progetti riformisti dell’epoca, poiché riorganizzare la giustizia significa mettere in discussione gli aspetti più tradizionali dell’Ancien regime. Innanzitutto, per quanto riguarda il ruolo dello Stato e i suoi rapporti con la società e gli individui si registra una ferma contestazione dell’indiscriminata facoltà delle istituzioni di reprimere e punire uomini e comportamenti senza che sia dimostrato il concreto beneficio che se ne ricava.

Il primo bersaglio delle critiche è l’uso della pena come strumento politico di affermazione dell’autorità regia. In secondo luogo è rigettata l’identificazione del reato con il peccato e ogni riferimento ad argomenti religiosi per definirlo.

Di conseguenza anche l’idea della sanzione come occasione per un’espiazione salvifica viene respinta insieme all’apparato cruento che l’accompagnava, teso a emendare l’anima attraverso il dolore e allo stesso tempo a esaltare la forza del sovrano sul corpo del criminale.

Altro aspetto degno di opposizione è l’avvalersi del potere giudiziario da parte di una classe togata, di giuristi e magistrati, che traeva consistenti rendite dalla carica ed esercitava il proprio ufficio in maniera arbitraria, senza

alcuna trasparenza e in un contesto di grande incertezza sulle norme e la loro interpretazione. Le istanze più decise a favore della codificazione investono proprio il diritto penale e la sua procedura, dove la necessità della riforma appariva più urgente.

L’Illuminismo giuridico, nella sua azione di demolizione del passato e di proposta di un ordinamento nuovo ispirato dalla ragione, fa spesso ricorso alla dottrina utilitaria per sostenere le proprie tesi e si affida in larga parte al calcolo economico per dimostrare la validità dei risultati a cui perviene. Ciò è particolarmente evidente sempre nel campo penalistico, dove gli edifici teorici di Beccaria e Bentham, per citare solo i due autori più rappresentativi, sono fondati sull’utilità e la massimizzazione del benessere.

Possiamo riscontrarlo nella concezione del reato inteso come un danno che comporta una perdita sociale, nell’uso della punizione come disincentivo rivolto a soggetti razionali, nell’elaborazione di politiche pubbliche che perseguano il delitto tenendo presenti i costi e i benefici delle illegalità e della loro repressione, e al momento di discutere la graduazione dei reati e la corrispondente scala delle pene sono visibili anche elementi riconducibili al marginalismo.

Tutti questi aspetti hanno correttamente lasciato intravedere nel pensiero giuridico ed economico settecentesco le origini della moderna “Economic analysis of law”.

La Scienza della Legislazione, in questo panorama, appare come un testo orientato anche più degli altri verso lo studio economico della legge e dei comportamenti sociali e porta avanti un’analisi che impiega con maggiore frequenza la logica marginalista e l’applica a un’insieme di oggetti più vasto e con risultati teorici originali.

Procediamo ricostruendo l’ideale di sistema penale avanzato da Filangieri e che è riassunto efficacemente nelle venti asserzioni del capo XXV. Lo presentiamo operando un’ulteriore sintesi e indicando i suoi punti più significativi.

Cominciamo dalla facoltà di punire la cui origine è di natura contrattuale e nasce dal patto che ha dato vita al consorzio civile. Le leggi sono l’espressione degli obblighi stipulati con il contratto sociale e distribuiscono diritti come compenso dei doveri. Il crimine è concretamente la violazione di uno di questi doveri perpetuata per compiere un attentato ai benefici goduti dagli altri uomini.

Di conseguenza chi commette un reato, avendo disatteso l’obbligazione assunta con il resto della nazione, perde automaticamente quanto questa avrebbe dovuto corrispondergli come controparte.

“Se i patti sociali non sono altro che i doveri che ogni cittadino contrae colla società in compenso de’ dritti che acquista; ogni violazione di un patto deve dunque esser seguita dalla perdita di un dritto”.

La perdita che deve subire chi delinque non è assoluta ed ha nell’equivalenza con quella arrecata alla società il criterio della sua misura. È in questo passaggio che trova una prima applicazione la tesi filangieriana che i diritti hanno un prezzo al pari dei beni e in base a questo possono essere disposti in ordine gerarchico.

Si deve infliggere una sanzione che colpisce un diritto la cui utilità coincide con quella che si è violata e inoltre, nel farlo, bisogna tenere conto che questa relazione non è invariabile nel tempo e nello spazio ma dipende dall’influenza che le circostanze storiche e geografiche esercitano sui popoli al momento di attribuire dei valori relativi.

“Se tutti questi dritti non sono ugualmente preziosi, e se non tutt’i delitti sono ugualmente funesti alla società; è giusto che colui che si astiene dal delitto più grave, e che commette il meno grave, conservi il dritto più prezioso e perda il meno prezioso. Se il valore relativo de’ sociali dritti può variare colla diversità delle politiche circostanze dei popoli; il legislatore non deve trascurale nel determinare le pene.

L’esilio dalla ‘patria, per esempio, può essere una pena capitale in un governo, e può essere la minima delle pene in un altro”. La fiducia illuminista nel processo di incivilimento induce Filangieri a prevedere che nel corso del tempo si potrà fare ricorso a pene meno severe per ottenere un’eguale deterrenza.

Il progresso tende ad accrescere il valore dei diritti che i cittadini godono, rendendo sempre meno seducenti gli incentivi al crimine. Inoltre la perdita che la punizione comporta ha assunto un valore a sua volta superiore, modificando così il costo opportunità delle azioni illegali.

“Se, a misura che il governo e la società si perfeziona, il valore assoluto di tutt’i sociali dritti cresce in proporzione de’ progressi che fa la pubblica prosperità; se, a misura che questa si aumenta, si diminuisce l’incentivo a’ delitti, e si accresce il dolore che porta seco la perdita de’ sociali vantaggi; è chiaro dunque che si potranno senza rischio raddolcire le pene, a misura che si perfeziona la società”.

Il criterio per individuare i comportamenti criminali richiede il concorso dei requisiti della volontà e dell’atto. La società non ha interesse a indagare e perseguire le semplici intenzioni se non si materializzano poi in un evento dannoso.

Allo stesso tempo i fatti, per risultare realmente dei delitti ed essere imputabili a chi li ha commessi, devono scaturire da una libera e consapevole deliberazione. Al momento di stabilire le pene il legislatore deve tenere in considerazione che i reati si distinguono per la “qualità”, cioè l’utilità del diritto che viene violato, e per il “grado” che è la risolutezza con la quale vi si attenta.

Le sanzioni devono coincidere con la perdita causata dal delitto e questa si calcola stimando di quanto il valore del diritto viene ridimensionato dalla dannosità del crimine. In caso si presentassero ampi margini di impunità, tali che la pena diviene meno temibile, per ottenere lo stesso livello di deterrenza bisognerà accrescerne la severità quanto basta per compensare la minore probabilità d’applicazione.

Subito dopo l’enunciazione dei principi generali Filangieri comincia la sua analisi rintracciando la spiegazione dell’insorgere del fenomeno criminale e della necessità di reprimerlo.

Lo studioso napoletano osserva il comportamento umano e le scelte che lo producono e si sofferma sul ruolo che la razionalità esercita nel comprendere i vantaggi della socialità e i costi da sostenere per goderne. La logica individuale, tuttavia, non è scontato che conduca automaticamente all’instaurarsi della convivenza civile.

È pienamente comprensibile e prevedibile che il singolo cittadino possa desiderare di beneficiare dell’utilità che la vita sociale gli offre ma allo stesso tempo di non sottostare agli oneri che questa gli impone come contropartita.

La mancata cooperazione è una strategia coerente con la natura dell’uomo e le sue passioni, e può essere contrastata solo con la minaccia della pena.

“La società, privando l’uomo di una parte della sua naturale libertà, non può distruggere in lui il fonte di questa natia passione. Il cuore dell’uomo cerca l’indipendenza, qualunque la sua ragione gli mostri i vantaggi della dipendenza. Egli vede nelle buone leggi l’appoggio della sua sicurezza; ma vi vede nel tempo istesso un freno dispiacevole alle sue passioni.

Egli vede ch’esse son quelle, che gli procurano la felicità nello stato sociale; ma vede nel tempo istesso che lo privano di quella che potrebbe godere nello stato naturale.

Egli conosce che esse non prescrivono se non quello che conviene al benessere universale e particolare degli esseri sociali; ma sente nel tempo istesso ch’esse gli proibiscono ciò che conviene a’ suoi piaceri [...].

Queste riflessioni che non distolgono l’onest’uomo dall’osservanza delle leggi, fan concepire al malvagio il secreto disegno di lasciare le leggi agli altri per la sua sicurezza, e di liberare se solo da questo freno pel suo vantaggio. Egli vorrebbe che i sociali vincoli si restringessero sempre più per gli altri, ma vorrebbe intanto che non si sciogliessero che per lui solo. Egli vorrebbe essere indipendente e sicuro, vorrebbe godere di tutta la naturale libertà, senza perdere la civile sicurezza.

Questi sono i disegni del malvagio, ed ecco la necessità delle pene. La sanzione penale è quella parte della legge colla quale si offre al cittadino la scelta o dell’adempimento di un sociale dovere o della perdita di un sociale

diritto”. 

Lo scopo della sanzione penale consiste così nel disincentivare l’intenzione di sottrarsi agli obblighi che la società richiede ai suoi membri, primo tra tutti quello di non attentare al benessere privato degli altri consociati o a quello generale della collettività per accrescere indebitamente il proprio.

La punizione non ha dunque connotati espiativi o di vendetta poiché è guidata esclusivamente dall’interesse pubblico di difendere il consorzio civile dal ripetersi di quegli atti che possono causare una perdita.

Qualsiasi altra motivazione comporterebbe un ingiustificato sacrificio di utilità dato che il castigo inflitto al reo non restituisce alla vittima né alla società il danno patito, ma al contrario si somma a questi rendendo il bilancio finale ancora più negativo. Per la teoria penale il passato non ha più alcuna rilevanza e ciò che conta sono solo il tempo presente e il bene futuro.

Questa può essere un’altra analogia che Filangieri e altri autori del periodo condividono con la prospettiva marginalista. Dato che la pena implica comunque una diminuzione di benessere per la società e per il reo che la subisce, il legislatore deve tenere in conto il suo costo e impegnarsi perché sia minimo. Ne consegue che la politica contro il crimine per scoraggiare un delitto non può fare ricorso a una severità indiscriminata e soprattutto deve essere consapevole che non è possibile impedire totalmente il compiersi dei reati.

Il sistema penale opera sempre in condizioni imperfette e deve accontentarsi di ridurre il numero degli atti illegali fino al punto in cui la convenienza di perseguirli è ancora in grado di compensare il sacrificio di utilità che si sostiene.

Un criterio di condotta economica per lo Stato che accomuna le pagine di Filangieri a quelle di Beccaria e Bentham. La Scienza della Legislazione dimostra originalità d’analisi nel giudicare quali comportamenti costituiscono un reato e sono meritevoli di repressione.

Il requisito essenziale, come abbiamo riportato in precedenza, è il presentarsi di un atto dannoso insieme a una manifesta volontà di commetterlo. Tale definizione non è però sufficiente a individuare con certezza il manifestarsi di un crimine poiché va contestualizzata al concreto scenario in cui ha luogo.

Lo stato di necessità nel quale l’uomo potrebbe trovarsi determina condizioni di scelta tra eventi tutti potenzialmente negativi e in condizioni normali classificabili come illegali.

Due chiari esempi descritti nell’opera sono il pilota che getta a mare il carico per salvare la nave dal naufragio o l’omicida che uccide un innocente perché sottoposto alla minaccia della vita da parte di un terzo soggetto.

Per stabilire se ci si trova davanti un vero reato bisogna quindi prendere in considerazione l’utilità e i costi di ogni singola alternativa che si propone a chi deve decidere.

L’opera indica tre soluzioni guida per giudicare, che si possono riassumere nel principio che la scelta delittuosa è quella che comporta i costi più elevati. Il momento centrale nella teoria filangieriana è costituito dalla riflessione sulla pena ottimale che contiene interessanti spunti di analisi economica del diritto e l’applicazione del principio marginalista alla soluzione del problema concreto di organizzare un’efficace politica di deterrenza.

Come viene annunciato già nel prologo di apertura, la sanzione deve risultare dal combinarsi della qualità con il grado. La pena inflitta è correlata al danno causato dal reato, ma la sua misura può variare entro dei margini in relazione alla minore o maggiore colpevolezza del reo.

Il legislatore deve ordinare la scala penale in modo che i delitti siano perseguiti con differente rigore secondo l’importanza che per la società assume il diritto leso. Si deve fissare in principio la sanzione per il più grave dei crimini e a seguire quella di tutti gli altri fino a giungere al più innocuo, facendo attenzione che tra di loro esista sempre una distanza proporzionale.

Filangieri riguardo al grado di responsabilità ne individua sei, tre di colpa e tre di dolo, ognuno dei quali va punito con severità decrescente.

È importante che ci sia coerenza tra i livelli di punizione dei reati. Dato che la disponibilità dei castighi è un insieme limitato, possono adoperarsi i medesimi per crimini di diversa gravità ma solo se si colpiscono gradi distinti.

La stessa pena può dunque applicarsi a un reato commesso con il minimo dolo o a un altro delitto meno grave ma compiuto con maggiore colpevolezza. Un problema può sorgere al momento di confrontare tra loro pene di natura dissimili come quelle carcerarie, corporali, pecuniarie, infamanti, ecc.

Tra sanzioni omogenee è possibile operare frazionamenti nella loro severità, che indichino chiaramente quale sia la maggiore e quale la minore ma in presenza di eterogeneità sorge l’interrogativo di come determinare i valori relativi.

La soluzione che viene escogitata prevede che si risalga al prezzo che gli individui attribuiscono ai diritti corrispondenti. L’esigenza di differenziare le pene secondo la gravità del reato è una delle priorità della letteratura del momento e la ritroviamo anche nelle pagine di Montesquieu, Beccaria e Bentham.

Filangieri condivide il timore, ricorrente negli altri autori, che reprimere delitti di diversa pericolosità con la medesima pena possa rendere la scelta tra loro indifferente o incentivare a commettere il peggiore.

Altrettanto ferma è la sua critica verso quelle politiche che mirano a produrre deterrenza attraverso un uso indiscriminato della severità, tesi che è comune alla maggior parte degli esponenti dell’Illuminismo giuridico. L’argomento più frequente contro i sistemi penali draconiani è la difficoltà di mantenere una scala delle sanzioni credibile a seguito di continui incrementi nella loro intensità.

A un certo punto la progressione verrebbe meno per l’esiguità di pene disponibili a scoraggiare in modo proporzionale tutti i reati e si potrebbe arrivare allo scenario, esposto in precedenza, dell’impossibilità di distinguere la punizione di delitti diversi.

In secondo luogo, bisogna prendere in considerazione che un incremento nel rigore comporta anche una crescita nei costi di applicazione e inattesi comportamenti di reazione da parte dei cittadini verso la giustizia.

Infine la politica contro il crimine ci offre un esempio di come ideare un sistema di norme in grado di realizzare l’obiettivo di difendere il benessere e i diritti individuali con la minore perdita possibile di utilità dei singoli e anche pubblica.

Il merito storico di Filangieri è di avere fondato questi contributi teorici su una base analitica costituita dal marginalismo, la cui formulazione abbiamo letto esposta con lucidità e precisione nel libro III, che viene consapevolmente impiegato al momento di dimostrare il concreto funzionamento della deterrenza penale e dell’uso delle sanzioni.

Un esempio di chiara anticipazione di un metodo e di una prospettiva analitica vicini a quella dell’economia neoclassica, e di ancora maggiore modernità nella scelta dell’oggetto di studio al quale applicarli. In conclusione di questo lavoro, riteniamo che al lettore si pongano alcuni interrogativi e si aprano altrettanto fecondi campi di ricerca.

L’economista troverà forse interessante confrontarsi con l’opera filangieriana, e più in generale con i precursori della moderna “Law and economics”, per trovarvi analogie o differenze che possano suggerire nuove ipotesi d’indagine.

Lo storico del pensiero economico probabilmente avvertirà l’importanza di analizzare maggiormente quegli autori e correnti che nella cultura economica illuminista si sono dedicati all’organizzazione ottimale di una società prospera ed equa e alla comprensione della capacità degli assetti legali di contribuire a produrre, distribuire e conservare il benessere.

Il nesso tra la contemporanea “Law and economics” e il suo precedente illuminista appare infatti più legato a un’ispirazione che quest’ultimo ha esercitato su autori come Becker che non il risultato di un patrimonio di conoscenze e dottrine tramandato dal XVIII secolo a oggi.

 

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