Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Gli scritti di Carlo Pisacane e il sogno infranto della rivoluzione sociale

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Carlo PisacaneE’ nota la sconfitta umana e politica di Carlo Pisacane( Napoli, 22 agosto 1818- Sanza,2 luglio 1857), colui che rappresentò l’avanguardia del movimento repubblicano democratico e socialista tra gli apostoli del glorioso Risorgimento.

Di un grande dramma umano, prima che politico e patriottico, ci si occupa nel momento in cui si scrive di questo patriota, ucciso dalla stessa gente che desiderava emancipare, contadini analfabeti e superstiziosi aizzati dai Borbone e dal clero. Il sogno della rivoluzione sociale di Carlo Pisacane venne infranto dalla reazione barbara e sanguinosa di coloro  a cui aveva prospettato la liberazione sociale.
Intendiamo in questa sede focalizzare l’attenzione sugli scritti politici di Carlo Pisacane, sul suo pensiero rivoluzionario decisamente persuaso della necessità di far sì che l’obiettivo dell’Unità nazionale dovesse procedere di pari passo con quello della questione sociale.

Pisacane, da repubblicano e socialista, ha espresso  il suo pensiero politico in quattro scritti, La Guerra Italiana, Poche Parole sulla relazione della campagna del 1849 in Sicilia, La Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849, e soprattutto La Rivoluzione.
Dai titoli già si può intuire che Pisacane non fu un avventato idealista. Conosceva bene ciò che era successo nel 1848, l’anno delle rivoluzioni, nel Mezzogiorno d’Italia e la rivolta della Sicilia, ma soprattutto era stato affascinato dalle rivolte dei contadini per le occupazioni delle terre

Prima del 1848 e negli anni successivi , i contadini, intuendo i tempi nuovi, si erano messi in moto per le occupazioni delle terre. Nei rapporti della polizia gli autori delle occupazioni erano definiti “ comunisti” in quanto il loro obiettivo era quello di dividersi le terre demaniali usurpate da nobili, ecclesiastici e grande borghesia.

Ovviamente i contadini non conoscevano il manifesto di Marx e Engels, pubblicato nel febbraio del 1848, ma erano ugualmente chiamati “ comunisti”. Guidati dai democratici radicali e anche liberali in alcuni casi, i braccianti intendevano appropriarsi delle terre demaniali usurpate e delle mense vescovili.
Furono molteplici  le rivolte dei contadini guidati dai democratici e repubblicani, dai liberali appartenenti alla piccola e media borghesia anche contro gli stessi possidenti liberali.
Nel distretto di Bovino, in Capitanata i liberali organizzarono i contadini nell’occupazione delle terre a Orsara e a Greci anche contro elementi conservatori.

A San Giorgio la Molara, provincia di Benevento, a Monteverde e Sant’Angelo dei Lombardi in provincia di Avellino furono lo stesso Sindaco e i domenicani ad essere i promotori dell’occupazione delle terre del principe Ruffo.
Inoltre in provincia di Salerno in tanti comuni si verificarono le occupazioni delle terre: Vallo della Lucania, Sala di Gioi, Castel Velino, Castelnuovo di Conza, Roccadaspide, Monteforte, Castellabate, Roccagloriosa e Sacco.

I democratici radicali compresero che questo era il momento di dare una chiara impronta sociale alla rivoluzione in atto e non bisognava limitarsi solo alla rivendicazioni delle libertà costituzionali.
Anche in Puglia, guidati dai “capitani del popolo”, uomini ultraliberali, i contadini invasero  i terreni a Bovino, Troia, Monte S. Angelo, Viesti, Orsara, Deliceto, Savignano, Barletta, Andria, Gravina, Altamura, Gioia del Colle, Noci, Cassano, Martina, Francavilla, Manduria, Palagiano.
In Basilicata i contadini furono guidati dai democratici repubblicani . Anche in questa regione furono tanti i comuni interessati  dall’occupazione: Pietrapertosa, Rionero in Vulture, Stigliano, Avigliano, San Mauro Forte, Melfi, Chiaromonte, Pomarico, Bernalda.
In Terra di Lavoro di Lavoro, in Principato Citeriore ed Ulteriore, i contadini si mobilitano. A Cervinara si gridava: Viva la Repubblica, Viva il Comunismo! In provincia di Avellino i terreni occupati riguardavano i comuni di Lauro, Quindici, Sant’Angelo dei Lombardi, Lioni, Melino Irpino.
In Calabria il grande patriota democratico Benedetto Musolino diventò il protagonista di una stagione di lotte , riuscendo a instaurare un forte legame tra i democratici repubblicani e le masse contadine. Tante le contrade interessate  in Calabria: in provincia di Catanzaro,  Doveria Mannella, Decollatura, Carlopoli, S. Mango, Albi, Rocca Bernarda e altri, mentre in provincia di Cosenza i contadini occuparono  le terre di Rossano, San Cosmo, Amendolara, Campana, San Fili, Grimaldi, Altilia, Aprigliano, Rogliano, Dipignano, Figline, Albidona e altri.

Tuttavia Carlo Pisacane scelse il Cilento, un territorio ove aveva operato la “Fratellanza”, gruppo che aveva assunto un carattere egualitario e in cui le parole di giustizia sociale avevano portato alle occupazioni delle terre del 1848 da parte dei “ comunisti”.
E’ tale il contesto dei fatti storici a cui Carlo Pisacane fece riferimento nei suoi scritti. Ne La guerra Italiana, ritroviamo già le idee portanti del suo pensiero, secondo il quale la rivoluzione morale in Italia era stata compiuta grazie alla perseveranza degli “ apostoli” e dei martiri contro i tiranni. Si mostrava pertanto necessaria compiere una  rivoluzione sociale con il popolo e con le masse contadine.
Le stesse idee furono ribadite dal Pisacane nello scritto sulla campagna del 1849 in Sicilia, in cui l’autore riconosce al Mezzogiorno e alla Sicilia in particolare, il merito della lotta intrapresa contro i tiranni, ma veniva ribadito il collegamento con il popolo.
Posizioni analoghe le ritroviamo anche nel saggio sulla Guerra combattuta in Italia negli anni 1848-1849, un’opera più completa e diretta nel comunicare che il socialismo non costituiva una generica aspirazione, ma il contenuto che avrebbe dovuto assumere la rivoluzione.

Pisacane muoveva da un atteggiamento critico nei confronti di Mazzini, del quale non condivideva la visione puramente politica della rivoluzione, non in grado di mobilitare le classi popolari. A tal fine auspicava la costituzione di un partito socialista rivoluzionario che avrebbe dovuto realizzare, con l’appoggio delle masse, soprattutto contadine, una rivoluzione di tipo socialista, con lo scopo principale della ridistribuzione delle terre agli stessi contadini.

Nel saggio Pisacane metteva sotto accusa monarchici e repubblicani, moderati e democratici che avevano tenuto ai margini la lotta contadina. La monarchia sabauda, secondo Pisacane, non avrebbe garantito  tale rivoluzione al pari di quella borbonica che era stata capace solo di “ ingannare, corrompere, tradire e sgozzare."

Pisacane proponeva  la figura del cittadino-soldato, scrivendo che l’Unità italiana doveva procedere di pari passi con la rivoluzione sociale per realizzare una repubblica democratica di stampo socialista.

Per Pisacane tale governo repubblicano e democratico sarebbe dovuto essere capace di “ svolgere, elaborare, discutere, formulare un altro germe racchiuso nell’impenetrabile involucro dell’ignoranza e della miseria del popolo. Quindi compito del rivoluzionario era far si che contadini si emancipassero dall’ignoranza e dalla superstizione, in cui fino allora sono stati tenuti dai governi e dal clero. Un compito difficile, ma da portare avanti al fine di “ far germogliare nel popolo la rivoluzione delle idee che deve sempre precedere la rivoluzione materiale”
Il saggio "La Rivoluzione" è lo scritto più importante di Carlo Pisacane, che contiene coinvolgenti implicazioni di ordine storico, filosofico, religioso ed economico. L’opera  si apre con una domanda retorica: “il progresso spande egualmente la prosperità su tutti?"

Ovviamente no, in quanto le società sono ugualmente caratterizzate da profonde ingiustizie che rendono impossibili una reale eguaglianza. Pertanto erano necessari “ mutamenti negli ordini sociali. In un mondo di cui non si conosce il creatore e non ha alcun senso ricercarlo, l’uomo è comunque, secondo la tesi già di Aristotele, un animale sociale che non ha amore per i propri simili. A livello storico e sociale ciò implica che i popoli oppressi devono comunque insorgere, guidati da riformatori nella loro perenne lotta contro i “conservatori, parte cancerosa della società”.

Pisacane era consapevole che pensatori come Tommaso Campanella, Mario Pagano, Gaetano Filangieri, Romagnosi ed altri avevano già, nei loro scritti, esplicitato o reso implicito il concetto della Rivoluzione sociale. Per Pisacane l’opera di Giuseppe Mazzini era nobile, ma nei suoi scritti mancava il riferimento alla rivoluzione sociale, mentre era presente un conservatore sentimento religioso di “Dio e Popolo”
Quindi Carlo Pisacane si faceva artefice di un sogno per cui decise di donare la vita, un’utopia condivisa anche da una minoranza di patrioti i quali seppero suscitare un moto rivoluzionario.

All’amico Giuseppe Fanelli, patriota che partecipò alla spedizione dei Mille, meditando sulle possibilità di un moto rivoluzionario anche gestito da una minoranza scrisse : “Un colpo intrapreso da pochi basterebbe per fare esplodere la rivoluzione[ … ]Vogliamo mandare ad effetto una congiura ristretta, rapida, in virtù della quale i quattro o cinquecento colli che sono in isola si trovassero in Cilento[ …[ importa sommamente non far precedere tal colpo da nulla che possa dar sospetti al governo, e non vivere, non operare, non pensare che alla riuscita di tal fatto”.
Sappiamo come andò a finire il tentativo rivoluzionario di Carlo Pisacane. Contadini rozzi e superstiziosi, tenuti nell’ignoranza dai Borbone e soggiogati da sempre dal clero, lo uccisero barbaramente  nelle terre del Cilento, mettendo in crisi il movimento democratico e repubblicano che da quel momento non ebbe la forza di riprendersi per tanti anni.
Concludiamo con le sue nobili parole riportate su Il Cagliari  la sera del 25 giugno 1857:

“Noi qui sottoscritti dichiariamo altamente, che, avendo tutti congiurato, sprezzando le calunnie del volgo, forti nella giustizia della causa e della gagliardia del nostro animo, ci dichiariamo gli iniziatori della rivoluzione italiana. Se il paese non risponderà al nostro appello, non senza maledirlo, sapremo morire da forti, seguendo la nobile falange de’ martiri italiani. Trovi altra nazione al mondo uomini, che, come noi, s’immolano alla sua libertà, e allora solo potrà paragonarsi all'Italia, benché sino a oggi ancora schiava “.

 

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