Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Giancarlo Tramontano, il tirannicidio di Matera

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Castello Tramontano a MateraGiancarlo Tramontano, meglio conosciuto come “il Conte di Matera” è stato un controverso personaggio della storia del Regno di Napoli, nato a Sant’Anastasia il 20 ottobre 1450 e morto a Matera, a seguito di una congiura, il 29 dicembre 1514.

“Bos lassus firmius figit pedem” cioè “ il bue stanco segna più marcatamente il passo” come cita il motto dello stemma della città lucana ad indicare che un popolo stanco si ribella per riconquistare la propria libertà.

La storia e i personaggi

Giancarlo Tramontano era figlio di Ottaviano, banchiere e di Fiola Penta della quale non ci sono pervenute notizie.

Dotato di immense ricchezze, riforniva di denaro persino gli Aragonesi con i quali mantenne sempre ottimi rapporti.

Abile spadaccino, venne educato secondi i canoni dell’epoca, alla scuola delle armi e dell’intrigo.

Servendosi delle sue amicizie e, probabilmente di ricatti e altro, riuscì a farsi nominare capo degli armigeri aragonesi.

Successivamente, grazie alla sua spregiudicatezza, al suo disinvolto utilizzo del denaro e all’aiuto del popolo facilmente manovrabile, riuscì ad ottenere un posto nel Parlamento Partenopeo, solitamente riservato ai nobili.

 

Incarico prestigiosissimo dunque, scaturito per la prima volta da un atto elettivo, per il quale la città di Napoli gli ha intitolato una strada del quartiere Mercato.

Ottenne anche il titolo di Mastro della Zecca. Grandioso nel suo modo di vivere, amava circondarsi di una piccola corte di adulatori della quale si sentiva il sovrano.

Attirò, così, l’interesse e la simpatia del re Ferdinando II d’Aragona al quale chiese il governo di Matera, città che non era soggetta a nessun vincolo feudale. Il re acconsentì a condizione che fosse accettato dai materani.

La decisione del popolo inizialmente gli fu contraria poi, però,  servendosi del suo denaro, il nostro “personaggio” corruppe e comprò uomini, sostegno popolare e consenso della cittadinanza tanto da riuscire nel suo intento. In quel periodo sposò Elisabetta Restigliano i cui natali ci sono ignoti.

Durante la guerra contro i Francesi, nel 1502, venne imprigionato da Carlo VIII  in territorio pugliese. Perse così il titolo, e tutti i privilegi che tanto faticosamente si era conquistati.

La prigionia durò poco, infatti ben presto venne scagionato e liberato. Tornò a Napoli dove cercò in tutti modi e con tutti i mezzi di riappropriarsi del feudo perduto.

Ad ogni costo doveva rientrare nelle grazie del Re e a tale scopo fu, ancora una volta, grandioso e magnifico nell’organizzare feste, banchetti, manifestazioni in onore dei sovrani  che, secondo i suoi disegni, ne avrebbero ricevuto impressioni di potere, di forza e di munificenza.

Durante un corteo reale, ad esempio, il percorso fu incorniciato da archi di trionfo che lui aveva personalmente disegnato e fatto costruire.

Al passaggio dei sovrani, migliaia di  fiori e petali  sarebbero piovuti dal cielo in un turbinìo di colori, creando un tappeto sul quale la processione reale si sarebbe snodata al centro di grida festose ed acclamanti.

Per la regina  Germana De  Foix, aveva in serbo un dono straordinario. Una collana  di 25 perle del valore di 24000 ducati.

Tanta munificenza, però, non incantò il re. Ferdinando il Cattolico infatti accettò i doni, lo ringraziò ma non gli concesse Matera. Quando il sovrano rientrò in Spagna, il nostro avventuriero rivolse le sue attenzioni al Vicerè.

Questi meno scaltro e più interessato del regnante,cadde nella sua rete e , sicuramente in cambio di chissà cosa, gli concesse il feudo. Giancarlo Tramontano venne così reintegrato nel suo titolo nobiliare e nei suoi possedimenti.

La gestione della contea, però si rivelò disastrosa e così pure il rapporto con la popolazione.

Avendo dilapidato quasi tutto il suo patrimonio,  il Conte voleva rientrarne in possesso imponendo gravosissime tasse ai Materani.  La sua sete di denaro aveva due obiettivi fondamentali:

Acquistare dei feudi vicini per allargare i suoi territori;

Realizzare la costruzione di un castello a Matera molto simile a Castel Nuovo di Napoli.

Negli anni che seguirono riuscì a realizzare il suo sogno che, però, rimase incompiuto. Castello Tramontano, infatti, è ancora lì, gigantesco nella sua mole pur nella sua incompletezza!

La Congiura

Tasse e balzelli, imposti dal Conte con prepotenza ed arroganza, esasperarono ulteriormente gli animi dei suoi concittadini che, stanchi dei suoi soprusi e della sua tirannia, organizzarono un’imboscata nel Duomo di Matera dopo la Messa domenicale del 29 dicembre 1514.

Tutto fu studiato nei minimi particolari: le sue guardie armate, mercenarie, sarebbero state  corrotte  facilmente e lui stesso sarebbe stato disarmato vista la consuetudine  di deporre le armi prima di entrare in chiesa.

Il luogo in cui fu ordita la congiura prese il nome di “ U pizzone du mmal consighj” vicino alla parrocchia rupestre di San Giovanni Vecchio. Teatro dell’assassinio fu una stradina laterale al Duomo che da quel momento prenderà il nome che conserva ancora oggi di “Via Riscatto.”

Morte al tiranno

Tramontano, prima cercò di fuggire, poi circondato dai congiurati capeggiati da Tassiello di Castaldo e Cola di Salvagio, si difese strenuamente ma altrettanto inutilmente.

Venne trucidato a colpi di alabarda e del suo cadavere, orrendamente mutilato, fu fatto scempio.

Di questo avvenimento si conserva nel Duomo un’iscrizione latina che recita testualmente: “Die 29 dec…interfectus est comes”.

Le campane suonarono a martello annunciando la sua morte, circostanza che scatenò vari disordini e tumulti.

Una folla impazzita si riversò nelle strade e nei vicoli della città. La sua dimora fu assalita e saccheggiata, sua moglie imprigionata e, solo per il buon senso di alcuni congiurati, salvata da una morte orribile.

Il cadavere di Giancarlo Tramontano rimase per qualche tempo insepolto, visibile a tutti  lì, dove era stato ucciso, quale tremendo monito del livello di violenza al quale può arrivare un popolo a lungo sottomesso.

L’assassinio, considerato un reato politico, richiamò l’attenzione della Corona che inviò sul luogo il commissario Giovanni Villani nel tentativo di punire i colpevoli.

Questi, burocrate incompetente, si mise subito alla ricerca di un capro espiatorio e ne identificò ben quattro che vennero subito condannati a morte, nonostante nessuno dei quali avesse partecipato realmente alla congiura.

Chi sapeva preferì tacere!

 

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