Eleonora, stralcio di vita
A volte una scelta apparentemente insignificante è sufficiente per caratterizzare una personalità, basta cioè eliminare un “de” dal proprio nome. E' quello che fece Eleonora Anna Maria Felice de Fonseca Pimentel quando decise di liberarsi di un titolo nobiliare troppo ingombrante per la visione democratica ed egualitaria della società che aveva abbracciato e di chiamarsi più semplicemente Eleonora Fonseca Pimentel. Chi era Eleonora? Donna di grande intelligenza, raffinata poetessa, è sicuramente una delle figure più coraggiose della storia del nostro meridione; una patriota della Rivoluzione napoletana del 1799 che pagò il prezzo del suo impegno con la vita. Arrestata e condannata a morte dal borbone, dimostrò fino alla fine una fermezza di spirito che le valse l’ammirazione di contemporanei e posteri. Fu impiccata a Piazza del Mercato, a Napoli, il 20 agosto 1799. Le sue ultime parole furono le virgiliane “Forsan et haec olim meminisse juvabit”, “Forse un giorno gioverà ricordare tutto questo". (Virgilio - Eneide Libro I, v. 203) L’ultima ignominia: una satira anonima contro di lei che recitava: “A signora ‘onna Lionara/che cantava ‘ncopp’ ‘o triato/mo abballa mmiez’ ‘o Mercato/Viva ‘o papa santo/ ch’ ‘ha mannato ‘e cannuncine/pe’ caccià li giacubine/Viva ‘a forca ‘e Mastu Donato!/Sant’Antonio sia priato”.
Così annotò l’avvenimento in “Storia del reame di Napoli” lo storico Pietro Colletta: “Morirono de’ più noti del regno…e furono dell’infelice numero Caraffa, Riario, Colonna, Caracciolo…ed altri venti d’illustre casato; a fianco dei quali si vedevano uomini chiarissimi per lettere o scienze…e donna rispettabile la Pimentel, e donna misera la Sanfelice…” Di origini portoghesi, Eleonora nacque a Roma il 13 gennaio 1752; si trasferì, ancora bambina, a Napoli, dove dimostrò subito un’intelligenza vivace negli studi e una propensione per la poesia che la portò in seguito a scrivere componimenti e ad entrare nell’Accademia dei Filateti e nellArcadia. Nel 1778 sposò Pasquale Tria de Solis, un matrimonio che si rivelò ben presto infelice, funestato dalla terribile morte del figlio Francesco di appena 8 mesi e di un altro figlio che aspettava e che perse in seguito ai maltrattamenti del marito, dal quale si separò nel 1785. Infiammata dalla ventata rivoluzionaria che si diffuse in Europa con la rivoluzione francese, si diede con passione all'avventura politica, mossa dall’ansia di libertà e sinceramente determinata a migliorare le condizioni di vita delle classi disagiate. Per tal ragione finì ben presto nel libro nero della polizia borbonica e fu arrestata e condannata al carcere con l'accusa di giacobinismo. Era il 24 dicembre del 1798 quando il vile Ferdinando scappò a Palermo con tutta la corte per sfuggire all'esercito francese che stava marciando su Napoli. Le carceri vennero assalite nei tumulti dell'anarchia. Tra i tanti anche la Pimentel fu liberata e trovò rifugio a palazzo Serra di Cassano. Fra il 19 e il 20 gennaio 1799 fu alla testa delle altre patriote nell’azione di conquista del Forte di Sant’Elmo. Quando, il 23 gennaio 1799, viene proclamata la Repubblica Napoletana, “Eleonora che scossa e concitata dagli straordinari avvenimenti, aveva composto in Sant’Elmo un Inno alla libertà, lo declamò tra gli applausi, ripetendo tutti a coro le strofe di odio ai re e di giuramento alla Libertà”, scrisse di lei Benedetto Croce. Dal governo rivoluzionario ricevette l'incarico di dirigere il giornale il Monitore Napoletano, organo di stampa ufficiale del nuovo governo, attraverso il quale diffuse gli ideali della rivoluzione e la cronaca degli avvenimenti. Il primo numero esordì con un messaggio di grande esultanza: “… siamo liberi in fine, ed è giunto anche per noi il giorno, in cui possiamo pronunciare i sacri nomi di libertà e uguaglianza, ed annunciarci alla repubblica Madre come suoi degni figliuoli; a’ popoli liberi d’Italia ed Europa, come loro degni confratelli…”. La Repubblica Napoletana ebbe però breve vita. Appena sei mesi, troppo pochi per organizzare uno Stato solido e per far comprendere alla plebe ancora fortemente legata alla monarchia, i principi di una Repubblica. L'esercito francese che aveva appoggiato la liberazione del regno dalla monarchia borbonica, ben presto, dopo lauti bottini di guerra, fu richiamato al Nord, lasciando i rapubblicani di Napoli praticamente soli, senza mezzi e soprattutto senza un esercito adeguato in numero ed armi per affrontare gli attacchi controrivoluzionari. Il 13 giugno, dopo un'estenuante lotta, la Repubblica Napoletana caddè sotto i colpi delle truppe mercenarie organizzate dal Cardinale Ruffo. Le capitolazioni promesse dallo stesso Cardinale ai repubblicani per favorirne l'arresto, furono tramutate da monarca borbone in condanne a morte. Migliaia di cittadini furono arrestati, centinaia giustiziati; i nomi più illustri della cultura napoletana caddero, insieme ad Eleonora , sotto i colpi della repressione: il borbone condannò a morte “il fiore dell’intelligenza meridionale”.
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