Wilhelm Brasse, l’uomo che fotografò l’orrore
Brasse è scomparso martedì 23 ottobre a Zywiec, nella Polonia meridionale, all’età di 95 anni. Era arrivato a Auschwitz il 31 agosto 1940, a 22 anni, insieme ad altri 400 prigionieri politici polacchi. Allora era un giovane fotografo alle prime armi, catturato dai tedeschi al confine con l’Ungheria nell’aprile precedente, mentre tentava di fuggire in Francia. Gli venne offerto di salvarsi, entrando nella Wehrmacht. Brasse rifiutò e salì sul treno per Auschwitz-Birkenau. Istituito nel gennaio 1941 per ordine del comandante Rudolf Höss, questo ufficio fotografico era affidato al sergente Bernhard Walter, sotto il diretto controllo della Gestapo. Con la supervisione di Walter, Wilhelm Brasse ha scattato più di 40.000 fotografie, alcune delle quali sono sfuggite alla distruzione e sono ora esposte al Museo di Auschwitz. Profilo destro, con il poggiatesta ben spinto sopra la nuca. Scatto frontale, con il numero e la stella di Davide ben visibili sul petto. E infine, un mezzo profilo da sinistra, con un berretto o un copricapo. Per due anni e mezzo, Brasse ha trasferito su pellicola i volti di migliaia di donne, uomini e bambini che varcavano il cancello di ferro del campo, momentaneamente sfuggiti alla morte e avviati al lavoro nel lager. Ma a Brasse non furono ordinati solo i ritratti all’interno dello studio fotografico del campo. Quando Eduard Wirths e Josef Mengele, i medici di Auschwitz-Birkenau, iniziarono i loro esperimenti pseudo-scientifici sui prigionieri, Brasse fu condotto con la sua macchina fotografica nel laboratorio medico, osservatore impotente chiamato a documentare visivamente quella follia. In un’intervista concessa a “The Guardian” nel gennaio 2005, Brasse ricorda l’orrore di quel laboratorio, la disperazione di quelle giovani donne sottoposte a sterilizzazione forzata e a altri tremendi esperimenti ginecologici, donne ignare del terribile trattamento a cui erano sottoposte. “In un paio di occasioni fui chiamato a scattare fotografie a colori di questi esperimenti, ma per la stampa la pellicola fu inviata a un laboratorio di Berlino. Mi dissero che si trattava di una ricerca sul cancro all’utero, ma con quelle foto avrebbero potuto farci qualsiasi cosa”. Nell’intervista di Janina Struk, Brasse rievoca anche la prima esecuzione di massa nella camera a gas di Auschwitz con il Zyklon-B. Era il settembre 1941 e in quella occasione fu lo stesso responsabile dell’ufficio fotografico a eseguire le riprese dei 600 prigionieri sovietici e dei 250 deportati polacchi che furono i primi a entrare nella camera a gas. Bernhard Walter, dopo aver personalmente girato il film, con le orrende esecuzioni capitali nel cortile del Blocco 11, chiamò Brasse a visionare la pellicola. “Non ho mai dimenticato, e probabilmente non dimenticherò mai le scene di quel film”, ricorda Brasse nell’intervista. Per lungo tempo, dopo la liberazione, non è più riuscito a poggiare l’occhio dietro un obiettivo, Wilhelm Brasse. Lo ha fatto nel 2005 per il documentario “Il ritrattista” della regista polacca Irek Dobrowolski, durante il quale “il fotografo di Auschwitz” ha aperto la porta al flusso dei ricordi e ha narrato pubblicamente gli orrori osservati attraverso la sua macchina fotografica.
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