Dall’Auri sacra fames virgiliana ai miliardari moderni
L’argomento era impegnativo per un quattordicenne e non vinsi alcun premio; adesso confido nella comprensione della rivista per la pubblicazione dell’articolo. La frase intera Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames, è tratta dall’Eneide di Virgilio (Libro III, versi 56-57) e si riferisce ad un episodio della guerra di Troia: «Il povero Priamo segretamente aveva un giorno mandato questo Polidoro (il figlio ndr) al re Tracio, con un grande tesoro, affinché lo crescesse, quando ormai aveva perso fiducia nella guerra e vedeva la città dardania circondata dall'assedio. Costui, non appena le forze troiane furono infrante e la Fortuna si allontanò, seguendo i re greci e gli eserciti vincitori, infranse ogni legge divina: uccide Polidoro, e con la forza si impadronisce del tesoro. A che cosa non spingi l'animo degli uomini, maledetta fame dell'oro!» L'espressione virgiliana ha evidente valore deprecativo nei confronti della cupidigia di ricchezze come vizio capitale dell'umanità e movente di azioni vili e ferali. In latino l'aggettivo sacer, accanto al significato equivalente all'italiano «sacro», può assumere anche il valore opposto di «esecrabile, maledetto» Nella storia la ricerca dell’oro è frequentemente associata a eventi tragici: Medea uccise i figli dopo essere stata tradita da Giasone, l’eroe che partì con gli argonauti alla ricerca del vello d’oro nella Colchide. Studiosi moderni ritengono che la pratica degli abitanti di quel Paese consistesse nel ricavare pagliuzze d’oro dai fiumi che scendevano dalle montagne del Caucaso usando come filtro la pelle di montone. I romani invasero la penisola iberica nel 218 a.C. e due secoli dopo la Dacia (attuale Romania) per impadronirsi delle ricche miniere d’oro; nel quindicesimo e sedicesimo secolo dell’era moderna vascelli spagnoli e portoghesi portarono in Europa dall’America una enorme quantità del metallo prezioso dopo lo sterminio delle popolazioni locali. Leggi tutto: Dall’Auri sacra fames virgiliana ai miliardari moderni Stahlhelm: ascesa e declino dell’elmetto d’acciaio
Di converso, lo scoppio del primo conflitto mondiale portò al più radicale e accelerato dei cambiamenti di tutta la storia nell’intero mondo tecnologico militare. Nessuno poteva ancora immaginare la potenza effettiva di questo immenso progresso, che portò al sacrificio di migliaia e migliaia di anime. Nei primi mesi di guerra nessun soldato era dotato di un adeguato casco protettivo e buona parte delle perdite si ebbe proprio a causa di gravi ferite alla testa. Ciò portò i vari Stati Maggiori ad adottare delle urgenti contromisure, che culminarono nella definitiva creazione e adozione di caschi protettivi da parte di tutti gli eserciti. Tra i vari elmetti della grande guerra, oltre all’Adrian francese e al Brodie britannico, spiccava anche il celebre Stahlhelm dell’esercito tedesco, con la sua riconoscibile forma aggressiva a secchio di carbone. Il suo disegno fu il frutto di un precedente studio svolto dal dottor Friedrich Schwerd sulle ferite che venivano procurate alla testa nella guerra di trincea. La sua fama fu tale che fin da subito divenne una vera e propria icona nel mondo militare, tanto da dar vita successivamente anche ad una organizzazione paramilitare tedesca di destra, lo Stahlhelm, Bund der Frontsoldaten, ovvero “Elmetti d’acciaio, Lega dei soldati del fronte”, che successivamente divenne un movimento politico. Leggi tutto: Stahlhelm: ascesa e declino dell’elmetto d’acciaio Gaetano Filangieri e la Rivoluzione Napoletana del 1799
L’Italia che accolse l’armata d’Oltralpe si presentava come una grande metafora della decadenza: la divisione politica e il controllo straniero di larga parte del territorio erano solo un frammento nel quadro più generale di un organismo sociale da molti secoli ripiegato su se stesso. Questa arretratezza storica e di avvilimento morale non tardarono a rivelarsi il fattore determinante dell’accoglienza favorevole riservata a Bonaparte che appariva un ambasciatore della Libertà e dell’Eguaglianza.[1] Dal 1734 Carlo di Borbone aveva fatto di Napoli la capitale del sud, dopo oltre due secoli di vicereame spagnolo. Al nuovo re erano spettati compiti gravosi: ridimensionare il potere feudale, limitare l’ingerenza della Chiesa e migliorare la qualità della vita dei suoi sudditi. Leggi tutto: Gaetano Filangieri e la Rivoluzione Napoletana del 1799 Vittime innocenti. Per non dimenticare
Secondo le indagini il Pennacchio si era probabilmente intromesso in faccende illecite che gli costarono la vita. In quel periodo era sindaco del comune Giuliano Granata, ex segretario particolare di Ciro Cirillo, sequestrato dalle Brigate Rosse nel 1981 per 89 giorni. Il sequestro fu al centro di durissime polemiche, infatti, la Democrazia Cristiana optò per la trattativa con i terroristi. La sua liberazione avvenne tramite intrecci mai chiariti del tutto, che videro probabilmente anche la mediazione di Raffaele Cutolo. Il 2 luglio 1982, a Marano di Napoli, il Carabiniere Salvatore Nuvoletta, nato nel 1962, fu vilmente ucciso, mentre, libero dal servizio, era nel suo paese d'origine con un bimbo di nove anni, che riuscì a scansare dalla traiettoria dei proiettili. Salvatore, che aveva appena compiuto 20 anni, prestava servizio alla Stazione di Casal di Principe (CE). Nuovo Monitore Napoletano N.186
Nuovo Monitore Napoletano N.186 Giugno 2024
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Pietracupa. Autobiografia di un paese
È la vita di un paese del Molise di per sé piccolo per dimensioni demografiche ed urbanistica ma con una storia lunga, che l’autrice ricostruisce sin dai primissimi insediamenti umani della località e da una fattoria sannita ritrovata dagli archeologi nell’agro circostante, anteriore persino alla conquista romana. Il periodo cronologico coperto va infatti dall’età del ferro sino alla fine del XX secolo. La metodologia impiegata dall’autrice combina felicemente tre correnti storiografiche diverse. La prima è quella tradizionale della storia narrativa, espressa ad alto livello dagli storici antichi e proseguita sino al XXI secolo, con i suoi pregi di perspicuità e comprensibilità, ricostruzione evenemenziale, affascinazione del lettore. La seconda è la sua figlia moderna ossia la microstoria, con la sua analisi eccezionalmente minuziosa di singole persone od eventi ed uno sguardo privilegiato alla sterminata folla di tutti coloro che, per vari motivi, compaiono pochissimo nelle fonti anteriori all’era contemporanea ed in intere tipologie di ricerca storica. La terza è lo studio della cultura orale, che viene approcciata dall’autrice ricorrendo al magistero ed alle suggestioni della metodologia che cerca di comprendere l’immaginario delle classi rurali premoderna servendosi delle loro stesse categorie mentali. |
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