Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Molise: bruciata la macchina di un prete - giornalista

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Questa volta hanno alzato il tiro. Già in passato il giovane prete molisano aveva subito minacce di morte: lettere anonime con croci nere, volantini disseminati davanti l’abitazione dell’anziana madre, avvertimenti, intimidazioni. Aveva ficcato il naso dove non doveva, aveva denunciato gli ammanchi nella sua parrocchia. Aveva fatto il suo dovere di prete e di cittadino. Quella brutta parentesi sembrava chiusa definitivamente. Ha continuato a fare il suo lavoro senza guardare in faccia a nessuno.

E sono ritornate le vecchie paure. Per don Paolo Scarabeo, iscritto anche all’Ordine dei giornalisti del Molise, è stato riservato un trattamento speciale. La sua macchina, un’Alfa 156, è stata data alle fiamme in piena notte. In perfetto stile mafioso.

 

Nelle vicinanze è stata trovata anche una tanica di benzina. Il grave fatto si è consumato giovedì scorso a Venafro, in provincia di Isernia, dove il giovane parroco risiede. È stata sua madre, nel cuore della notte, ad accorgersi dell’incendio doloso.

Subito sono cominciate a circolare strane voci: donne e pedofilia. Dopo le fiamme è iniziata la strategia della diffamazione, del fango. È comparsa la tecnica utilizzata dalle organizzazioni criminali per delegittimare i loro nemici, i loro avversari. Chi conosce don Paolo Scarabeo può escludere sia la questione ‘donne’, sia l’infamante accusa di ‘pedofilia’.

Don Paolo è un giovane prete impegnato: è il direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi Isernia-Venafro, lavora per il settimanale della Curia, è presidente di una squadra di calcio, è quotidianamente impegnato nel sociale. E fa anche il giornalista. Ultimamente ha denunciato ai carabinieri un grave fatto di pedofilia.

Ma allora cosa è successo a Venafro? Si può collegare l’incendio doloso alla denuncia per pedofilia? Sono ritornati in gioco gli stessi squallidi personaggi delle vecchie minacce? Don Paolo Scarabeo è anche teste in un processo penale. È stata un’azione intimidatoria in vista dell’udienza, per tentare di chiudere la bocca al prete?

Resta il silenzio assordante in Molise. La notizia è passata come passano tutte le altre notizie. Con la sordina. Senza nessun tipo di approfondimento. Senza l’intervento forte delle Istituzioni locali, sempre impegnate in altre questioni (che poco si avvicinano alle esigenze dei cittadini). Don Paolo non va lasciato solo.

Non può essere lasciato con i suoi problemi. Tutti, non solo la sua comunità, devono stringersi intorno al giovane prete per far sentire quel calore, quella forza necessaria per andare avanti. Come prima, più di prima. Per continuare le sue battaglie contro il malaffare. E il Molise è una Regione piena di malaffare e di ‘brutte’ persone.

L’unica discussione si è registrata sul web, nella pagina facebook ‘Proviamo a cambiare anche Venafro?’ dove diversi iscritti hanno commentato con rabbia l’episodio criminale.

“Sinceramente – scrive Nicandro Forte - questi metodi non sono nuovi a Venafro e sinceramente resto a bocca aperta nel vedere gente e politici meravigliarsi di tale gesto gravissimo.Vi ricordo che politicamente non si è fatto nulla per impedire il soggiorno a esiliati di spicco della malavita organizzata. Politicamente non si è fatto nulla da 15 anni a Venafro”.

Per il giornalista Antonio Sorbo, oggi consigliere comunale e provinciale:

“la deriva di Venafro in questi anni non è stata soltanto economica, amministrativa, politica ma anche sociale e culturale. Ci hanno lasciato un’eredità pesante e penso che dobbiamo ricominciare quasi da capo, in tutti i sensi, come cittadini prima di tutto e poi come politici ed amministratori. C’è un forte disagio sociale che si fa finta di non vedere, c’è una presenza silenziosa ma non troppo di personaggi inquietanti e c’è, mi sembra (non vuole essere una critica ai singoli operatori, ma a chi organizza il servizio), rispetto al passato un allentamento dei controlli e dell’opera di prevenzione e repressione delle forze dell’ordine. So di altri episodi, meno gravi di questo. Ne ho conoscenza diretta e personale perché mi riguardano da vicino. Sono segnali che la mentalità è cambiata in questi anni. Serve una svolta, ma ho paura che la maggior parte dei venafrani continuerà a far finta di non vedere, a illudersi che siamo ancora l’isola felice che eravamo trent’anni fa. La risposta deve essere dura e decisa. Facciamo qualcosa di concreto”.

In questa ‘isola infelice’ (dove non esiste una libera stampa, dove i ‘cani da guardia’ sono stati sostituiti da ‘cani da compagnia’) chi tocca certi ‘interessi’ viene messo all’angolo, colpito con lucida freddezza. E se anche dall’angolo continua le sue battaglie gli vengono riservati particolari trattamenti. Ma per aprire gli occhi, per un necessario scatto di orgoglio, bisogna necessariamente aspettare il morto?

 

Paolo De Chiara

 

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