8 Marzo, festa della donna. Si, ma di quale donna?
Nello sconfinato universo femminile, dove nessuna è paragonabile ad un’altra, non solo per etnia, ma per l’unicità del proprio vissuto, pare oggi d’obbligo che il primo pensiero debba andare a quelle che subiscono, ingoiando violenze quotidiane fisiche e psicologiche, in famiglia e sul lavoro, a quelle finite sotto la scure di amori assassini, a quelle che piangono in silenzio e pregano il loro dio che non le ascolta, a quelle che hanno dimenticato il senso della dignità e sopportano di tutto, pur di salvaguardare ipocrite facciate sociali e l’apparente pace familiare, che preferiscono soffrire per non far soffrire, a quelle che vegetano e prolificano, schiave felici della beata ignoranza, a quelle che si lasciano sopraffare da un’illusione d’amore, a quelle che fingono, tacciono, mentono, puntano il dito ed invidiano la vita altrui per riempire la loro. A quelle incattivite dalla miseria dell’anima, a quelle che un’anima non ce l’hanno o da cui anche questa rifugge. Il primo pensiero, insomma, va a tutte quelle donne a cui la vita ha detto No, e quel No è divenuta la loro ragione di vita, accettazione dannata del proprio essere. A tutte loro va il sincero augurio che un miracoloso raggio di sole possa donarle un giorno di riscatto e da quel giorno possano ritrovare il senso di un'esistenza migliore. E forse allora impareranno a rispondere No al No della vita, liberandosi dalle catene dei preconcetti, tuffandosi in un mare minaccioso quanto liberatorio, fino a giungere stanche, lacere e tramortite sulla terra del riscatto, su cui vivono e combattono altre rare donne, quelle che hanno creduto in se stesse, senza risparmiarsi, che non hanno temuto la fame e la miseria e soprattutto di restare sole, perché hanno compreso che l’amore per la libertà vale molto più di un falso amore per un uomo, che la libertà comporta responsabilità, rischi, capacità di scelte, ma non è avara di doni, ti sorprende, ti insegna a sorridere, a credere in un Dio che ti ascolta, a vivere a testa alta e per te stessa e non vegetare per compiacere ad un altro che ti plagia, a mettere al mondo un figlio con la consapevolezza che sarà l’unico amore incondizionato che avrai, pur se lo amerai per due e che per lui soltanto i sacrifici non sono più sacrifici, ma doni d’amore, quello vero.
Sono queste le donne a cui la sofferenza ha scolpito l’anima, che hanno imparato a difendere i loro sogni senza permettere a nessuno di distruggerli, e se qualcuno lo ha fatto, hanno avuto la forza di rimboccarsi le maniche e di ricostruire tutto daccapo, frammento per frammento, ripartendo dal niente, dall’incertezza del domani, dalle voci di dentro, dal sangue caldo che ancora impavido scorreva nelle vene anche quando fuori c’erano solo cortine di ghiaccio ed il peso schiacciante della solitudine. Alle donne rivoluzionarie, baluardo di giustizia, quelle che non passano invano, che non temono il confronto con gli uomini. Alle protagoniste della propria vita di oggi e di ieri che hanno lasciato e lasceranno un segno nel loro piccolo universo o in quello eterno della storia, a quelle che per prime si sono tuffate nelle guerre dell’anima e del corpo, nel mare liberatorio, rischiando, spendendo e sacrificando la loro fragile esistenza per il profondo e sublime senso di essere non una donna qualsiasi, ma una donna vera, una donna Libera!
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