Michele Marino ed Antonio Avella, il popolo nella rivoluzione

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Le deformazioni clericali-sanfediste-borboniche e intellettualistiche (da quella liberale a quella marxista) della complessa e poliedrica esperienza storica della Repubblica Liberaldemocratica napoletana del 1799, quale nella ’realtà effettuale’ si svolse, non mettono mai in luce il consenso che, pur nei pochi mesi di vita, la Repubblica ebbe comunque nel variegato mondo popolare napoletano e nelle province (anche se molto c’è ancora da studiare per la scientifica distruzione clericale-borbonica dei documenti sull’esperienza repubblicana).

Gli esempi sono dati dai due Grandi Martiri Popolani del 1799 quali furono Michele Marino e Antonio Avella.

Michele Marino era vinaio ed aderì con entusiasmo alla Repubblica, impegnandosi notte e giorno per difenderla e diffonderla, con tale spirito animoso e ardente che fu denominato ‘il Pazzo’.Salì il patibolo il 29 agosto con Nicola Fiani, Nicola Fasulo, Gaetano De Marco e l’altro amico popolano Antonio Avella.

Come dice il grande storico dei Martiri napoletani e italiani del Risorgimento Mariano D’Ayala (la cui Cappella nel Recinto degli Uomini illustri del Cimitero di Poggioreale è abbandonata al degrado, con scandalo grave vicino a quello del Carmine) ”egli il primo salì animoso la scala del patibolo” e così resta e resterà profondo nella nostra memoria grata e commossa con questo gesto deciso, nobile e indimenticabile di fede civile e politica.

Antonio Avella era del popolo di Porta Capuana ed aveva un negozio di oli e commestibili sulla parte destra dello spiazzo che precede la monumentale porta cinquecentesca. Era chiamato anche ‘Pagliuchella’.

 

Egli aveva partecipato con altri popolani al contrasto contro la venuta dei francesi, sia condizionato dall’infame propaganda clericale-borbonica che per dieci anni (dal 1789 al 1799) era stata scatenata specialmente dai pulpiti contro la Rivoluzione francese e i suoi principi, fino a presentare i soldati francesi come ‘mangiatori di bambini’ (con una fanatizzazione delle masse che ha avuto pari solo nelle propagande totalitarie fasciste, naziste, comuniste staliniste), sia perché pensava che si dovessero perciò difendere la religione e la patria.

Ma quando si avvide che la Repubblica significava rispetto profondo per la religione e riscatto della dignità di ogni essere umano, non più suddito o servo, ma cittadino libero, aderì con slancio alla repubblica e fu nominato giudice di pace nel suo quartiere. E si impegnò notte e giorno per introdurre nel mondo dei lazzari napoletani abbandonati colpevolmente e volpinamente dai potenti clericali e politici alla miseria, all’ignoranza, alla superstizione secolari, in modo da poterli tenere sempre soggetti e sfruttati, raggi di dignità, di libertà, di coscienza dei propri diritti di popolo.

Onde lasciare un esempio crudele e ammonitore allo stesso mondo popolare, i clericali sanfedisti borbonici, servi degli inglesi anglicani di Nelson soprattutto, lo martirizzarono in modo più spettacolare, portandolo prima per le strade sopra un asino con le mani legate dietro la schiena e strette da due mazze (da sembrare ed essere veramente un Crocifisso), per essere schernito.

Ma egli, come dice il nostro grande D’Ayala ”lieto di aver fatto il suo primo ed ultimo dovere, saliva imperterrito le scale del patibolo soltanto trafitto dal pensiero di lasciare gli amati moglie e figli.”

 

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