Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Le mille tolleranze zero

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Riportano una notizia i giornali: che migliaia di stranieri, in grande maggioranza cinesi ma anche di altre provenienze, in compagnia di numerosi italiani, hanno manifestato avantieri nelle nostre principali città per solidarizzare con la comunità cinese colpita dal duplice efferato omicidio di Torpignattara. Episodio sconvolgente e terribile, sul quale comunque è necessario meditare. Non prima però di avere costatato che il sanguinoso episodio si iscrive in una successione sempre più frequente di delitti analoghi, soprattutto nelle periferie romane e milanesi.

A questo punto dobbiamo andare un poco indietro nel tempo e fermarci un poco a riflettere su alcune domande. Delle quali la prima in assoluto è la seguente: perché in questi ultimi tempi a Roma, e in tutte le grandi aree metropolitane, sono diventati sempre più numerosi e frequenti gli episodi di sangue e di violenza, sotto forma di omicidi, ferimenti mirati, estorsioni, danneggiamenti, stupri, aggressioni a giovani di sinistra, a omosessuali, da aggiungersi a tanti altri che sfuggono alle normali classificazioni?

 

In primo luogo, io credo, perché il lessico della politica è cambiato in peggio, come conseguenza di un imbarbarimento generale, di uno scadimento culturale assoluto dei riferimenti etici basilari, quale conseguenza di una competitività fanatica che pervade e degrada da circa un trentennio il nostro stile di vita: in pratica qualcosa di molto simile all’hobbesiano homo homini lupus. Perché ogni mutazione del linguaggio non è altro che un portato di una trasformazione culturale e, per ciò stesso, anche dei più comuni atti della vita quotidiana.

Per cui ad una politica sbracata, gridata, becera, primordiale ed elementare, che vede nei sostenitori di posizioni diverse dalle proprie non degli onesti avversari, ma dei nemici da distruggere, seguono poi trasformazioni ovvie e conseguenti nella mentalità e nei comportamenti individuali. Più nel concreto: l’aver gridato, per compiacere il proprio elettorato, che gli stranieri immigrati non erano altro che delinquenti, spacciatori, violentatori, ladruncoli e depositari dei vizi più immondi;

l’aver inneggiato alle guerre di religione, mettendo l’un contro uomini e donne di tutte le etnie in nome di una pretesa primazia del cristianesimo e della razza caucasica ha prodotto segregazione, separatezze, isolamenti, accentuazione delle differenze nel nome di un’autodifesa del proprio gruppo, clan, tribù o popolo, di cui i fatti violenti di questi giorni non sono che un tragico epifenomeno.  Anche per il senso che ha oggi la città, nella quale l’urbanistica è fondata sull’idea che il centro non è altro che il luogo della maggior concentrazione di denaro e potere, entrambi sempre più in diminuendo con l'aumento della distanza da esso.

La piramide sociale riproposta nella contrapposta collocazione di palazzi, condomini, caseggiati, casupole e accampamenti. Per cui  nella gran parte dei casi, al di fuori delle mura antiche, troviamo sobborghi invivibili, dove i (non) luoghi di aggregazione e socializzazione si identificano nei centri commerciali, nei bar, nelle sale di giochi e scommesse, nei fast food e in alcuni circoli privati, mentre sono del tutto assenti, poiché non remunerativi, spazi appositamente progettati per destinazioni di alto valore sociale, quali teatri, sale multimediali, cinematografiche o comunque assegnate ad un uso intelligente, formativo e creativo  del tempo libero. In questo contesto, perciò, oggi ogni quartiere è un piccolo borgo recintato che intende respingere e dissuadere gli intrusi, nel quale l'aggressività individuale si fonde, esaltandosi, con quella di gruppo. Quartieri perciò segnati profondamente dalle differenze razziali, culturali, religiose e di tradizione; esche pronte ad accendersi alla prima fiammella.

Per questi motivi è da condannare assolutamente la condotta del sindaco di Roma Alemanno, che già all’atto del suo insediamento si esibì in proclami sperticati di legge e ordine, usando ripetutamente la formula “tolleranza zero” del suo lontano omologo newyorkese Rudolph Giuliani, esasperando con ciò le differenze fra le varie componenti del melting pot della capitale. Il che contribuì ad acutizzare e a diffondere il malcontento e le difficoltà quotidiane, fino agli esiti che si sono susseguiti in questi ultimi giorni. Segni chiari del fallimento di un’ideologia disgraziata che, rappresentata in prima istanza dalla signora Thatcher e dal presidente USA Ronald Reagan, dagli anni ottanta in poi ha sempre predicato il primato dell’individuo sulla comunità.

Dando origine, per il conseguimento di tale risultato, a torme di interessati seminatori di odio per le altre etnie, religioni, terre e nazioni, esclusivamente con l'unico obiettivo del soddisfacimento di poco nobili interessi economici e politici. Ma anche gli amministratori che impropriamente, in molti casi, si autoproclamano di sinistra, spesso si sono macchiati di questa stessa colpa. E’ superfluo, ci sembra, scendere ai nomi. E tutto ciò è da condannare senza alcuna remora ed esitazione. Perché ogni uomo politico di qualsiasi ordine e grado sa benissimo che le migrazioni sono una piccola parte di un processo storico immane cominciato secoli fa con l'imperialismo coloniale, che ha oppresso e spogliato delle loro ricchezze terre di tutti i continenti, perpetrando anche massacri colossali culminati  con lo sterminio di interi popoli. Proclamare l'intenzione di volerle fermare con una, dieci, cento, mille tolleranze zero non è che inganno o esca per sprovveduti.

Nessuno riuscirà a fermare questo fiume in piena. Tanto varrebbe perciò sedersi tutti attorno a un tavolo e parlarne, cercando una soluzione. Ma evidentemente è più facile urlare verso i propri seguaci slogan illusori e miracolistici. I voti poi verranno, con qualche conseguente ricaduta sui terittori di pertinenza dei politici interessati. Condotta poco meno che criminale.

E allora a noi, che non siamo inquadrati in partiti organizzati o in consorterie interessate, non resta che aprire un largo dibattito in rete, passando attraverso tutti i blog, forum e luoghi di discussione per ragionare, sperando di trovare una buona soluzione, su una strategia che ci liberi da questa soffocante tela di ragno creata dal potere dominante nel campo della cultura, della comunicazione di massa, del costume, della politica, dell’economia e della società. Soprattutto per quel che riguarda noi e gli stranieri più poveri. Perché anche noi, sfruttati e proletari, siamo stranieri in patria.

I cambiamenti significativi, se non vogliamo usare il troppo impegnativo termine di rivoluzione, sono stati sempre innescati da atti apparentemente legati all’ordinarietà del vivere, o del malvivere, in un certo contesto sociopolitico. Ma in ognuno di quei casi c’è sempre stata una minoranza che ne ha colto il dirompente valore simbolico. Per questo non dobbiamo cessare mai di analizzare in profondità ciò che accade e  operosamente riflettere su quel che emerge.

 

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