Bartolomeo da Trento e la missione di pace a Benevento

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Frate Bartolomeo nacque nel 1190 a Varna un paese situato a circa 40 km da Bolzano e la madre Beata lo presentò ancora minorenne al monastero agostiniano di Novacella dove studiò teologia.

Nel 1219 fece e voti di castità, povertà e obbedienza e fece promessa di frate domenicano. A Bologna conobbe Antonio da Padova che aveva già iniziato a farsi notare per la sua battaglia contro gli usurai. Dal 1223 al 1225 insegnò teologia nel convento di Santa Maria della Pugliola.

Nel 1234 fu chiamato a Trento come testimone in questioni ecclesiastiche. Nel 1235 fu a Nizza dal beato Giordano di Sassonia e poi di nuovo a Trento come priore presso l'abbazia di San Lorenzo. Del suo aspetto fisico non sappiamo nulla sebbene amava definirsi: “un religioso di rigida osservanza conventuale, il che equivaleva a praticare il digiuno, la clausura e il silenzio”.

Nel 1236 fu incaricato da papa Gregorio IX di intraprendere una missione diplomatica presso Federico II di Svevia che aveva soppresso il principato vescovile aggregandolo alla diretta amministrazione dell'Impero; ne conseguiva che il principe-vescovo Aldrighetto non avrebbe potuto più infeudare né modificare la proprietà dei beni ecclesiastici.

L'autorità episcopale ne risultava compromessa esautorando di fatto il principato tridentino delle sue prerogative temporali. A Trento si formarono due partiti: i baroni locali fedeli a Federico e la borghesia impiegatizia di fede cattolica.

Un podestà imperiale si insediò in città dove vi rimase fino al 1255 quando fu cacciato via da una sedizione.

I motivi della scelta di Federico non erano solo di tipo economico ma anche e soprattutto politico dato che le continue lotte tra principato trentino e contea tirolese non assicuravano quella stabilità politica di cui l'impero aveva bisogno.

Le fonti bibliografiche sono piuttosto frammentarie anche perché l'imperatore era nel bel mezzo di una campagna militare contro i comuni italiani divisi tra guelfi e ghibellini tra cui figurava Ezzelino da Romano, signore di Verona, nemico giurato di Antonio da Padova, proclamato santo meno di un anno dopo la sua morte, il 30 maggio 1232.

Dapprima tentò di incontrarlo a Fano, nelle Marche, poi a Bologna ed infine a Roma ma invano. Ulteriori difficoltà della ricerca dipendono dal fatto che, sebbene la capitale del regno fosse a Palermo, di fatto la corte reale era un organo itinerante che accompagnava l'imperatore nei suoi continui spostamenti. La carovana, tra paggi e damigelle, contava più di 200 persone e non si trattava solo di un ente politico ma anche e soprattutto di un centro culturale frequentato da musici e poeti.

All'interno della corte poi vi era una ristretta cerchia di consiglieri regi tra cui Pier delle Vigne e Taddeo da Sessa. I documenti, poi, non consentono di stabilire la durata né l'ubicazione dei soggiorni per cui ad esempio un atto poteva essere stato scritto in un luogo ma registrato in un altro.

Dalle biografie più accreditate sappiamo che Federico amava trascorrere lunghi soggiorni a Melfi mentre la cancelleria era insediata a Foggia ma siccome la via per mare era infestata dai saraceni e dai pirati Federico sarebbe dovuto passare per forza via terra attraverso la campagna beneventana.

Nel 1228, approfittando dell'assenza di Federico impegnato nella crociata, il papa insieme a molti principi locali formò un'armata chiamata dei “clavisignati” perché riproducevano sullo scudo l'emblema di san Pietro, sconfinando in Abruzzo e in Campania.

Il 17 marzo 1229 Enrico Morra, gran giustiziere delle forze imperiali, fu sconfitto presso san Germano, tra il Garigliano e il Volturno e, ad eccezione di Capua e altri luoghi, si sottomise al romano pontefice. Nel mese di aprile Giovanni di Brienne, chiamato dal papa a sostenere gli insorti, assediava Capua avanzando fino a Montefusco che resistette senza cedere.

Sbarcato a Brindisi, di ritorno dalla missione in Terra santa, Federico trovò l'Italia nel caos e i baroni in rivolta, perciò, si diresse a Barletta per riordinare le truppe e i rifornimenti. Dopo aver riportato discreti successi a Vairano, Alife e Venafro, Federico il 24 ottobre 1229 assediò Montecassino costringendo il papa alla resa.

Nello stesso anno si registrava l'ingresso nel monastero di Tommaso d'Aquino, nato nel 1225 a Roccasecca che all'epoca faceva parte del Regno di Sicilia; anche lui frate domenicano (come Bartolomeo) fu proclamato Dottore della Chiesa il 18 luglio 1323. Lo santo aquinate fu grato a Federico II per avergli fatto tradurre i classici aristotelici ma non gli perdonò mai l'occupazione militare del monastero nel 1239 con la conseguente cacciata dei monaci.

Dopo la pace di san Germano (23 luglio 1230), che sanciva il ritiro della prima scomunica di Federico e nuovi privilegi per i vescovi, le relazioni tra le parti si fecero più distese e lo stesso imperatore venne in soccorso del papa che, in seguito ad una congiura, era stato costretto a fuggire a Rieti.

Dal 26 maggio al 10 settembre 1231 Federico promulgò le celeberrime “Costituzioni melfitane” e nello stesso luogo nel maggio 1240 fonderà la prima “Corte dei conti”. Nel 1232 i musulmani di Lucera, circa 20 mila persone che erano state deportate dalla Sicilia, distrussero la chiesa di san Pietro a Bangio Fojetano per ricavarne materiali da costruzione e il papa si lamentò con l'imperatore che non aveva fatto abbastanza per proteggere la comunità cristiana.

Nel novembre 1235 i comuni italiani si rifiutarono di riconoscere i diritti imperiali e ricostituirono la Lega lombarda.

Nel settembre 1237 Federico scese in Italia ed ottenne una vittoria schiacciante a Cortenuova (27 novembre) ma dovette desistere dall'assedio di Brescia il 7 ottobre 1238. Papa Gregorio IX vedeva con sospetto queste vittorie e temeva che Federico volesse riunificare tutta l'Italia sotto le insegne dell'Impero.

Il pretesto giunse dopo l'annessione della Sardegna che in un primo momento era stata promessa al papa il quale con l'aiuto di Genova, che pure guardava con favore all'estensione dei suoi traffici nel Mediterraneo, e cercava la resa dei conti. Federico accusava il papa di dare asilo a spie e nemici dell'Impero, specialmente la borghesia lombarda, mentre il papa a sua volta accusava Federico di non fare abbastanza per combattere gli infedeli musulmani.

In realtà Federico, sebbene avesse conseguito un importante risultato diplomatico senza versamento di sangue (in Terrasanta nel 1229), fu un ligio esecutore dell'Inquisizione introdotta nel 1213 e confermata nella dieta di Piacenza (25 luglio 1236): era consapevole di essere il difensore dei cristiani e pertanto voleva evitare il bagno di sangue ma essere accolto a Roma come un Cesare.

Sul versante opposto Gregorio IX rivendicava per sé la funzione di supremo giudice del potere temporale rifacendosi al suo predecessore Gregorio VII che era riuscito a umiliare Enrico IV a Canossa (1077). Secondo Federico, invece, Stato e Chiesa dovevano stare sullo stesso piano e solo a lui spettava di garantire la pace con le armi. Il 20 marzo 1239 Federico II fu scomunicato per la seconda volta (la prima del 1227) formalmente per la violazione dei trattati di san Germano ma in sostanza perché si rifiutava di riconoscere la giurisdizione pontificia sulle sue terre.

Nell'Italia del nord il papa fece molti proseliti mentre l'imperatore si apriva un corridoio nell'Italia centrale annettendosi il ducato di Spoleto e la marca di Ancona; occupò l'abbazia di Montecassino e stava minacciando la stessa città eterna quando decise improvvisamente di togliere l'assedio e di rivolgersi altrove.

All'inizio del 1240 è la volta di Viterbo, poi Ravenna e Faenza nell'aprile 1241. Accanto a questi successi militari Federico adottò una serie di provvedimenti per consolidare il suo potere al sud dove, grazie alla favorevole posizione geografica, erano più cospicui gli introiti fiscali. Qui infatti, giungeva via mare il grano dall'Africa che serviva a sfamare quasi tutta l'Europa e pure da qui partivano i pellegrini verso la Terra Santa.

Federico scacciò gli ordini monastici, l'organo preferito dal papa per sobillare le plebi e compiere azioni di spionaggio.

Vietò agli studenti, provenienti dalle città ribelli, di frequentare l'università di Napoli che lui stesso aveva contribuito a fondare nel 1224; e non da ultimo tentò di costituire in Sicilia una Chiesa scismatica. Il papa per tutta risposta convocò un concilio il 9 agosto 1240 al quale furono invitati molti prelati e delegati europei che si imbarcarono a Genova per giungere a Roma.

Il 3 maggio 1241 Federico II, che aveva intuito le trame del papa, intercettò le galee genovesi nei pressi dell'isola d'Elba e diede l'ordine di sequestrarle.

Bartolomeo scrisse una lettera celebrativa in cui tradiva la sua fede ghibellina. Secondo Emore Paoli il suo atteggiamento filotedesco era dettato non tanto da interessi personali ma dal riconoscimento della direzione pastorale degli Ordini Mendicanti alto-atesini i quali seppero svolgere un'eccellente opera di mediazione tra le varie fazioni in lotta. La lettera, custodita presso l'Università di Innsbruck, così recita:

«Dopo il glorioso trionfo di Faenza, che gli aveva procurato la lodevole costanza di Cesare, d'improvviso gli successe un'inaspettata vittoria in mare, affinché il Dio della terra e del mare dimostrasse che era a fianco del felice Cesare».

Queste poche righe lasciano intendere che Bartolomeo, più che dal papa si fosse lasciato condizionare dall'imperatore. Infatti, dopo qualche, anno scrisse:

«Mentre il regno e il sacerdozio erano in guerra, io il più piccolo dei frati, senza sapere dove fosse il giudizio di Dio, ero così frastornato, che dentro di me risuonò una falsa voce che, scartando le insegne della religione, mi rapiva completamente negli affari secolari».

Nel maggio 1240 intanto Federico aveva fatto devastare le campagne del Sannio in attesa di espugnare Benevento, enclave papale nel sud Italia dal 1077. Dalle cronache di Riccardo di San Germano, però, sappiamo che Benevento fu assediata nel 1241, distrutta e ricostruita nel 1252.

Tuttavia da un esame approfondito delle fonti si può desumere che la distruzione riguardò solo le torri e le mura della città, inoltre, da un precetto vergato del febbraio 1241 si evince un privilegio fiscale concesso a tutti i beneventani da cui si può desumere che l'incontro vero e proprio con Bartolomeo sia avvenuto qui.

Ne parlano Antoine Dondaine che aggiunge che contrasse una malattia e guarì quasi miracolosamente e Domenico Gobbi che addirittura riferisce di due incontri nella città sannita. In questo caso, però, il secondo incontro sarebbe dovuto avvenire dopo il 1244 quando Bartolomeo aveva già iniziato la sua attività editoriale.

L'imperatore non è mai citato direttamente ma secondo Emore Paoli il frate trentino avrebbe celato anche uno scopo politico al fine di rendere la figura di Federico II in maniera più accettabile rispetto all'immagine della Chiesa che lo dipinge come un Anticristo.

Il 22 agosto 1241 papa Gregorio IX morì e il 25 giugno 1243 Bartolomeo fu invitato ad Anagni accolto dal nuovo papa Innocenzo IV che gli rinnovò i privilegi diplomatici.

Contemporaneamente l'Imperatore occupava Tivoli e si accampava a Grottaferrata costringendo il papa alle trattative che furono condotte nel marzo del 1244 con Bartolomeo al seguito che, però, stanco dei suoi capricci decise di ritirarsi a Trento dove ebbe modo di scrivere le sue opere principali tra cui il Liber miraculorum che contiene un centinaio di episodi di miracoli mariani e il Liber epilogorum in gesta sanctorum un martirologio disposto secondo il calendario romano.

Il 17 luglio 1245 Federico II fu deposto al concilio di Lione ma riuscì in tempo a sventare la congiura di Capaccio a cui avevano aderito alcuni funzionari italiani.

Tutti coloro che avevano sostenuto l'imperatore caddero in disgrazia compreso Bartolomeo che morì a Trento tra il 1250 e il 1255. Nel 1250 spirava anche Federico II, dopo una battuta di caccia, forse per tifo o setticemia. A Bartolomeo gli è stata dedicata una strada in città nei pressi di piazza Centa attigua alla Chiesa di San Martino.

 

 

Bibliografia

A. Abate, Il Liber Epilogorum di fra Bartolomeo da Trento, in «Miscellanea Pio Paschini», I, Roma 1948, pp. 269-292.

S. Ceccon, Per il «Corpus» delle opere di Bartolomeo da Trento in «Florentissima proles Ecclesiae. Miscellanea hagiographica, historica et liturgica», a cura di Domenico Gobbi, Trento 1996, pp. 79-93.

A. Dondaine, Bartolomeo da Trento domenicano, scrittore, diplomatico, in «Civis. Gruppo culturale dei cappuccini di Trento», 23, 1984, pp. 85-112.

A. Ferrua, Bartolomeo da Trento, in «Dizionario biografico degli italiani», Treccani, Roma, 1964, vol. 6, pp. 778-779.

D. Gobbi, Bartolomeo da Trento. Domenicano e agiografo medievale, in «Civis», Trento, 1990. Id., I santi nordici nel «Passionale de sanctis» del domenicano Bartolomeo da Trento in «Florentissima proles Ecclesiae», pp. 269-303.

H. Houben, Federico II. Imperatore, uomo, mito, il Mulino, Bologna, 2009.

E. Paoli, Agiografia e strategie politico-religiose. Alcuni esempi da Gregorio Magno al Concilio di Trento, Centro italiano di studi sull'alto medioevo, Spoleto, 1997.

L. Sette, Fra Bartolomeo da Trento e alcuni codici a lui attribuiti, «Tridentinum. Rivista mensile di studi scientifici Trento», 8, 1905, pp. 22-39.

A. Toniolatti, I santi trentini nel Liber epilogorum in Gesta Sanctorum di Bartolomeo da Trento, Tesi discussa in occasione del Corso di laurea in lettere moderne, Facoltà di Lettere e filosofia dell'Università di Trento, AA 2004-05, candidata Alessandra Toniolatti, relatore Antonella Degl'Innocenti, Trento.

 

 

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