La società aperta e i suoi problemi

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Un ruolo rilevante viene svolto nel pensiero popperiano dal concetto di “società aperta”. Popper considera infatti la vita come un processo in cui gli esseri animati sono impegnati senza posa a risolvere problemi, e una società sarà dunque aperta se reca dei contributi alla soluzione di detti problemi. Ma come risolverli?

Azzardando dei tentativi di soluzione, ai quali fa seguito la critica e l’eliminazione degli errori eventualmente commessi; ecco quindi Popper auspicare forme di società aperta che permettano di avanzare liberamente molte proposte, ognuna delle quali deve poi essere sottoposta a indagine critica. E, a tale proposito, una società è destinata a conseguire maggiori successi se possiede istituzioni libere piuttosto che ordinamenti autoritari.

In questo senso, un indirizzo politico è un’ipotesi che può essere equiparata a quelle scientifiche: deve essere messa alla prova nella realtà e corretta alla luce dell’esperienza. L’indagine critica consente di scoprire gli errori nascosti e di innestare procedure di correzione, prima che gli errori stessi possano causare troppi danni.

La vigilanza critica, in queste condizioni, si può esercitare con successo, mentre le autorità politiche che di fatto impediscono che i propri indirizzi vengano sottoposti ad analisi critica sono condannate a commettere più errori di quanto sia necessario.

 

È pericoloso, secondo Popper, chiudere gli occhi di fronte ai propri sbagli: anzi, è proprio ad essi che occorre prestare la massima attenzione. La razionalità scientifica indica un procedimento che conduce a una società aperta e pluralista, in cui trovano espressione prospettive tra loro incompatibili senza arrivare alla rottura del sistema. Gli indirizzi di governo possono mutare sotto l’incalzare delle critiche, e coloro che sono al potere devono poter venire rimossi senza drammi di alcun genere per essere sostituiti da persone che perseguono obiettivi politici anche molto distanti.

Concentriamoci ora sul marxismo. Da esso si possono in effetti trarre delle predizioni sottoponibili alla procedura della falsificazione. Anzi, parecchie predizioni della teoria marxista erano già state falsificate negli anni ‘30 e ‘40, del secolo scorso, quando Popper elaborava le proprie tesi di filosofia politica (esempi: il crollo del sistema economico capitalistico e la naturale estensione di una rivoluzione di tipo marxista da uno a tutti i Paesi).

Il grosso problema era che i marxisti in pratica si rifiutavano di accettare la falsificazione, e secondo il nostro autore essi continuavano a modificare la propria teoria per tenere in scacco la falsificazione stessa.

Le loro idee finivano insomma per assumere la certezza - non certo falsificabile - di una fede religiosa, per cui ogni controdeduzione si arenava di fronte al loro rifiuto di sottoporre la teoria a test di falsificabilità. La cosa non avrebbe ovviamente avuto importanza alcuna se i marxisti non avessero insistito a qualificare la loro teoria come “scientifica”. E, invece, proprio questo essi facevano.

La confutazione popperiana del marxismo si trova nella sua principale opera di filosofia politica, vale a dire La società aperta e i suoi nemici Egli la scrisse, pur pubblicandola soltanto nel 1945, negli anni ‘30, e cioè mentre Hitler sembrava non incontrare ostacoli in Europa. È un libro contro il totalitarismo in genere, di qualunque colore esso sia, e contiene un atto di accusa spietato nei confronti tanto della Germania nazista quanto dell’Unione Sovietica staliniana.

Per spiegare l’attrazione che il totalitarismo sempre esercita sull’animo delle masse, Popper ricorre a concetti di tipo psicologico: la libertà comporta responsabilità, e a sua volta la responsabilità spaventa. Accettare di vivere con responsabilità significa dover compiere continuamente delle scelte; le scelte a loro volta implicano la possibilità dell’errore e, di conseguenza, si rivelano gravose.

Esiste in tutti noi un perenne elemento infantile, il quale ci fa desiderare di sfuggire a tale condizione per ricercare invece la sicurezza, non importa come essa venga conseguita. Vogliamo quindi che le decisioni gravose vengano assunte da qualcuno che riteniamo più forte di noi: il capo o il partito.

Le società pre-critiche, con il loro autoritarismo, la gerarchia, i riti e i tabù, offrivano delle certezze immutabili in grado di soddisfare tali bisogni. L’emanciparsi dell’uomo dal tribalismo dà inizio al pensiero critico, il quale rivendica la dignità dell’individuo che mai deve annullarsi nel tutto (tipico è l’esempio di Socrate). Platone, secondo Popper, è l’allievo di Socrate contrario all’eventualità che la società divenga più aperta: in lui l’epistemologo austriaco vede l’iniziatore di una tendenza filosofico-politica che avrà molta fortuna nei secoli e che potremmo definire, schematizzando molto, “controrivoluzionaria e nostalgica dei bei tempi andati”.

Tutti i pensatori che si rifanno - in qualche caso senza esserne coscienti - a Platone predicono il ritorno alla società del passato, a una società più chiusa rispetto a quella in cui vivono. Sin dagli inizi del pensiero critico, alla tradizione della civiltà se ne contrappone un’altra, che reagisce alle difficoltà ingenerate dal progresso propugnando il ritorno alla sicurezza della società pre-critica e tribale.

E’ interessante notare come Popper giudichi in realtà assai simili, specialmente con riguardo agli effetti che producono, le idee reazionarie e quelle utopistiche (tali egli giudica anche quelle di Marx).

In entrambi i casi, la società nel suo stato attuale viene rifiutata; il pensiero reazionario afferma che una società perfetta esisteva in passato, quello utopico che una società ideale esisterà nel futuro. Inoltre, tanto i reazionari che gli utopisti non disdegnano l’uso della violenza: mentre i primi vogliono bloccare i processi di mutamento della società, i secondi, che si considerano chiamati a costruire la società perfetta del futuro, cercano, quando a loro parere è stata realizzata, di renderla immobile e perpetua.

Come negare che il risultato, pur perseguito con fini diversi, sia il medesimo, e cioè il blocco del mutamento sociale?

E come si può bloccare la società? Praticando un controllo sociale pervasivo e onnipresente, togliendo spazio all’iniziativa individuale sia in campo politico che economico (in quanto essa potrebbe turbare l’equilibrio così faticosamente raggiunto).

Non si può comunque sorvolare sul fatto che lo sbocco, in entrambi i casi, è il totalitarismo.

Ora, secondo Popper reazionari e utopisti non possono affermare che gli effetti perversi delle loro teorie sono dovuti a travisamenti; il fatto è che le teorie reazionarie e quelle utopistiche appaiono perfette, appunto, “in teoria”, ma sfortunatamente non funzionano nella pratica. Ma questo è a suo parere un sofisma: non vi possono essere teorie perfette che non funzionano dal punto di vista fattuale, poiché compito primario di ogni teoria è quello di essere messa alla prova (per essere confermata o invalidata). Dunque, se una teoria nella pratica non funziona, ciò è più che sufficiente a mostrare che in essa c’è qualcosa di sbagliato.

Popper, tuttavia, si rende ben conto che le conseguenze aberranti non possono far ritenere che il desiderio di costruire una società perfetta sia esso stesso perverso. Anzi, sono di solito proprio gli uomini intelligenti e generosi che più si battono per la società ideale, e molti orrori compiuti nel corso della storia si possono far risalire ad un insaziabile desiderio di giustizia sociale e di perfezione morale.

Gli stolti e i malvagi, infatti, tendono a lasciare le cose come sono, anche se regna l’ingiustizia.

Marx viene visto da Popper quale esempio paradigmatico del filosofo geniale la cui teoria politica progetta un futuro perfetto e, nel valutarlo, adotta un metodo desunto dai suoi princìpi epistemologici: individuare il lato più resistente delle tesi dell’avversario sferrando proprio contro di esso l’attacco. Il risultato è di solito molto buono poiché, se le sue argomentazioni risultano stringenti, l’interlocutore - quello di buona fede, ovviamente - sarà alla fine costretto a concordare con lui.

Popper parte dalla pretesa di scientificità della teoria marxiana. Marx, in effetti, si considerava il Newton delle scienze storico-sociali, e pensava di aver scoperto le leggi definitive dello sviluppo storico ed economico.

Ne consegue che i suoi seguaci devono riuscire a difendersi mantenendosi sul piano scientifico, poiché altrimenti possono senza troppe difficoltà essere accusati di incoerenza.

In altri termini, se il marxismo viene confutato scientificamente su qualche punto, non gli è permesso ricorrere ad altre forme di analisi e di valutazione (quella ideologica, ad esempio): è necessario che si sottoponga ai controlli e che accetti le loro conseguenze, positive o negative che siano.

E il pensiero di Marx - da non confondersi con il marxismo volgare diffusosi in seguito - ha in effetti dato origine ad una serie di previsioni che si possono sottoporre a falsificazione. Popper aggiunge che le più importanti tra esse sono appunto state falsificate nel periodo che passa dalla loro elaborazione ai giorni nostri.

Ne citiamo un paio.

Secondo la teoria marxiana, solo i Paesi capitalistici ad alto livello di sviluppo possono diventare comunisti, mentre gli altri debbono completare lo stadio dello sviluppo capitalistico maturo. Ciò, tuttavia, non è avvenuto, e sono diventate comuniste nazioni ad uno stadio largamente pre-industriale; si possono forse fare delle eccezioni per la Cecoslovacchia e la Germania orientale, ma in questi casi il comunismo è stato instaurato grazie all’aiuto decisivo di un esercito straniero.

Sempre secondo la teoria marxiana, per motivi scientificamente dimostrabili il proletariato industriale è destinato a diventare sempre più povero, acquistando così uno slancio rivoluzionario crescente. Si può tuttavia constatare che ciò è falso; in realtà, dai tempi di Marx in avanti, esso è diventato via via più ricco, meno numeroso e meno interessato ad ipotesi di tipo rivoluzionario (la contrapposizione, invece, riguarda in modo crescente nazioni sviluppate e Paesi sottosviluppati del Terzo mondo).

Molte altre controdeduzioni tratte dalle predizioni marxiane si potrebbero addurre ma, come già abbiamo detto, non è questa la sede più appropriata per avanzarle.

Basta tutto ciò per confutare - falsificandola - la teoria marxista?

Popper ritiene senz’altro di sì, ma c’è dell’altro. Una teoria non deve soltanto essere sottoposta ai procedimenti di falsificazione, ma deve pure essere esente da incoerenze e contraddizioni interne.

Ebbene, il marxismo sostiene che lo sviluppo dei mezzi di produzione è l’unico fattore che determina il mutamento storico; come è possibile spiegare, su queste basi, perché gli stessi mezzi di produzione sono soggetti allo sviluppo anziché restare immutabili? Si tratta, come ben si può notare, di un’incoerenza di tipo logico.

Popper critica pure in modo tenace lo “storicismo”, termine che nel suo pensiero acquista un significato diverso da quello usuale. È per lui storicista il filosofo che pensa che la storia abbia una meta, un piano che deve attuarsi seguendo qualche modello coerente (inevitabilità della storia).

A suo parere, invece, il mutamento avviene secondo canoni di tipo indeterministico: esso è il risultato dei nostri tentativi volti a risolvere i problemi che si presentano nella vita. I tentativi di risolvere i problemi, a loro volta, comportano immaginazione, capacità di scelta, fortuna: tutti fattori imponderabili che nulla hanno a che fare con l’inevitabilità deterministica di tipo storicista e marxista.

Contrariamente ai marxisti, il filosofo austriaco afferma che nessuna entità è in grado di prevedere il futuro in modo scientifico, e ciò vale sia per gli scienziati che per le macchine: se potessimo prevedere le scoperte del futuro, verrebbe annullata la stessa differenza tra futuro e presente.

È importante rammentare che, se si parte da simili premesse, risulta impossibile costruire una “storia teorica” nello stesso modo in cui si può costruire una fisica teorica.

Ma se entra in crisi l’idea di un futuro scientificamente prevedibile, allora entra parimenti in crisi l’esigenza - ad essa correlata - di una società totalmente pianificata. Le azioni umane hanno sempre delle conseguenze impreviste, e l’idea della pianificazione totale si rivela così un mito e null’altro.

Le società - rileva Popper - non possono mai venir del tutto spazzate via per essere sostituite da qualcosa di totalmente nuovo. Si deve sempre partire dal punto in cui ci si trova: tanto in campo politico che in ambito scientifico ed epistemologico non si parte mai da zero, e qualsiasi mutamento reale non si produce nel vuoto, bensì in circostanze ben determinate.

Quando si afferma che è la società in toto a dover essere modificata, e non qualche singola sua parte, si cade in realtà in contraddizione poiché si afferma che è necessario cambiare il tutto prima di poter cambiare le parti di cui esso è composto.

Rivendicare la razionalità di progetti illimitati che si propongono di modificare in modo totale la società significa presuppore un grado di conoscenza elevatissimo, che noi mai potremo possedere a causa dei nostri limiti naturali. Si noti, comunque, che una società libera non può imporre che tutti condividano gli stessi scopi, mentre un governo che si basi su un programma di tipo utopistico è costretto ad andare esattamente in quella direzione per mantenersi fedele ai propri obiettivi primari. Autoritarismo ed utopia sono insomma abbinati sin dalle origini (e poco importa, ai fini pratici, che tale autoritarismo venga perseguito per ottenere il massimo della giustizia e della felicità).

Riedificare la società dalle fondamenta è inoltre un’impresa destinata a protrarsi nel tempo, ed è ipotizzabile che gli obiettivi iniziali subiscano delle modificazioni, anche profonde, nel corso degli anni.

Se ciò è vero, significa che la società perfetta diverrà via via sempre più diversa anche per coloro che l’avevano inizialmente progettata. E una delle conseguenze più spiacevoli sarebbe che tutti coloro che in qualche modo si oppongono alla sua realizzazione verrebbero considerati alla stregua di persone che avversano il Bene Assoluto, e quindi perseguitati senza indulgenza (proprio questo è accaduto nei totalitarismi del XX secolo).

Chi si propone di donare all’umanità la felicità definitiva, infatti, non può lasciarsi deviare da considerazioni di carattere meramente umanitario: ciò sarebbe un segno di debolezza. Ma gli obiettivi ideali si rivelano ben presto irraggiungibili, ragion per cui si prolunga all’infinito il periodo in cui è necessario reprimere con spietatezza gli oppositori; e così intolleranza ed autoritarismo si consolidano al di là delle buone intenzioni delle origini.

Se si pensa che il mutamento sociale, nel corso della storia, non ha mai subito arresti, la stessa idea di una società perfetta è per Popper priva di senso: anche se si può ammettere che una simile società potrebbe iniziare ad essere costruita, essa comincerebbe tuttavia ad evolversi contestualmente, modificandosi nell’atto stesso di venir costruita.

È dunque fuorviante ipotizzarne la realizzazione, poiché essa dovrebbe essere immobile mentre lo sviluppo sociale non ammette, per definizione, l’immobilità. Come è errato desiderare di instaurare prima - e di conservare poi - un modello di società perfetta, è parimenti sbagliato, in ambito scientifico, voler stabilire e preservare una conoscenza assoluta e valida incondizionatamente.

La proposta di nuove idee deve invece essere accompagnata da un rigoroso esame critico, al fine di eliminare gli errori commessi sia in fase di elaborazione che di realizzazione.

In filosofia, questo metodo si chiama “razionalismo critico”; in politica si definisce “ingegneria sociale a spizzico”. Quest’ ultima espressione, in italiano, non è molto felice, ma serve a farci rammentare che, per avere successo, occorre affrontare problemi concreti ed affrontarli uno per volta, senza voler cambiare tutto in un colpo solo.

Popper scorda, tuttavia, un fatto fondamentale. Gli esseri umani non sono mai completamente razionali. Nel loro agire gioca un ruolo fondamentale l’emotività, il che significa che spesso si fanno dominare dalle passioni.

La prova è che possono scegliere governanti che promettono tutto a tutti, senza indicare chiaramente come attuare i loro progetti. In questo senso la società chiusa continua a esercitare un grande fascino, poiché offre protezione all’individuo. E poco importa se tale protezione è più illusoria che reale.

 

 

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