Durata e qualità della vita. Una dicotomia da evitare

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Jeanne Calment, era nata ad Arles, una cittadina francese citata da Giulio Cesare nel De bello Gallico, il 21 febbraio 1875 e morta nello stesso luogo il 4 agosto 1997 a centoventidue anni, la durata di vita maggiore finora registrata, documentata da certificati di nascita e morte.

Aveva il gusto della vita, smesso di andare in bicicletta a 100, di fumare a 118, non aveva rinunciato al vino ed alla cioccolata, l’aveva certo aiutata esser nata benestante. Negli ultimi anni aveva perduto gran parte dell’udito e della vista, ma era rimasta lucida e spiritosa fino alla morte. Aveva sofferto anche di depressione, ma l’attribuiva al fatto di non essere più ricercata rispetto al passato quando la sua longevità le aveva procurato fama mondiale.

La durata della vita di Jeanne Calment è per alcuni un traguardo non solo raggiungibile, ma addirittura superabile constatato il continuo aumento dell’aspettativa di vita.

Nel mondo, dal 1990 al 2015, per le donne è passata da 67 a 73 anni; negli uomini da 62 a 68; in Italia, come negli altri Paesi industrializzati, è ancora maggiore, da 80 a 85 anni per le donne, da 74 a 80 per gli uomini.

 

Nel 2022 si è registrata nel nostro Paese un’ulteriore crescita fino a 84.8 anni per le donne e 80.5 per gli uomini.

I fattori determinanti sono le migliorate condizioni sociali e i progressi medico-sanitari. Per un eccesso delle morti rispetto alle nascite e per la scomparsa di malattie infettive vi è stato un aumento notevole della popolazione in età avanzata che probabilmente avrà in futuro un’ulteriore crescita.

Nel 2007, nel nostro Paese gli over 65 erano il 19.9 % della popolazione totale e si ritiene che supererà il 30% nel 2050, gli over 80 aumenteranno dal 5.3 % al 13.5 %.

Se per calcolare la durata della vita è sufficiente esaminare i certificati di nascita e di morte, la valutazione della qualità è un problema più complesso.

La qualità della vita ideale corrisponde a una condizione di completo benessere fisico, mentale e sociale. È purtroppo molto facile constatare che è scadente o addirittura insopportabile per circa un miliardo della popolazione mondiale che vive in miseria, per non parlare delle popolazioni nei territori di guerra.  

Fattori ambientali o soggettivi possono rendere difficile la valutazione negli abitanti del Paesi industrializzati che hanno un accettabile tenore di vita. È comunque indiscutibile che la precarietà economiche induce anche in questi Paesi una qualità di vita scadente e in Italia sono a rischio povertà circa 5 milioni di abitanti.

L’aumento di durata della vita, o più precisamente dell’aspettativa di vita alla nascita, è certamente positivo e meritevoli i tentativi di prolungarla ulteriormente purchè riguardi solo il periodo di aspettanza di vita attiva, il disability free life expentancy e non sia accompagnato da disabilità, come avviene adesso.

La Convenzione delle Nazioni Unite del 2006 considera la disabilità da un punto di vista sociale, unacondizione nella quale si trovano le persone che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che, in interazione con barriere di diversa natura ambientale e sociale, possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri. La International Classification of Functioning (ICF), considera la persona nella sua globalità, sia dal punto di vista sanitario, sia nelle sue usuali e quotidiane relazioni sociali.

I termini menomazione, disabilità e handicap e handicappato (a) sono sostituiti da persons with disability.

La Convenzione dell’ONU indica anche i diritti di queste persone ad avere una normale qualità di vita paragonabile a quelle usuale, diritti che sono stati ratificati anche in Italia nel 2009.

Dal punto di vista medico la disabilità può essere definita come qualsiasi limitazione o perdita della capacità di effettuare un’attività secondo i modi e l’ampiezza di una persona normale.

Può essere di grado maggiore o minore, transitoria e permanente, irreversibile, progressiva o regressiva. Le disabilità possono essere fisiche e sensoriali, tra quelle fisiche la più comune è la ridotta mobilità.

Nelle sensoriali figurano le limitazioni visive, quelle uditive, e altre forme di disabilità (problemi di orientamento e di comunicazione, difficoltà nelle capacità di attenzione). Le disabilità mentali e psichiche, come per esempio l’Alzheimer, costituiscono un’area della disabilità in aumento.

Secondo lo World Report on disability, redatto nel 2011,le persone con disabilità sono circa 1 miliardo, il 15% della popolazione mondiale e la disabilità è fortemente legata alla povertà: circa l’82% dei disabili vivono in Paesi poveri.

Nell’Unione Europea sono valutate in circa 40 milioni. Da questa cifra sono esclusi i disabili temporanei, cioè coloro che per un periodo temporaneo si trovano in uno stato di disabilità, in conseguenza per esempio di incidenti o interventi chirurgici.

In Italia le persone con disabilità che vivono in famiglia nel 2004 sono due milioni e 600 mila, pari al 4,8 per cento della popolazione. Il numero dei disabili varia in rapporto alla entità della disabilità; secondol’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane vi sono in Italia 13 milioni di persone con disabilità di vario grado, tre milioni dei quali sono in condizioni di grave disabilità.

Il loro numero aumenta ovviamente nell’ età avanzata: sono circa 500mila nelle fasce di età dai 65 ai 74 anni, e 1milione e 500mila oltre i 75 anni.

Secondo un'analisi di Facile.it, realizzata su dati del Ministero per le Infrastrutture e dei trasporti, in Italia sono oltre 60mila le patenti valide intestate ad ultranovantenni si presume privi di disabilità di grado significativo; il numero sembra incoraggiante, ma rappresenta poco più del sette per cento della popolazione nella fascia di età di 90-94 anni che comprende 639mila persone.

Un dato meno noto riguarda il periodo di aspettativa di vita con disabilità rimasto praticamente invariato negli ultimi decenni nei Paesi industrializzati.

Noale Met al. in Longevity and health expectancy in an ageing society: implications for public health in Italy, Ann Ist Super Sanità.2012; 48:292-9, riportano che in Italia, nel 1994, per le persone di 65 anni, questo periodo era del 18.1 % per gli uomini e del 26.8 % nelle donne rispetto all’aspettativa di vita; venti anni dopo, nel 2005, i valori erano ancora il 14.9 % negli uomini e del 23.9 % nelle donne.

Un altro fattore che ha conseguenze psicofisiche fortemente negative sulla durata e soprattutto sulla qualità della vita è la solitudine, l’isolamento sociale, diffuso nelle società industrializzate. Anche Jeanne Calment quando non fu più corteggiata per il record cadde in uno stato di depressione. Secondo un’indagine dell’Eurostat, l’Italia è il Paese europeo che più di tutti ne soffre, un dato sorprendente per un popolo mediterraneo: più del 10 per cento degli italiani dai 16 anni insù avrebbe dichiarato di non avere nessuno con cui parlare dei propri problemi.

L’importanza dell’isolamento sociale è stata compresa in Inghilterra con l’istituzione del Minister for loneliness, un ministero per la solitudine, un problema che affligge nove milioni di cittadini di quel Paese.

In una società utopica i cittadini hanno una lunga durata di vita caratterizzata da completo benessere, scomparsa del periodo d’inabilità, e l’aspettativa di vita attiva, il disability free life expentancy, rimane talefino al momento della morte.

Un obiettivo evidentemente lontano dalla situazione reale caratterizzato da povertà, disabilità di vario grado e solitudine per un gran numero di persone.

È necessario quindi combattere non solo le malattie invalidanti, ma anche le disuguaglianze e l’isolamento sociale con una efficace rete protettiva familiare e sociale, insieme economica ed affettiva.

 

 

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