L’immaginaria vicenda delle isole di Pelagosa “colonizzate dai Borbone e dimenticate dai Savoia”

Condividi

In molte pubblicazioni e pagine web riguardanti l’isola di Pelagosa, con gli isolotti e scogli vicini, definita anche “arcipelago di Pelagosa”, “isole di Pelagosa”, “isole Pelagose”, o “Palagruza” in croato (nel complesso 0,4 kmq, più vicine alla costa continentale italiana del Gargano che a quella croata, ma leggermente più vicine all’isola croata di Susac/Cazza che non a quella italiana di Pianosa, arcipelago delle Tremiti), è riportata una narrazione simile alla seguente:

«Quando i Savoia si dimenticarono di annettersi l’arcipelago.(…) Le isole appartennero poi alla Serenissima, che però non vi installarono (sic) alcuna popolazione e non esercitarono alcuna sovranità se non per contrastare il nobile Lusignan (…). In seguito l’arcipelago di Pelagosa fece parte del Regno delle Due Sicilie e costituì l’avamposto più remoto nell’Adriatico. Amministrativamente fu riunito alla provincia della Capitanata (il vecchio nome della provincia di Foggia), alla quale appartenne fino alla caduta dei Borbone (1861).

A Pelagosa si parlava il napoletano (dialetto ischitano): questo è spiegabile in quanto l’isola fu ripopolata (assieme alle vicine isole Tremiti) da Ferdinando II del Regno delle Due Sicilie nel 1843 con pescatori provenienti da Ischia, che vi continuarono a parlare il dialetto d’origine.

Con l’avvento del Regno d’Italia l’incuria e l’inefficienza delle nuove istituzioni nazionali fecero sì che i pescatori emigrassero tutti entro la fine dell’Ottocento. L’annessione del Regno delle Due Sicilie alla nascente Italia non portò bene alle Pelagose: i Savoia dimenticarono infatti di annetterselo (sic), e abbandonarono le isole al loro destino.»1

 

Una storia, questa, molto dettagliata, a supporto della quale, però, non viene mai citata una sola fonte primaria, mai fornito un solo documento ufficiale.

Le fonti disponibili contraddicono questa narrazione, non esistono documenti che attestino questa asserita occupazione e colonizzazione borbonica delle isole, né tantomeno sono state rinvenute tracce di zone abitate e poi abbandonate. Oltretutto si tratta di luoghi privi di adeguate risorse idriche e terre coltivabili.

Questo lascia legittimamente supporre che si tratti di una storia sostanzialmente fantasiosa, creata per motivi politici solo nell’ultima decade del XIX secolo, per quanto concerne l’asserita sovranità del Regno delle Due Sicilie “dimenticata” dallo Stato successore Regno d’Italia, e in tempi molto recenti, per quanto riguarda il preteso insediamento dei pescatori ischitani, nel contesto della diffusa riscrittura propagandistica antirisorgimentale della storia d’Italia.

Con riguardo all’accenno al “nobile Lusignan”, si tratta evidentemente di un equivoco del geografo Antonio Baldacci che lo identificò con un esponente della famiglia francese dei Lusignano, crociati che divennero sovrani di Cipro, cui si legò per matrimonio la veneziana Caterina Cornaro (Corner), ipoteticamente esiliata proprio a Pelagosa3.

Il riferimento era alla famiglia “lesignana”, ovvero dell’isola di Lesina (Hvar), dei Vitaljevic, o Vidaljevic, o Vidali, imparentati con i nobili Slavogosti, cui apparteneva Petar Vidali, che nel secolo XVII edificò una torre sulla piccola isola adriatica, taglieggiando i pescatori che si recavano nelle acque circostanti, ragion per la quale intervenne Venezia, demolendo la torre e ponendo fine all’attività illecita del Vidali.3

Le isole di Pelagosa attualmente appartengono alla Croazia. Non vi è una popolazione stabile, ma vi risiedono, alternandosi in turni di un mese, due operatori del notevole faro ivi collocato (il più alto dell’Adriatico), nonché turisti per periodi più brevi, sempre alloggiati nell’edificio del faro.

I pescatori della cittadina di Comisa/Komiza, sulla costa occidentale di Lissa/Vis, dipendente dalla diocesi dell’isola di Lesina /Hvar e appartenente alla Repubblica di Venezia fino al 1797, erano i più assidui frequentatori delle acque di Pelagosa, dove catturavano soprattutto sardine, usando un particolare tipo di reti “sardellare” denominate “vojga” e un’imbarcazione chiamata “gajeta falkusa”.

Si ha notizia fin dal 1593 di una regata a remi e a vela che si svolgeva tra i pescatori di Comisa, che partivano dalla loro cittadina per arrivare proprio a Pelagosa, scortati da una nave veneziana, con lo scopo di ripartire le zone di pesca in base all’ordine di arrivo.

La regata si è svolta fino alla metà del XX secolo. Venezia esercitò più volte la sua autorità sui pescatori comisani, e quindi su Pelagosa, vietando la pesca con le “voighe”, per tutelare il patrimonio ittico, come riportato in una serie di documenti notarili, raccolti nel 1782 in un volume noto come “Liber Comisae”.

Negli anni 1590-1592 ci fu un contenzioso tra i pescatori di Lissa e Pelagosa, soggette a Venezia, e quelli di Lagosta/Lastovo, controllata da Ragusa (Dubrovnik), che accusavano i primi di pescare nelle acque di Susac/Cazza, anch’essa appartenente alla Repubblica di Ragusa.

La questione si risolse con il riconoscimento della libertà di pesca per i pescatori di ambedue gli Stati, nell’ambito dell’accettazione della sovranità di Venezia sul “Golfo”, ovvero sull’intero Mar Adriatico.4

Nel 1637 venne segnalato uno scontro a Pelagosa tra pescatori provenienti dalla Puglia e pescatori di Comisa, che invocarono la protezione delle autorità veneziane.5

I comisani hanno recentemente sostenuto che l’isola fosse stata proprietà privata dell’arcivescovo di Vieste, dal quale sarebbe stata acquistata nel XVIII secolo dalla famiglia Borcic di Comisa, con atto avallato dal Re di Napoli e dal Doge di Venezia,6 ma tale notizia non sembra fondata.7

Risulta, invece, che il 30 novembre del 1591 Il Vescovo di Vieste abbia chiesto agli Anziani di Ascoli Piceno una lettera di raccomandazione per il Sig. Desiderio da inviare al Senato Veneziano, per il consenso al possesso dell'isola di Pelagrosa, da lui acquistata.8 

Pur essendoci state, quindi, indubbie frequentazioni e relazioni tra le popolazioni soggette al Regno di Napoli e le Pelagose, non sembra che la sovranità di Venezia su tali isole di Pelagosa sia mai stata messa in discussione fino alla fine della Serenissima nel 1797.

Nel XVIII secolo le isole di Pelagosa furono visitate dallo studioso padovano, quindi cittadino della Repubblica di Venezia, Alberto Fortis, poi a lungo residente a Napoli, che ne scrisse in una sua opera, soffermandosi in particolare sugli aspetti geologici e naturalistici, ma ricordando anche la frequentazione delle acque dell’arcipelago da parte dei pescatori dell’isola veneziana di Lissa, e la vendita del pescato nel Regno di Napoli, «le dicui spiaggie, che guardano l’Adriatico, sono mal provvedute di pescatori».9

La Repubblica Serenissima di Venezia cessò di esistere nel 1797, in seguito alla campagna napoleonica d’Italia e al trattato di Campoformio tra la Repubblica francese e l’Impero austriaco: quest’ultimo acquistò, in base a tale trattato, e in particolare all’articolo 6, la sovranità anche su tutte «le isole inaddietro venete dell’Adriatico», quindi anche su Pelagosa.  

Nel 1806 la Dalmazia già veneziana e austriaca, l’intera costa adriatica orientale e le isole adriatiche già veneziane e austriache, quindi anche Pelagosa, furono incorporate nel Regno d’Italia napoleonico, per poi passare nel 1809 sotto il dominio diretto della Francia, costituendo le “Province illiriche” dell’Impero francese.

Il Provveditore Generale della Dalmazia per conto del Regno d’Italia, lo scienziato e politico Vincenzo Dandolo, emanò nel 1808 un decreto per regolamentare dettagliatamente la pesca in Adriatico, dedicando un articolo alle barche di Comisa nelle acque di Pelagosa, confermando il legame tra le due località.10

Dopo una temporanea occupazione britannica di Lissa tra il 1811 e il 1815, l Congresso di Vienna sancì, nell’articolo 93 dell’Atto finale firmato il 9 giugno 1815, la definitiva acquisizione da parte dell’Impero austriaco delle «isole già veneziane dell’Adriatico», e quindi anche delle isole Pelagose: esse non furono affatto dimenticate, come pure qualcuno ha scritto, ma semplicemente non furono nominate, come non furono nominate tutte le oltre 1000 isole adriatiche già appartenenti a Venezia! Successivamente, nel periodo tra il 1815 e il 1860, alcuni testi geografici, rilevando la vicinanza di tali isole alla costa pugliese ed alle isole Tremiti, le definirono “napoletane”.11

Altri testi geografici, invece, nello stesso periodo,  affermano che tali isole «…appartengono a S.m. l’Imperatore d’Austria»12, o le definiscono «isole dell’imp. D’Austria»13: quest’ultima affermazione è contenuta in un dizionario geografico sicuramente allineato al regime borbonico, essendo dedicato a S. Ecc. il Maresciallo di campo Marchese del Carretto, pubblicato a Napoli proprio nell’anno 1843, l’anno della fantomatica “colonizzazione” delle isole in questione promossa, secondo la recente pubblicistica, dal sovrano delle Due Sicilie!

Nelle pubblicazioni consultate non è mai citato un formale atto di rivendicazione da parte del Regno delle Due Sicilie, che aveva sicuramente la sovranità sulle isole Tremiti, di cui a volte le Pelagose erano considerate parte, pur essendo notevolmente distanti. Già soggette al dominio napoletano, sede di una Badia già in epoca medievale e poi del Canonici Lateranensi, dal 1752 le isole Tremiti erano divenute sede di una colonia penale: la popolazione che si era gradualmente formata in tali isole era prevalentemente napoletana o campana, per cui la parlata locale era il napoletano.14

I testi scientifici che raccontano la storia delle isole Tremiti, così come quelli che parlano delle Pelagose, tacciono completamente sulla recentemente asserita colonizzazione di queste ultime isole da parte di pescatori originari di Ischia, che sarebbe stata disposta nel 1843 dal Re Ferdinando II di Borbone.

Sappiamo con certezza, invece, che nel 1843 lo stesso Re acquisì il diretto controllo dell’isola di Lampedusa, nell’arcipelago delle Pelagie nel Canale di Sicilia, favorendone la definitiva colonizzazione.

Oltre a una infondata estensione alle Pelagose di quanto avvenuto nelle Tremiti, sembra legittimo supporre una confusione fatta dai redattori dei recenti articoli (risalenti, forse, a non prima del 2010) tra “Pelagie” e “Pelagose”: del resto, digitando sui motori di ricerca “isole Pelagose Ferdinando di Borbone” appare immediatamente il suggerimento “forse cercavi isole Pelagie Ferdinando di Borbone”.

Nel 1824 Pelagosa risultava nei registri della parrocchia di Comisa, i cui abitanti avevano edificato nel XVIII secolo una cappella dedicata a San Michele, ricostruendola poi nella prima metà del secolo XIX.15

Nel 1846 l’isola era compresa nell’elenco delle località appartenenti al distretto di Lissa, Circolo di Spalato, del Regno di Dalmazia, soggetto alla sovranità austriaca.16

Pelagosa, contrariamente a quanto ripetutamente sostenuto, non era compresa nell’elenco delle località appartenenti alla Capitanata (attuale provincia di Foggia), provincia del Regno delle Due Sicilie.17

Nel dicembre 1858 le isole di Pelagosa furono visitate da Pietro Acerboni, imbarcato sulla nave austriaca “Curtatone” e incaricato per i fari della Deputazione di Borsa di Trieste, quindi dipendente dal governo austriaco, dal che si trae ulteriore conferma che l’Austria si considerasse sempre titolare della sovranità su tali isole. Esse furono trovate disabitate e prive di acqua, con un unico edificio, una chiesetta di circa 15 mq,18 evidentemente la citata cappella di San Michele: senza nessuna traccia, quindi, del recentemente asserito popolamento delle isole negli anni precedenti.

Un documento del 1859, conservato negli archivi della Camera di Commercio di Trieste, parla comunque delle isole Pelagose come “contese tra l’Impero d’Austria e il Regno di Napoli”.19

La situazione dell’arcipelago di Pelagosa, al momento della successione del Regno di Sardegna al Regno delle Due Sicilie nel 1860, era, quindi, quella di un piccolo gruppo di isole, disabitate, nelle cui acque barche di Comisa, dell’isola di Lissa appartenente all’Impero d’Austria, esercitavano da secoli la pesca, secondo consuetudini e regolamentazioni prima veneziane, e poi in base al decreto Dandolo del 1808: isole già soggette alla sovranità della Repubblica Serenissima di Venezia e, in base ad una interpretazione letterale dei trattati del 1797 e del 1815, passate sotto la giurisdizione di Vienna, che continuò a ritenerle poste sotto la sua sovranità.

In qualche forma, e comunque senza compiere atti concreti, il Regno delle Due Sicilie ne aveva forse rivendicato il possesso, rivendicazione sicuramente avanzata poi dal Regno d’Italia, che tentò con maggior vigore di assumerne il controllo.

Il patriota, garibaldino e giornalista friulano Guglielmo De Toth, collaboratore del prestigioso giornale “Fanfulla”, raccontò di essere approdato nel 1862 nelle isole a bordo di un brigantino, che trasportava truppe e rifornimenti a Manfredonia, nel contesto della guerra contro il brigantaggio, incontrandovi una nave austriaca, che ribadì la giurisdizione dell’Impero: De Toth, all’epoca capitano dell’esercito italiano, riferì inoltre di aver piantato una bandiera italiana, rivendicandone la sovranità per il Regno. Un episodio analogo occorse nel 1870, quando sulle isole si recarono due ingegneri provenienti da Bari, per un sopralluogo finalizzato alla costruzione di un faro: un pescatore dalmata, incaricato dal governo austriaco di presidiarle, partì per avvisare le autorità austriache.

Il saggista e consigliere parlamentare Ferruccio E. Boffi, in una pubblicazione del 1924, riporta: «Le testimonianze degli antichi pescatori concordano nel descrivere la Pelagosa, prima che sorgesse il faro austriaco, come stazione di pesca per le sardine […] La pesca era praticata da barche di Comisa, a preferenza, da parecchi di Tremiti, da qualcuna soltanto – e non tutti gli anni – di Viesti. (…) “Dopo il ’60 una Commissione della nostra Marina … si recò alla Pelagosa per incontrarsi con una Commissione della Marina austriaca. Sembra […] si sia trattato di Commissioni con intenti idrografici».20

Il riferimento del Boffi era all’opera delle commissioni guidate dall’ufficiale di marina italiano Antonio Imbert, capo della Commissione idrografica italiana, poi denominata Spedizione idrografica, e dal suo omologo della marina austriaca, poi austro-ungarica, Tobias von Osterreicher, finalizzata alla redazione della carta idrografica del Mar Adriatico; i lavori si svolsero dal 1866 al 1875, con l’impiego da parte italiana della nave “Mozambano”.21

Prima del 1875 la questione dovette essere risolta probabilmente da uno scambio di note tra le cancellerie diplomatiche dei due Paesi contendenti, in seguito al sopra citato lavoro delle due commissioni. Infatti, il console britannico a Trieste, il famoso esploratore e studioso Richard Francis Burton (noto soprattutto per le spedizioni alla ricerca delle sorgenti del Nilo, in collaborazione e poi in competizione con il connazionale John Speke, per essere stato il primo europeo ad essere entrato alla Mecca e per la prima traduzione delle Mille e una notte) che nel 1876 si recò sulle isole di Pelagosa per partecipare a una spedizione archeologica e scientifica, scrisse: «Pelagosa fu rivendicata dal regno d'Italia, che la occupò provvisoriamente; e si ritirò solo quando i Comisani dimostrarono i loro diritti producendo antichi documenti. Il segno di riferimento trigonometrico, datato 1869, indica che ora è sotto il dominio austriaco». 22

Nel 1873 il governo austriaco iniziò la costruzione del faro, il più imponente dell’Adriatico, cui parteciparono anche «muratori da Viesti e scalpellini da Trani».23

Nel 1876 le isole furono visitate dalla spedizione scientifica ed archeologica di Burton e de Marchesetti, patrocinata anche dal citato Pietro Acerboni, giunta a bordo di una nave chiamata proprio “Pelagosa”. Dai loro resoconti si evince che non esistevano sull’isola tracce di un recente insediamento di coloni, a ulteriore conferma che le isole erano rimaste disabitate nei decenni, o addirittura secoli, precedenti. Riscontrarono l’esistenza della citata cappella, dedicata a San Michele, costruita dai pescatori di Comisa.

Alcuni anni dopo si riaccese la polemica politica, in Italia, sulla sovranità delle isole di Pelagosa. Il deputato radicale napoletano, ma eletto in Puglia, già combattente garibaldino, Matteo Renato Imbriani, fratello dell’altro patriota Vittorio Imbriani, che era amico della famiglia di Guglielmo De Tothe,24 come quest’ultimo, collaboratore del “Fanfulla”, in seguito a voci su opere di fortificazione dell’isola da parte degli austro-ungarici, nel marzo 1891 sollevò la questione con una ardente interrogazione al Ministro dell’Interno Nicotera, che rispose dichiarando di dover assumere più informazioni.  

Dopo un intervento parlamentare sulla questione nel giugno dello stesso anno, nel successivo dicembre l’Imbriani, che sosteneva la precedente appartenenza delle isole al Regno delle Due Sicilie, presentò un’interpellanza al Presidente del Consiglio e Ministro degli Esteri Di Rudinì, che non la ritenne fondata.25

Gli argomenti dell’Imbriani furono ripresi dal focoso deputato radicale Felice Cavallotti, e stimolarono i citati lavori dei geografi Antonio Baldacci e Giovanni Marinelli. Fu in tale contesto che prese piede e si sedimentò la narrazione della presunta “dimenticanza” del Regno d’Italia nell’annettersi le piccole isole. Come sopra ricordato, non fu affatto una “dimenticanza”, ma la soluzione pacifica di una piccola contesa internazionale, peraltro portata avanti dal Regno d’Italia e non dal precedente Regno delle Due Sicilie; contenzioso risolto, sulla base di documenti oltre che dei precedenti trattati, a favore di Vienna, come riportato dal console britannico Burton.

Da notare che in nessuno degli scritti politici o geografici che rivendicavano i diritti italiani sulle isole in questione si accenna alla asserita presenza di coloni portati da Ferdinando II nel 1843, a conferma che tale episodio è stato, con tutta probabilità, inventato in anni recenti.

Il Baldacci esplicitamente riscontra che le Pelagose erano rimaste disabitate in tempi recenti e si limita a congetture, senza alcuna prova documentale, su una ipotetica sovranità napoletana su tali isole, stabilita in epoca imprecisata e con modalità ignote.

Il Marinelli ritiene, invece che le isole fossero state sotto Venezia fino alla fine di quella Repubblica. La sua ipotesi di partenza, che le isole disabitate fossero divenute res nullius, è smentita dalle evidenze del concreto esercizio della sovranità austriaca dopo il 1815: solo un abbandono da parte austriaca della rivendicazione e dell’esercizio della sovranità su tali isole le avrebbe rese res nullius, ma, come si è visto, Vienna non rinunciò mai a rivendicare e ad esercitare sulle Pelagose i propri diritti, ereditati da Venezia. Le interrogazioni dei politici e gli scritti dei geografi erano ispirati, senza dubbio, ad un sincero patriottismo, ma non corrispondevano alla legittima situazione giuridica e alla realtà storica delle isole in questione.

Nel 1920 il Trattato di Rapallo, all’art. 3, sancì il passaggio all’Italia di Pelagosa e degli isolotti adiacenti, che vennero poi aggregate alla nuova provincia italiana di Zara. Il trattato di Brioni del 1921, art. 10, e le successive convenzioni applicative, stabilirono anche che le barche di Comisa, in numero non superiore a 40, avrebbero potuto continuare ad esercitare la pesca nelle acque di Pelagosa, secondo l’antica consuetudine e il citato decreto Dandolo del 1808.26

Anche questo riconoscimento dei diritti di pesca dei comisani confermava l’antico legame tra la cittadina lissana e Pelagosa, preesistente alle rivendicazioni del Regno d’Italia.

I pescatori che frequentavano le acque circostanti non costruivano edifici abitativi permanenti, ma si trattenevano solo nei mesi caldi e dormivano in barca o in tenda, così come è documentato per l’anno 1924, risultando essere in prevalenza provenienti da Comisa, e in minor misura dalle Tremiti.27

Questa era evidentemente anche la situazione che si presentava fra il 1797 e il 1873, data l’assenza di strutture abitative fisse sulle isole. Nel 1947, il Trattato di pace di Parigi stabilì, con l’art. 11.2, il passaggio delle isole di Pelagosa alla Jugoslavia, prevedendone la smilitarizzazione e con diritti di pesca nelle acque circostanti a favore dei pescatori italiani analoghi a quelli riservati ai comisani nel 1921. Con l’indipendenza, ottenuta nel 1991, la Croazia fu ritenuta Stato successore della Jugoslavia, conservando la sovranità sulle isole in questione

In conclusione, si può ritenere che le isole di Pelagosa non siano mai appartenute al Regno di Napoli, e poi delle Due Sicilie, essendo transitate dalla Repubblica Serenissima di Venezia all’Impero austriaco, con l’intervallo del dominio francese delle Province Illiriche, e che non siano mai state abitate da coloni, da pescatori provenienti da Ischia, né per iniziativa di Ferdinando II di Borbone, né di altri.

Che il Regno d’Italia, non dimenticò affatto di annettersi tali isole, ma ne rivendicò il possesso, riconoscendo poi che la sovranità, in base ai precedenti trattati, alle consuetudini e al legame secolare con la cittadina di Comisa, spettava all’Impero, nel frattempo divenuto austro-ungarico.

Che la pretesa precedente appartenenza delle isole al Regno delle Due Sicilie fu affermata pubblicamente solo a partire dal 1891, 30 anni dopo l’Unità d’Italia e 20 anni dopo il riconoscimento della sovranità austroungarica sulle isole, nell’ambito dell’azione di personaggi di estrazione garibaldina, come De Toth e Imbriani, e dello spirito patriottico con cui furono redatte le opere del Marinelli, del Baldacci e del Boffi, spesso con toni di accesa polemica politica nei confronti dei governi italiani, ma senza una valida base storica e giuridica; che fu proprio il Regno d’Italia, (“i Savoia” tanto denigrati nella recente pubblicistica pseudostorica) e non il Regno delle Due Sicilie, ad agire per portare tali isole sotto la sovranità italiana: situazione realizzatasi con la Prima Guerra Mondiale, ma destinata a svanire a causa degli esiti della Seconda.

Il regime internazionale delle isole di Pelagosa resta quello definito dal Trattato di Parigi del 1947, ovvero sovranità croata (già jugoslava) con obbligo di smilitarizzazione e diritti di pesca per gli italiani, nel contesto dell’Unione Europea, cui aderiscono sia Italia che Croazia. A partire dalla data d’ingresso della Croazia nel sistema Schengen, in data 8 dicembre 2022, è possibile visitare le isole senza controlli di frontiera anche partendo direttamente dall’Italia, in particolare dal Gargano, sicuramente la zona abitata più prossima a Pelagosa. In tal modo, le isole di Pelagosa riassumono pienamente il ruolo, già ricoperto fin da tempi antichissimi, di punto di incontro tra le comunità delle due sponde dell’Adriatico.

 

 

 

 

 

 

Note

 

 

1. Articolo non firmato pubblicato su 4 febbraio 2010 dal Quotidiano di Foggia, che si riporta solo a titolo esemplificativo, anche perché sembra essere il primo a riportare l’asserita colonizzazione delle Pelagose in epoca borbonica. Le pagine che attestano tale versione dei fatti sono numerosissime.

Sempre a titolo esemplificativo, si citano le seguenti pubblicazioni che riportano in tutto o in parte tale narrazione, senza chiarire le fonti primarie: RIZZI Alberto, Guida della Dalmazia, vol. II, 2010, Trieste, ed. Italo Svevo, pp. 466-467 (limitatamente alla “dimenticanza”, ma non all’asserito popolamento); GISSARA Liliana, Le isole perdute di Pelagosa e il “faro del possesso”, in «Italia Nostra» n. 502, gennaio febbraio marzo 2019, pp. 20-21; MARCARINI, Albano, Atlante inutile del mondo, Hoepli, Milano, 2021, p. 110; PASQUALIN, Riccardo, Pelagosa, un dominio veneto dimenticato, in «Storia Veneta», n. 74, novembre 2023, Elzeviro, Padova, pp.13-20, 16-17 (che parla non di effettiva colonizzazione, ma di un “tentativo pianificato di popolare Pelagosa”).

2. BALDACCI Antonio, Intorno alle Pelagose, presente on line e consultato il 29.07.2023.

3. KOVACIC, Josko, Palagruža od 12. do 20. stoljeća - Palagruža from tre 12th to tre 20th centuries (presente on line e consultato il 25.03.2024)

4. PEDANI, Maria Pia, The Ottoman-Venetian Border (15th-18th Centuries), Università Ca’ Foscari, Venezia, 2017.

5. BOZANIC Josko, The traditional fishing boats' regatta from Komiia to Palagruia;

History of traditional fishing around adriatic islands with vojga fishing nets(presenti on line e consultati in data 07.09.2023).

6. Lagosta e Comisa in lotta per controllare Pelagosa, pubblicato sul quotidiano “Il Piccolo” di Trieste del 25 febbraio 2013, che riporta le risultanze di un contenzioso giurisdizionale tra il comune di Comisa e quello di Lagosta sulla pertinenza amministrativa dell’isola, risolto dai giudici croati a favore di Comisa;

7. KOVACIC, cit.

8.  Archivio di Stato di Ascoli Piceno – Archivio Storico del comune di Ascoli Piceno – Archivio segreto anzianale – Busta VIII – Fasc. V (di Vincenzo Serafini), p. 23. Ringrazio Carlo Cetteo Cipriani della Società Dalmata di Storia Patria per avermi segnalato la notizia dell’interesse del Vescovo di Vieste nei riguardi di Pelagosa;

9. FORTIS Alberto, Viaggio in Dalmazia, a cura di Eva Viani, Edizioni digitali del CISVA per gentile concessione di Marsilio Editori, 2010, p. 296.

10. 15 aprile 1808. Legge Dandolo sulla pesca nel litorale dalmata. ll provveditor generale della Dalmazia. (Presente on line. Consultato il 15.09.2023); CAVEZZI Maurizio, La pesca in Dalmazia nel governo del Provveditore Generale Vincenzo Dandolo, in «Cimbas», n. 35, ottobre 2008, San Benedetto del Tronto, pp. 7-14.

11.  Citati in MARINELLI Giovanni.i, Il gruppo delle isole di Pelagosa, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», 1891, pp. 1035-1039, e in MARINELLI, La questione dell’isola di Pelagosa, in «Arte e Natura», Milano 1892, p. 7;

12. ZUCOLI Luigi, Nuovissima guida dei viaggiatori in Italia con l’aggiunta dei viaggi nella Dalmazia, nell’Istria, nella Grecia, Milano 1840; MARINELLI, cit. pp. 7-8.

13. CARTA G. B., Dizionario geografico universale tratto e compendiato dalle opere più accreditate e recenti di geografi insigni, Stamperia e cartiere del Fibreno, Napoli, 1843, p. 637.

14. BALDACCI, Osvaldo, Ricerche geografiche sulle isole Tremiti, in «Bollettino della Società Geografica Italiana», 1953, pp. 393-394

15. KOVACIC, cit.

16. CARRARA Francesco, La Dalmazia descritta con 48 tavole miniate rappresentanti i principali costumi nazionali, Zara 1846, p. 23.

17. Archivio di Stato di Foggia. Intendenza, Governo e Prefettura di Capitanata. Atti 1806-1861;

18. Galiola-Pharology Virtual Museum, Pula (Pola), Croazia, social Facebook (post segnalatomi da Domenico Sergio Antonacci, organizzatore e guida delle escursioni a Pelagosa che partono direttamente dal Gargano), consultato il 29 febbraio 2024.

19. Archivio di Stato di Trieste, Deputazione di Borsa poi Camera di commercio e d’industria di Trieste (1755-1921), busta 43 678 3009/859;

20. BOFFI Ferruccio E., Saggi storici e parlamentari, Sandron editore, 1924, pp. 199-2011; citato anche in SUSMEL Claudio, L’italianità geografica dell’arcipelago di Pelagosa, Conteso da secoli è più vicino alla Puglia che alla Dalmazia | Oblo' (claudiosusmel.it), consultato in data 11.09.2023; il Boffi cita come fonte dell’episodio che vide protagonista De Toth il giornale “Roma” del 10 dicembre 1891.

21. DI PAOLA Luigi, L’Istituto Idrografico della Marina, Ufficio Storico della Marina con la collaborazione dell’Istituto Idrografico, 2023, pp. 30 e ss.; ALTIC, Mirela, Charting Newly Created Statehood: A Maritime Survey of the Adriatic by the Joint Forces of the Austro-Hungarian and Italian Hydrographic Offices, 2020, (presente on line e consultato il 27.03.2024)

22. BURTON Richard Francis, A Visit to Lissa and Pelagosa, in «Journal of the Royal Geographical Society», Vol. 49, John Murray (London, 1879), pp. 151-190 (mia traduzione), Istria on the Internet - Relevant Non-Istrians - Richard Francis Burton (istrianet.org) consultato in data 08.09.2023;

23. BOFFI, cit.;

24. MIOTTO Stefania, Frammenti di Risorgimento: i sanvitesi Rosa e Guglielmo De Toth, “La Loggia”, n.s. 15 (2011), pp. 83-98; Le radici sanvitesi del patriota e giornalista Guglielmo De Toth (1830-1900), in «Atti della Settimana della Cultura Friulana» 2016, Udine 2017, pp. 95-104; Da San Vito al «Fanfulla»: Guglielmo De Toth (1830-1900) patriota, poeta e giornalista, «Atti dell’Accademia “S. Marco” di Pordenone», 16 (2014), pp. 905-92.

25. BOFFI, cit.; Archivio del Ministero degli Affari Esteri, busta 39 Poso D 303 374 Conte Rossi Michele Alessandro Gioachino. Richiesta di docu, menti. 1891 Poso D 304 375 Relazione Cadorna sul personale della spedizione del 1870. Ri, cerca. 1891 Poso D 305 376 Isole Pelagose. Poso D 306 *.

26. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 27 febbraio 1923, n. 48, P. 1348.

27. PASQUALIN, cit., p. 20.

 

 

 

 

Statistiche

Utenti registrati
137
Articoli
3180
Web Links
6
Visite agli articoli
15354634

(La registrazione degli utenti è riservata solo ai redattori) Visitatori on line

Abbiamo 596 visitatori e nessun utente online