Dubbi sull’immagine scientifica

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L’immagine scientifica dell’essere umano è un’idealizzazione; è difficile definirla in termini precisi perché sta costantemente evolvendo davanti ai nostri occhi. Inoltre si potrebbe obiettare che le “immagini” scientifiche sono certamente più d’una, nel senso che fisica, chimica, biologia, sociologia, etc. hanno, ognuna, una particolare immagine dell’uomo, e ciascuna di tali immagini dovrebbe a sua volta essere posta a confronto con quella del senso comune.

Tuttavia, quando prendiamo in considerazione “la” immagine scientifica che emerge dalle molteplici immagini fornite dalle diverse scienze, è facile constatare che essa si propone quale visione completa che contiene l’intera verità circa il mondo e il ruolo che gli esseri umani vi svolgono. Proprio per questo motivo l’immagine scientifica può essere pensata come una rivale di quella del senso comune. Essa mette in dubbio la visione che abbiamo di noi stessi e, se l’immagine scientifica è vera, allora noi non siamo ciò che pensiamo e diciamo di essere.

Dal punto di vista dei sostenitori della validità incondizionata della nostra scienza attuale, l’immagine del senso comune è totalmente inadeguata, poiché la “vera” realtà è rispecchiata dall’immagine scientifica.

È importante notare, allora, che ogni argomento mirante a mostrare che gli oggetti del senso comune (o quelli scientifici) sono tutto ciò che esiste realmente, rifiutando l’esistenza di altri tipi di oggetti, opera entro la cornice del senso comune (o di quella scientifica) e, di conseguenza, non fornisce alcun punto di vista esterno su cui appoggiarsi. Né serve ricorrere alle nozioni di coerenza e di incoerenza, giacché una cornice può essere incoerente e, al contempo, rappresentare uno schema concettuale di successo nella pratica quotidiana.

Molti problemi sorgono quando alcuni autori rivendicano il primato dell’immagine scientifica. Wilfrid Sellars, per esempio, accettò la tesi secondo cui “la visione scientifica del mondo è (in linea di principio) l’immagine adeguata”, da cui segue che “la scienza è ma misura di tutte le cose, di ciò che è in quanto è, e di ciò che non è in quanto non è”.

Ma si debbono avanzare seri dubbi circa la possibilità di costruire una simile immagine scientifica completa (per quanto idealizzata). La domanda che occorre porsi a questo riguardo è: di quale immagine scientifica stiamo parlando?

Una sintesi stabile come quella appena ipotizzata sembra irraggiungibile nella pratica. Tale visione risulta plausibile soltanto se la ricerca scientifica potesse davvero esaurirsi avendo conseguito tutti i suoi obiettivi, e si può naturalmente obiettare che nessun indizio ci autorizza a trarre questa conclusione (o, ancor meglio, gli indizi a nostra disposizione conducono nella direzione opposta).

È opportuno notare, inoltre, che anche l’immagine del senso comune non può essere considerata stabile.

È un dato di fatto che essa evolve, trasferendo continuamente all’interno della propria cornice elementi che provengono dall’immagine scientifica. L’ontologia del senso comune è tutt’altro che stabile e determinata: essa non è affatto “data” una volta per tutte. La sua incessante evoluzione, al contrario, è caratterizzata dalle interrelazioni dinamiche con l’immagine scientifica.

Un quadro come quello proposto dai sostenitori della validità incondizionata dell’immagine scientifica acquisterebbe senso soltanto se la scienza fosse qualcosa di “neutrale”, mentre sembra assai più ragionevole concepirla come la “nostra” scienza. In altre parole la scienza è sempre il risultato delle nostre indagini sulla natura, e questa è, inevitabilmente, una questione di transazione in cui la natura stessa è uno degli elementi coinvolti, mentre l’altro è colui che indaga.

Vista la situazione appena delineata, la scienza di qualsiasi periodo storico non è qualcosa di totalmente indipendente dagli scienziati che la praticano e dalle loro particolari procedure e metodologie d’indagine.

Proprio per questo non possiamo accettare a cuor leggero la parafrasi di Protagora secondo cui “la scienza è la misura di tutte le cose”. Risultano quindi più che mai attuali le seguenti parole di Werner Heisenberg: «La scienza naturale non descrive e spiega semplicemente la natura; descrive la natura in rapporto ai sistemi usati da noi per interrogarla. È qualcosa, questo, cui Descartes poteva non aver pensato, ma che rende impossibile una netta separazione fra il mondo e l’Io».

La logica della spiegazione scientifica potrebbe giungere allo stadio finale solo nel caso che la scienza fosse in grado di conseguire la completezza. Nella scienza completa, infatti, gli uomini non hanno più alcun bisogno di indagare la natura degli oggetti; in altre parole si suppone che la scienza all’ultimo stadio di sviluppo descriva tutti i possibili aspetti di ciò che ci circonda, fornendo così un quadro del mondo come realmente è.

E per giustificare una simile posizione occorre adottare un approccio di tipo peirceano che assuma un progresso lineare in ambito scientifico, culminante in una teoria finale. Ma già sappiamo che l’incertezza circa il contenuto delle teorie scientifiche è cresciuta velocemente, unitamente alla sensazione che vi sono teorie alternative in grado di spiegare in maniera adeguata tutte le possibili osservazioni. L’espandersi del relativismo è, a questo punto, comprensibile.

La teoria convergentista di Peirce deve insomma essere rimpiazzata da un approccio più modesto - e più realistico - basato sul crescente successo delle applicazioni scientifiche. Analogamente a quanto accade nella filosofia politica, le idee di “perfezione” e di “completezza” appaiono in filosofia della scienza, oltre che irrealizzabili, anche pericolose.

 

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