La cappella della Sommaria in Castel Capuano
La politica accentratrice del Vicerè di Napoli Pedro de Toledo negli anni del suo mandato, dal 1532 al 1553 (anno della morte), si concretizza nella riorganizzazione della burocrazia del “Regnum”: decise, infatti, di spostare in un’unica sede tutti i tribunali sparsi per la capitale, scegliendo allo scopo l’antica fortezza normanna di Castel Capuano e trasferendovi la Gran Corte della Vicaria, il Sacro Regio Consiglio e la Regia Camera della Sommaria. Adiacente a quest’ultima si trova una cappella di 7x5 metri e copertura a volta, le cui decorazioni rappresentano il maggior esito della pittura di Pedro de Rubiales, pittore spagnolo attivo alla metà del secolo tra Roma e Napoli, che dall’estate 1548 affrescò la volta e le pareti con Storie cristologiche e allegorie, mentre per l’altare dipinse una tavola a olio con una Pietà. Ma chi era costui? Questa personalità ha rappresentato per la critica un problema di natura storiografica che solo a partire dalla seconda metà del Novecento ha trovato una soluzione; infatti, la confusione biografica delle fonti aveva sovrapposto al nome di Rubiales quello di un altro pittore spagnolo, chiamato Francesco Ruviale, detto il Polidorino per essere stato discepolo di Polidoro da Caravaggio a Napoli nel 1527. Pedro de Rubiales nacque ad Alburquerque, in Estremadura, nel corso del secondo decennio del Cinquecento. L’opera che apre il suo catalogo è un retablo dedicato a Sant’Orsola dipinto nel 1540 a Valencia, insieme al collega Gaspar Requena, per il convento cittadino della Purità. Circa un anno dopo, nell’aprile del 154, è documentato a Roma, dove era in piena fioritura la stagione manierista di Francesco Salviati, Perin del Vaga, Daniele da Volterra e Giorgio Vasari, pittori con i quali Rubiales intrattenne rapporti di collaborazione e discepolato. L’inserimento di Pedro nell’ambiente artistico romano fu quasi immediato, dato che nel 1544 terminò la sua prima opera italiana: il ciclo di affreschi del Fregio di Scipione l’Africano, nel Palazzo dei Conservatori. Giorgio Vasari gli attribuì una Conversione di San Paolo nella Chiesa romana di Santo Spirito in Sassia, mentre nel 1546 ritroviamo il Rubiales fra i collaboratori dell’aretino nelle decorazioni della Sala dei Cento Giorni nel Palazzo della Cancelleria, sempre a Roma. Nodo cruciale per la vicenda del pittore fu il suo trasferimento a Napoli nel 1548; nella città partenopea Rubiales trovò un ambiente assai favorevole in cui ebbe la possibilità di esprimere tutte le sue doti e dove realizzò il suo capolavoro: la decorazione della Cappella della Sommaria. Inoltre tra il 1550 e il 1552 affrescò la cappella dei Principi di Sulmona, nella Chiesa napoletana di Sant’Anna dei Lombardi (conosciuta anche col nome di Chiesa di Monteoliveto), dipingendo le due pareti laterali con Storie di Giona e Storie di Esaù e Giacobbe. Il soggiorno di Pedro de Rubiales a Napoli durò dal 1548 al 1552 circa, salvo poi ritornare a Roma, dove realizzò le sue ultime opere entro il 1560 e dove presumibilmente morì non oltre gli anni Ottanta del secolo. Durante questo ritorno nell’Urbe, lo spagnolo affrescò nel Salotto Celeste di Palazzo Massimo di Pirro il Fregio di Enea e Didone, poi realizzò la pala d’altare dell’Oratorio del Gonfalone e, infine, partecipò alla realizzazione di alcune tavole anatomiche per il trattato del medico Valverde de Hamusco che, a commento dell’illustrazione, elogia le sue qualità di ottimo conoscitore dell’anatomia, alla pari di Michelangelo. Torniamo ora alle decorazioni della Sommaria: al centro della volta, in uno spazio rettangolare, campeggia un’Ascensione, mentre quattro ovali disposti uno per lato, ospitano altrettante scene (Resurrezione, Pentecoste, Noli me tangere e Apparizione di Cristo a Maria). Gli affreschi sono inseriti in un elegantissimo apparato decorativo con modanature in stucco, che ricopre completamente la volta disegnando uno schema quadrilobato e degli spazi a mezzaluna decorati a grottesche; mentre agli angoli sedici figure allegoriche, entro cornici e su fondo dorato, divise in quattro gruppi, occupano lo spazio restante della volta: tra queste si distinguono quelle della Prudenza, Carità, Fede, Abbondanza, Giustizia, Verità, Pace, Sapienza, Speranza, Perdono, Tempo. La decorazione appare improntata ai criteri ornamentali di gusto manierista, richiamando gli apparati più noti delle Logge Vaticane e lo stile di Salviati nella volta dello scrittoio di Eleonora di Toledo, in Palazzo Vecchio; ma Rubiales guardò soprattutto alla decorazione di Vasari in Monteoliveto, terminata nel 1545. Su ciascuna delle due pareti laterali trovano posto tre affreschi rettangolari entro ricche cornici di legno, di cui quello centrale disposto verticalmente e gli altri due in senso orizzontale. Il ciclo inizia a sinistra, entrando nella cappella, con l’Andata al Calvario e procede con la Crocifissione e la Deposizione; la Pietà posta sull’altare collega queste prime tre scene con quelle sulla volta, mentre i tre riquadri dipinti sulla parete destra concludono il ciclo con le raffigurazioni del Giudizio Finale, al centro, e degli Eletti e dei Dannati rispettivamente a sinistra e a destra. La decorazione della Cappella della Sommaria si può considerare il primo lavoro realizzato da Rubiales in totale indipendenza potendo esprimere liberamente tutta la sua vena creativa: la si carica di valori più espressivi, propri della sua formazione ispano-fiamminga e trovando un riscontro nel mercato artistico napoletano, caratterizzato da una proliferazione di rappresentazioni devozionali di più accentuata espressività. Come già detto, il ciclo pittorico si apre con l’Andata al Calvario: il modello preso in considerazione è il raffaellesco Spasimo di Sicilia, che l’estremegno può aver visto attraverso incisioni dell’epoca. La scena successiva, la Crocifissione, è racchiusa entro un’edicola intagliata composta da festoni e bloccata da elegantissime candeliere. La croce di Cristo occupa la totalità dello spazio, sfruttando l’effetto di slancio che il rettangolo verticale offre. La posizione è scorciata quel tanto che basta a dare il senso della profondità e un paesaggio in lontananza, tra casolari e campagna, contribuisce a rendere ancora più concreto il dramma. Nel registro inferiore trovano posto due gruppi distinti: quello in primo piano, ai piedi della croce, con Maria afflitta sostenuta dalle altre dolenti; il secondo, alle spalle di Cristo, con i soldati intenti a giocarsi la tunica. Nel riquadro con la Deposizione l’artista sfruttò lo spazio orizzontale per rappresentare interamente la scena, incluse le croci dei due ladroni; in basso a sinistra è sempre presente il gruppo delle dolenti, mentre sulla destra due uomini trasportano il cadavere di uno dei condannati. Al centro si svolge l’evento principale: il corpo di Cristo viene calato lentamente a terra con l’aiuto di alcune fasce e le due scale utilizzate allo scopo misurano lo spazio grazie a una leggera fuga prospettica. L’affresco si può definire un vero e proprio campionario di riferimenti: da Giorgio Vasari a Daniele da Volterra a Rosso Fiorentino Per quanto riguarda la scena rappresentata al centro della volta, l’Ascensione, l’aspetto è “fiammeggiante” ed “espressionistico” tanto da richiamare le visioni di Alonso Berruguete. Gli altri quattro episodi della volta occupano gli spazi ovali ai lati. Nella Pentecoste lo spagnolo pone la figura di Maria esattamente al centro della rappresentazione, in corrispondenza della colomba dello Spirito Santo, dividendo simmetricamente lo spazio: ai lati, infatti, gli apostoli si dispongono a semicerchio, mentre un colonnato architravato fa da quinta alla scena. I due episodi del Noli me tangere e dell’Apparizione di Cristo a Maria sono legati fra loro dalla stessa linea compositiva, infatti si può notare il medesimo schema ribaltato, mentre le voluminose anatomie si rifanno al Giudizio Finale di Michelangelo. Per l’ultima scena della volta, la Resurrezione, l’analisi stilistica risulta impossibile per la quasi totale caduta dello strato colorato d’intonaco. L’affresco sistino risulta palesemente citato negli ultimi tre spazi del ciclo sulla parete destra, se pur con interessanti differenze. In primo luogo, la presenza di pochi nudi integrali, evidentemente conseguenza del contesto controriformato dell’epoca (non si dimentichi la censura attuata anche nei confronti del Giudizio), mentre un carattere esoterico e un tono macabro percorrono l’intera parete. Nel Giudizio Finale l’apice del rettangolo verticale è occupato dalla figura di Cristo che, col gesto delle mani, divide le due schiere degli eletti e dei dannati; ai suoi piedi la Madonna e più al di sotto quattro figure di santi, fra cui San Pietro e San Bartolomeo. Nella metà inferiore trovano posto cinque angeli che suonano le trombe dell’avvento del Giudizio, spaventando la figura del Tempo (l’anziano nell’angolo inferiore sinistro), la cui clessidra giace ormai rotta sul terreno, e la Morte scheletrica, ormai impotente con la sua falce ridotta a pezzi; intanto, nell’angolo destro un corpo sta risorgendo. Rubiales invece di dare un’unica visione della scena, separò la raffigurazione degli eletti da quella dei dannati, mantenendo così lo schema tripartito della parete. L’affresco con Gli Eletti è nettamente diviso in due fasce orizzontali: una superiore, con la schiera dei prescelti seduti tra le nubi, e quella inferiore in cui trovano posto a sinistra delle figure intente a salire verso il cielo; mentre a destra è visibile un curioso gruppo di angeli intenti a rimontare uno scheletro. Molte più differenze rispetto al Giudizio del Buonarroti si notano nell’affresco con Caronte e i dannati; qui Rubiales, pur avendo in mente la scena sistina, inserì degli elementi nuovi: primo fra tutti, quello che a prima vista sembra Caronte, intento a traghettare i peccatori spingendoli col remo, è in realtà un genietto malefico munito di ali; i dannati finiscono, invece, in bocca a un Leviatano sputafuoco; infine, le figure mitologiche di Cerbero e delle tre Furie, non presenti nell’affresco della Sistina, furono ispirate evidentemente alla Divina Commedia. Il tutto espresso con un tono allucinato tipicamente manierista. Punto focale dell’intera cappella è la pala d’altare con la rappresentazione della Pietà: si tratta di un olio su tavola di circa 2,70x1,50 metri, incorniciata da una modanatura in stucco, semicircolare nella parte alta e culminante con due volute legate da altrettanti festoni. Ai piedi della croce perfettamente frontale, la Madonna, dalle mani giunte al petto, contempla dolorante il Figlio morto adagiato sul suo grembo (evidente è il richiamo alla Pietà di San Pietro) e sostenuto da San Giovanni e dalla Maddalena inginocchiata. Altre due donne, a sinistra e a destra della Vergine, partecipano al dramma, mentre appena dietro la croce due uomini, intenti a parlare, forse commentano la scena. Più lontano sulla destra, tre figure stanno preparando il sepolcro per Gesù e, al di sopra del paesaggio, due angeli simmetrici trovano posto ai lati della croce. Un’ultima precisazione meritano le allegorie dipinte negli scomparti della volta: le figure si stagliano su fondi chiari, delicatamente luminosi e puntati d’oro a rilievo come nelle pitture di Monteoliveto del Vasari (lo schema decorativo risulta pressoché identico). Probabilmente la scelta di rappresentare gli episodi della Passione si ricollega alla storia dell’antica cappella angioina, che si diceva contenesse una spina della corona di Cristo, fatta custodire per volere della regina Giovanna I, ma questo non spiega le figure allegoriche presenti sulla volta. Bisogna allora ripartire dal nome stesso: si è detto che la cappella viene così chiamata dal tribunale adiacente e che viene realizzata a suo servizio; qui, infatti, si fermavano i Presidenti dell’istituzione per assistere alla messa, prima di adempiere alle proprie funzioni. Gli studiosi Porcaro e Borrelli hanno spiegato chiaramente il significato del ciclo dipinto da Rubiales, in una cappella che, per l’unità tra gli elementi plastici in stucco e quelli pittorici, si configura quasi come un ambiente pre-barocco: «[...] in essa i Presidenti sostavano ad ascoltare la messa prima di riunirsi e decidere sulle condanne da applicare ai rei. Lì avevano il tempo di meditare sul dolore umano e sulle punizioni da infliggere, ma attenzione con Giustizia e Sapienza! Quello che Cristo aveva sofferto per la redenzione dell’umanità doveva essere sempre presente ai loro occhi di giudici: che mai fosse disgiunto il Perdono e l’assoluzione per gli innocenti dal castigo solenne per i colpevoli. Che mai venisse meno nel loro animo la Carità, la Fede e la Prudenza, poiché il Tempo sempre avrebbe fatto definitivamente luce sulla Verità. Le allegorie vigilavano dall’alto della volta ammonendo il Supremo Consiglio della Camera a meditare seriamente prima di emettere le sentenze».
Gianluca Rizzi
Bibliografia: F. Bologna, Roviale Spagnuolo e la pittura napoletana del Cinquecento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1959. G. Porcaro, G. Borrelli, La Real Cappella della Sommaria in Castelcapuano, Napoli, Benincasa, 1971. G. Redin Michaus, Pedro de Rubiales, Gaspar Becerra y los pintores espanoles en Roma, 1527-1600, Madrid, Departamento de Historia del Arte, Instituto de Historia, Consejo Superior de Investigaciones Cientificas, 2007. N. Dacos, De Pedro de Rubiales a ‘Roviale spagnuolo’: el gran salto de Espana a Italia, in «Boletin del Seminario de Estudios de Arte y Arqueologia. Arte. Departamento de Historia del Arte», Universidad de Valladolid, LXXV, 75, 2009, pp. 101-114.
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