Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L’Italia di Dante “il bel Paese Ch' Appennin parte...”

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Quando si parla di Dante Alighieri la prima definizione che viene in mente è quella di “Padre della lingua italiana”.

Nel Devulgari Eloquentia, infatti, il Poeta espone le norme e i requisiti per trasformare il volgare italiano in una lingua letteraria, conferendo ad esso nuova dignità e valorizzandone così la bellezza.

Il Trattato è scritto in latino, perché rivolto ai colti e agli studiosi, ed è composto fra il 1303 e il 1304, quando Dante, condannato all’esilio in contumacia, inizia la sua vita raminga per l’Italia centro-settentrionale: all’epoca, infatti, è a Verona ospitato da Cangrande della Scala.

Nel primo libro dell’opera egli descrive l’Europa dal punto di vista linguistico, suddividendola in tre parti: il mondo germanico a nord, dalla foce del Danubio fino alle coste atlantiche della Gran Bretagna, da cui derivano le lingue di Ungari, Slavi, Scandinavi, Tedeschi e Inglesi; il mondo greco, dagli Ungari verso l’Oriente, a cavallo di Europa e Asia; infine, il mondo romano a sud, tripartito a sua volta in ispanico (cioè provenzale), francese e italiano.

Ognuna delle tre parlate romanze varia ulteriormente al suo interno, tanto che per l’Italia si possono distinguere ben 14 volgari locali.

Dante quando definisce linguisticamente la Penisola lo fa anche geograficamente, fissandone i confini dai Genovesi fino all’Adriatico e alla Sicilia; inoltre distribuisce gli idiomi regionali a destra e a sinistra degli Appennini, cioè fra un’Italia tirrenica e un’Italia adriatica: alla prima appartengono la marca di Genova, Toscana, Roma, Ducato di Spoleto, Puglia (ossia l’Italia meridionale a cavallo della dorsale), Sicilia e Sardegna; della seconda fanno parte Longobardia, Venezia, Friuli, Istria, Romagna, marca di Ancona e il resto della Puglia.

Questa suddivisione dell’Italia è assai lontana da quella “scolastica” nord-sud a cui siamo abituati, presentando invece un andamento della Penisola in senso nord-ovest/sud-est, tanto che una città come Napoli si trova più ad est di Trieste: in ciò il ruolo divisorio degli Appennini è alquanto significativo.

Il Poeta, in realtà, riprende un’immagine più antica, che risale a Strabone, geografo greco al tempo dell’imperatore Tiberio, autore di una Gheographiká in cui descrive le terre dell’Impero romano.

I libri V e VI sono dedicati alla Penisola e, nell’introduzione, l’autore afferma di non condividere la rappresentazione che altri hanno dato dell’Italia, cioè quella di un triangolo la cui base sono le Alpi, il vertice lo Stretto di Sicilia e i due lati le coste tirrenica e adriatica, propendendo di più per una forma quadrangolare con il lato adriatico che da Pola flette verso Rimini e Ancona e un quarto lato che unisce il Capo di Leuca a Reggio.

All’Italia appartengono poi la Sicilia, la Sardegna e la Corsica, perciò una volta definiti i confini Strabone passa a descrivere singolarmente ogni sua parte, iniziando dalla Liguria e seguendo l’andamento delle coste in senso antiorario.

Anche per lo studioso greco la dorsale appenninica rappresenta il confine naturale tra le due Italie, le quali comprendono 13 aree omogenee per vicende etniche e caratteri fisici (se si considera che l’area padana può essere suddivisa ulteriormente in due parti, le articolazioni così individuate coincidono con i quattordici volgari enumerati da Dante).

Come fa notare Ernesto Galli della Loggia «la coscienza romana più antica sentì così fortemente questo ruolo - degli Appennini - da considerare come Italia vera e propria solo il versante tirrenico, mentre quello adriatico veniva relegato in una estranea lontananza abitata da Greci e Celti».

E infatti la prima “Italia” è individuata nella punta della Calabria, nel territorio abitato dagli Itali/Enotri, fino all’istmo del golfo di Squillace; successivamente l’estensione dell’Italia arriva fino a Metaponto e al golfo di Salerno, per poi arrestarsi al fiume Rubicone, limite fra Romani e Celti.

Solo dopo la Guerra Sociale e le conquiste di Cesare, i nostri confini arriveranno fino alle Alpi e all’Istria; infine la riforma amministrativa augustea suddivide la Penisola in 11 regiones e Diocleziano, costituendo la Dioecesis Italiciana, vi ricomprenderà anche Sicilia, Sardegna e Corsica.

Ancora a ridosso del Risorgimento lo storico francese Jules Michelet nella sua Storia di Roma definisce gli Appennini la spina dorsale dell’Italia, che la divide in una striscia orientale, dalla Pianura Padana alla Puglia passando per Marche e Abruzzi, e una striscia occidentale che dalla Toscana segue il mare Tirreno fino alla Sicilia.

È interessante notare come le vicende più importanti che hanno determinato l’Unità d’Italia si siano sviluppate lungo l’asse tirrenico fra Torino e Napoli/Palermo, concludendosi con la presa di Roma nel 1870, così come al momento dell’unificazione il divario industriale non si presenta tanto fra Nord e Sud, ma tra Ovest ed Est della Penisola e solo dopo il 1880 il sottosviluppo si sposta dal versante adriatico al Meridione.

 

Bibliografia:

I. Borzi et ali (a cura di), Dante. Tutte le opere, Roma, Newton Compton, 1993/2007, 2 ed. 2010, pp. 7-16, 1017-1070.

G. Maddoli, La percezione della realtà etnica e regionale nell’Italia di Strabone, in «Geographia Antiqua», XX-XXI, 2011-2012, Firenze, Olschki, pp. 35-43 [da www.academia.edu].

Strabone, Geografia. L’Italia (Libri V-VI), Milano, Rizzoli, 1988.

E. Galli della Loggia, L’identità italiana, Bologna, Il Mulino, 1998, nuova ed. 2010, pp. 12-15.

J. Michelet, Storia di Roma, Roma, Gherardo Casini Editore, 2009, pp. 3-23.

M. Erba, I numeri dello Stivale unito, in «Focus» n.75, Milano, 2013, pp. 50-51.

 

 

 

 

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