Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L’obiettivo è cancellare Israele

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Chi segue - per lavoro o spinto da semplice curiosità - i principali social network, nota subito che, parallelamente alla sanguinosa battaglia di Gaza, un’altra è in pieno svolgimento.

Si tratta questa volta di una battaglia mediatica, cui partecipano singoli frequentatori della Rete, agenzie giornalistiche più o meno schierate e siti di simpatizzanti dell’uno e dell’altro campo.

Ebbene, è facile notare che la sproporzione è davvero enorme. I messaggi a favore delle ragioni di Israele sono surclassati da quelli filopalestinesi in misura così ampia che risulta persino difficile quantificarla. E nei secondi mai si trova il benché minimo cenno alla dinamica che ha condotto ai tragici avvenimenti ancora in corso.

Nessuno intende negare che gli israeliani abbiano commesso negli ultimi decenni grandi errori. Cito soltanto l’esempio più clamoroso. Era davvero necessario inaugurare la politica degli insediamenti, con nuclei di coloni che vivono in villaggi (a guisa di fortini) isolati all’interno dei territori palestinesi? Di certo non lo era.

È una politica che, caldeggiata dall’estremismo religioso ebraico, ha inevitabilmente condotto al rafforzamento dell’estremismo opposto. E ora se ne vedono le conseguenze.

Nel caso di Gaza, tuttavia, penso che il quadro abbia bisogno di qualche chiarimento. Mi è capitato recentemente di leggere su un giornale online un articolo in cui Hamas viene sorprendentemente dipinto come una sorta di San Vincenzo (o di Esercito della Salvezza) islamica, tutta dedita all’assistenza dei poveri e dei malati.

 

In realtà è un’organizzazione che ha conquistato la striscia di Gaza dopo una feroce e cruentissima lotta con i miliziani dell’Autorità Nazionale Palestinese, che infatti da quei territori è stata totalmente eliminata. Non solo.

Ancora più importante è rammentare che nel preambolo del suo statuto fondativo la missione del movimento è identificata con la distruzione dello Stato ebraico. Vi si legge, infatti, che «Israele esisterà e continuerà a esistere fino al momento in cui l’Islam lo cancellerà».

Non vi possono dunque essere mediazioni di alcun tipo, poiché all’avversario viene negato in modo inequivocabile lo stesso diritto all’esistenza. Le cronache hanno poi dimostrato che Gaza è stata trasformata in una fortezza, celando le rampe di missili negli insediamenti civili e dotandola di un sistema di tunnel sotterranei di tale ampiezza da far sembrare le celebri gallerie costruite dai vietcong nella guerra vietnamita un gioco da ragazzi.

E le rampe, nonostante la fortissima pressione dell’esercito israeliano, continuano a colpire. Lo scudo Iron Dome, per quanto efficacissimo, non riesce a bloccare proprio tutto, tanto che un razzo è caduto assai vicino all’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv, inducendo le principali compagnie aeree (a partire da quelle americane) a sospendere i voli.

Con questo Israele è praticamente isolato dal resto del mondo. Come hanno scritto Fiamma Nirenstein e altri Israele ora è solo, sia dal punto di vista psicologico sia da quello fisico.

È uno dei principali obiettivi che Hamas si proponeva di raggiungere lanciando migliaia di razzi sul territorio dello Stato ebraico.

A questo punto conta poco sapere se l’esercito israeliano riuscirà veramente a distruggere tutte le rampe e a chiudere tutti i tunnel. Allo stato dei fatti sembra assai difficile che l’intervento militare possa conseguire risultati così completi. Più importante è un’altra constatazione. Con il diffondersi capillare del radicalismo islamico il quadro è regredito di parecchi decenni. Nessuna trattativa e nessuna mediazione, anche se qualcosa può essere concesso sul momento per allentare la pressione militare.

Israele è considerato un corpo estraneo alla regione, imposto dall’Occidente. Non potendo più condurre grandi battaglie campali contro eserciti regolari, come accadeva in passato, deve affrontare lo stillicidio di mille piccole battaglie con nemici che stanno alle porte di casa e, spesso, all’interno del suo stesso territorio.

Si diffonde quindi la vecchia idea, cara agli antisemiti di ogni parte del mondo, di “ributtare gli ebrei a mare”, costringendoli a un altro esodo per evitare un nuovo Olocausto. Solo che gli israeliani non paiono affatto disposti a subire (si sono dotati, com’è noto, anche di armi nucleari). In assenza di credibili e autorevoli interventi esterni, l’orologio della storia si trova con le lancette che vanno inesorabilmente indietro.

 

 

 

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