Un paese in movimento. L'Italia negli anni Sessanta e Settanta
Gli anni Settanta della storia italiana attendono ancora un’analisi obiettiva e scevra da pregiudizi, fondata sui dati di fatto e di cronaca. Il Sessantotto, ad esempio, da alcuni viene demonizzato come il vaso di Pandora dal quale si sono riversati tutti i crimini del decennio successivo, da altri come Sidney Tarrow è indicato invece come un periodo di disordine “creativo”, portatore di democrazia. Uno sforzo significativo per comprendere quella stagione arriva dal bel libro «Un paese in movimento. L’Italia negli anni Sessanta e Settanta» di Simona Colarizi (Editore Laterza), che ci racconta da un altro punto di vista il decennio che nell’immaginario collettivo è evocato come quello degli “anni di piombo”, con le pistole spianate nelle guerriglie urbane, le bombe esplose nelle piazze, sui treni, negli edifici, gli attentati e gli omicidi che allungavano ogni giorno il tragico elenco di morti e di feriti. La storiografia, anche di recente, ha confermato gli aspetti drammatici di questo decennio marcato dal sangue di troppi innocenti. Ma, come ha osservato Simona Colarizi nel suo saggio, «stragi, terrorismo, criminalità organizzata hanno lasciato un segno indelebile nella storia repubblicana tanto da far dimenticare gli altri anni Settanta, un decennio di crescita democratica che ha consentito di sconfiggere i terrorismi».
Senza questa Italia, sarebbe stato assai più difficile uscire dalla “notte della Repubblica”; anzi, proprio grazie a questa Italia, di gran lunga maggioritaria rispetto alle minoranze criminali, si sono evitati i pericoli di un’involuzione autoritaria o di un’esplosione rivoluzionaria, che erano poi gli obiettivi rispettivamente degli strateghi del terrore e dei brigatisti. Senza questa Italia, non si sarebbero avute conquiste civili come il divorzio, l’aborto, lo Statuto dei lavoratori, la nascita delle Regioni, le norme sulla parità tra donne e uomini. Quella generazione di italiani, infatti, era in larga parte percorsa da fermenti democratici e decisa a liberarsi del passato autoritario e conformista lasciato in eredità dalla dittatura. La maggior parte dei giovani e meno giovani saliti prepotentemente alla ribalta della politica sulla scia del boom economico, al contrario dei loro coetanei che si smarrivano nei miti rivoluzionari di sinistra o di destra o si mettevano al servizio dei golpisti o della mafia, legavano il proprio impegno agli ideali della democrazia e del progresso. Il salto dell’Italia nella modernità e la conquista di libertà e di diritti negati vanno attribuiti alle generazioni maturate negli anni Sessanta e Settanta, al loro entusiasmo politico, alla loro passione civile, che hanno segnato nella storia del paese una pagina di intensa partecipazione, fino a oggi mai eguagliata, che vide scendere nelle piazze almeno tre generazioni di giovani dal 1960 al 1976. Nel saggio della Colarizi, emerge il ruolo positivo recitato dai giovanissimi impegnati nei movimenti operai, studenti, borghesi, dalle donne del movimento femminista ma anche dai militanti e da una parte delle élites politiche al governo e all’opposizione, nella Dc di Aldo Moro come nel Pci di Enrico Berlinguer, nel Psi, nei radicali di Marco Pannella, nelle amministrazioni locali, nei sindacati, nella rete delle organizzazioni e in parte del basso e dell’alto clero. La cornice politica e istituzionale di quegli anni, caratterizzata dai governi di centrosinistra basati sull’asse Dc-Psi ma anche dall’ascesa del Pci (almeno fino alla prima metà del decennio), grazie alla sua egemonia culturale e alla conquista del voto dei ceti medi, è dunque indispensabile per leggere correttamente questa stagione, fatta di luci (i diritti civili e sociali, l’antiautoritarismo) e di ombre (il terrorismo, la corruzione), in un clima internazionale comunque di guerra fredda. E che tuttavia consentì all’Italia in tempi record di completare il percorso per diventare una moderna democrazia occidentale.
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