America islamizzata?
È un processo che parte da lontano e al quale, finora, i vertici politici Usa hanno prestato ben scarsa attenzione. Convinti della validità della distinzione tra islamici “estremisti” e “moderati”, sulla quale molto insisteva Bill Clinton e, dopo di lui, Barack Obama, il mondo politico americano – con l’unica eccezione di Donald Trump – ha lasciato che molti Paesi islamici creassero sul suolo nordamericano una vastissima rete di istituzioni volte a diffondere il loro messaggio religioso e politico. Ma è noto che, in quel mondo, la separazione tra religione e politica non esiste, mentre la stessa filosofia viene insegnata sotto i vessilli della teologia. Chi scrive ne ha avuto esperienza diretta nel corso di alcuni soggiorni presso università di Paesi musulmani (incluso il Libano, un tempo nazione multiculturale e multireligiosa). Il fatto che ha reso evidente a tutti il succitato processo di islamizzazione è la crisi di Gaza. Improvvisamente gran parte degli atenei Usa, ivi inclusi i più prestigiosi quali Harvard, Princeton, Stanford, Yale etc, si sono riempiti di striscioni non solo filo-palestinesi, ma anche anti-ebraici. Roba mai vista prima nella nazione che, bene o male, detiene ancora la leadership dell’Occidente. Contestualmente non si contano più gli episodi di anti-semitismo, con intimidazioni (spesso fisiche) nei confronti di studenti ebrei che a volte, in classe, vengono costretti dai docenti a identificarsi come tali. Nel passato europeo si contano molti episodi di questo tipo, in quello americano mai.
Il fatto è che i Paesi islamici, resi forti dai loro proventi petroliferi, hanno da tempo messo gli occhi sugli atenei Usa, ben sapendo che proprio lì si forma la futura classe dirigente americana. Dal momento che quella attuale è in larghissima maggioranza favorevole a Israele, sceicchi ed emiri hanno pensato di modificare la situazione finanziando con grandi donazioni le università statunitensi. E, considerato quanto sta accadendo, pare proprio che siano riusciti nel loro intento. Giusto per fare qualche esempio, Qatar e Arabia Saudita stanno finanziando lautamente gli atenei Usa dove la simpatia per Hamas si unisce a un anti-semitismo sempre più aperto. Notevole anche il ruolo svolto dai Fratelli Musulmani, molto presenti negli atenei di cui sopra, e dei quali la stessa Hamas è emanazione. Senza scordare che pure il presidente turco Erdogan è vicino alla Fratellanza. Tra i Paesi che più spendono va annoverato anche il Kuwait, ufficialmente moderato e che si salvò dall’invasione di Saddam Hissein proprio grazie all’intervento armato dell’Occidente. L’Istituto per lo studio dell’antisemitismo e della politica globale (Isgap) ha messo in luce un collegamento diretto tra gli enormi finanziamenti provenienti dai Paesi del Golfo e la presenza nei campus di studenti radicali – non solo islamici – autori di intimidazioni verso gli ebrei, nonché del tutto favorevoli ai massacri compiuti da Hamas il 7 ottobre. Ora pare che il presidente Biden si sia svegliato dal suo torpore, dicendosi seriamente preoccupato per gli innumerevoli episodi di anti-semitismo registrati in pratica in tutti gli Stati dell’Unione. Ma potrebbe anche essere tardi. Che cosa accadrà in futuro, quando gli studenti che simpatizzano per Hamas diventeranno la nuova classe dirigente americana? È un dato di fatto che Israele, pur molto potente dal punto di vista militare, ha comunque bisogno del supporto degli Stati Uniti. Soprattutto in contesti, come l’Onu, dove si trova quasi sempre isolato. In altri termini, parlare di una progressiva islamizzazione dell’America significa, più che fare una battuta, prendere coscienza della realtà.
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