Trotula De Ruggiero ed Ernestina Paper: prime dottoresse in medicina
È stata una “lunga marcia” quella delle donne verso la professione medica; vi sono state pause lunghissime e accelerazioni improvvise, ed è ancora incompiuta. Merita di essere ripercorsa. La prima dottoressa in medicina in Italia, e molto probabilmente in Europa, può esser considerata Trotula De Ruggiero, proveniente dalla famosa Scuola Salernitana, nel 1050 circa; devono poi passare diversi secoli per vedere una donna laureata in medicina e chirurgia, Ernestina Paper, a Firenze nel 1877. Anche in seguito la professione medica è rimasta una prerogativa maschile e fino alla metà del secolo scorso erano solo circa duecento le laureate in medicina nel nostro Paese. Quando mi sono iscritto alla facoltà di medicina di Firenze nel 1950, delle 150 matricole quattro erano di sesso femminile. Nei decenni successivi si è verificato un vero e proprio boom in favore delle donne, nel 2022 gli iscritti all’Ordine dei Medici erano circa 400mila ed il 45 percento era rappresentato da donne. Sulla storia personale di Trotula de’ Ruggiero non sappiamo molto: nata a Salerno da famiglia nobile di origine longobarda, sposò il medico Giovanni Plaetario ed ebbe due figli: Giovanni il Giovane e Matteo, che seguirono la professione di famiglia.
Trotula si formò nell'ambito della Scuola Medica Salernitana la prima e più importante istituzione medica nel Medioevo, in cui già dal IX secolo dotti di origine greca, araba, ebraica e latina studiavano e disquisivano di medicina. La città di Salerno, col suo clima salubre e piacevole, era un ricco centro di traffici commerciali del Mediterraneo. La fama della Scuola, caratterizzata da un'impostazione laica, aveva attirato molti malati in cerca di cure, dando il via sin dalla seconda metà del IX secolo a vere e proprie migrazioni sanitarie. Lo spazio riservato alle donne è una ulteriore dimostrazione della vitalità culturale della città. Trotula non era l'unica donna a frequentare l'Accademia, ma fu l’unica delle mulieres salirnitanae a lasciare degli scritti. A lei ne sono attribuiti tre, che continuarono a circolare fino a tutto il XIV secolo, tanto da renderla la massima autorità in materia di medicina femminile: il De passionibus mulierum ante, in et post partum, chiamato anche Trotula major, il De ornatu mulierum, conosciuto come Trotula minor, e il De curis mulierum. Gli originali di questi testi sono scomparsi, ma ci sono pervenute circa 130 copie manoscritte e decine di edizioni successive a stampa. Il Trotula Maior rappresenta il primo esempio di medicina di genere ponendo soprattutto attenzione al corpo delle donne, trascurato da medici troppo superficiali che reputavano la gravidanza e il parto questioni “da donne”, e parimenti ignoravano le necessità fisiologiche delle proprie assistite. Nel primo capitolo, Trotula affermava che le donne non osano rivelare al medico, per la condizione di fragilità dovuta al pudore e alla vergogna, le preoccupazioni per le malattie che le colpiscono nelle parti più intime e scriveva: «La miserevole condizione delle donne, e la grazia in particolare di una che mi ha colpito il cuore, mi hanno indotta a trattare con chiarezza le malattie femminili al fine di poterle curare». Sapeva di essere una donna privilegiata e decide pertanto di mettersi a servizio delle donne meno fortunate». Nel Trotula Maior il suo modo di procedere era decisamente laico: sulle mestruazioni per esempio affermava «come gli alberi senza fiori non producono frutti, cosi le donne senza i propri fiori sono private della facoltà di concepire», una concezione molto diversa da quella della cultura cristiana espressa da Ildegarda di Binge, attiva nell’assistenza ai malati nel XII secolo, che ne parlava come di una colpa, legata al peccato originale di Eva. Allo stesso modo Trotula riconosceva senza falsi moralismi che il desiderio sessuale delle donne esiste e può e deve essere soddisfatto; sfidava una secolare cultura diffusa che l’infertilità sia causata solo dalla donna, ma può esserci anche un’infertilità maschile. Preferiva sempre l’approccio dolce: per esempio nelle lacerazioni dei genitali dopo il parto indicava metodi incruenti prima di eseguire pericolosi interventi chirurgici; interveniva sempre e comunque in favore delle donne anche in casi particolari quando suggeriva come nascondere la perduta verginità nella prima notte di nozze. Nel De ornatu mulierum, un vero e proprio trattato di cosmesi, insegnava alle donne come conservare ed aumentare la propria bellezza. Nel De curi mulierum vi è una miscellanea di consigli terapeutici per varie malattie soprattutto femminili. L’opera di questa magistra salernitana è stata analizzata nel libro Trotula. La prima donna medico d’Europa, del giornalista e scrittore Pietro Greco. La cultura medica della Scuola salernitana ha influenzato positivamente i secoli successivi, ma la pratica medica è rimasta con rare eccezioni una prerogativa maschile fino al secolo XIX quando nei Paesi industrializzati iniziò ad essere concesso alle donne l’iscrizione alla facoltà di medicina. In Italia la prima donna a laurearsi nel 1877 è stata Ernestine Puritz-Manassè, nata a Odessa nel 1846 da una famiglia agiata della borghesia commerciale ebraica di origine russa (i Puritz-Manassé). S’iscrisse alla facoltà di medicina all’università di Zurigo dove 10 anni prima, si era laureata Nadeschda Suslowa, la prima donna medico europea. Zurigo era stata la prima città ad aprire alle donne le sue università anche quelle tecniche mentre l’impero zarista, nei suoi vasti territori (tra cui l’Ucraina), praticava una rigorosa discriminazione nell'accesso agli studi universitari: numero chiuso per i maschi ebrei, divieto assoluto per le donne. Nel 1875 Ernestine si trasferì a Firenze per ottenere la specializzazione biennale medica presso il Regio Istituto di studi superiori pratici e di perfezionamento. Nel 1877, sostenne gli esami di ‘promozione e finali' la cui documentazione testimonia l'eccellente preparazione conseguita presso l’Arcispedale di Santa Maria Nuova. Una testimonianza tratta dal giornale «La donna», 6 maggio 1879, la definì «colta istruita, dignitosa prudente nella parola, piena di bontà… l'angelo della famiglia, moglie, madre amorosissima, trova il tempo per tutti i suoi doveri, professando la medicina come un vero sacerdozio, e non trascurando mai lo studio.» Intraprese la carriera professionale, con l'apertura di uno studio medico “per malattie delle donne e dei bambini” nella sua abitazione in via Venezia a Firenze; quella all’interno degli ospedali pubblici non era ancora accettata perchè si riteneva che l’emotività delle donne fosse troppo alta per reggere alla vista del sangue. Le dottoresse venivano considerate come benefattrici e la disposizione verso la cura dei pazienti una naturale predisposizione del carattere femminile. La scelta professionale ricadeva pertanto in alcuni ambiti della medicina, quali pediatria e ginecologia. La cura dei bambini appariva il proseguimento delle cure materne e le visite ginecologiche da parte di una donna potevano suscitare meno disagio. Queste scelte sono rimaste a lungo le più frequenti anche in epoca moderna. Ernestina divenne presidente della sezione d’igiene della Federazione femminile toscana (emanazione del Consiglio Nazionale delle donne italiane) e nel 1877, “socio ordinario” della Società di antropologia. Nel 1894 fece anche parte di un congresso medico internazionale. Si occupò di divulgazione medica, d'igiene e scientifica, nella quale coinvolse diversi docenti universitari. Nel 1911, mise a disposizione una scuola per bambinaie, aperta anche a ‘signore e signorine', che ebbe un buon successo. Propose al sindaco di Firenze un’assistenza medica gratuita alle madri povere del quartiere di S. Croce. Morì a Firenze il 14 febbraio 1926. La “lunga marcia femminile” per ottenere una parità professionale nell’ambito medico non è conclusa; i ruoli apicali sono ancora una prerogativa maschile. Una semplice indagine fatta personalmente nel 1989 evidenziava una piramide “gerarchica” dei cardiologi inscritti all’ ANMCO (Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri). In tre regioni d’Italia, nord, centro e sud gli assistenti erano 183 (32), gli aiuti 242 (20) e i primari 119 (3), i numeri delle donne sono in parentesi. Nel 2018 nella cardiologia interventistica, una specializzazione ritenuta tradizionalmente maschile per la complessità e i carichi di lavoro fisico e psicologico, le donne sono il 4.5% negli Stati Uniti e il 10% in Europa. |
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