Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il Dr Albert Schweitzer, lo “stregone bianco” (1875-1965)

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Nel settembre 1965 i giornali occidentali annunciarono con grandi titoli la morte in Africa del Dr Albert Schweitzer: «Schweitzer, uno dei più grandi figli della Terra si è spento il 4 settembre nella foresta.»

La morte era avvenuta a novanta anni a Lambaréné cittadina del Gabon, nell’Africa equatoriale, situata sul fiume Ogooué nella foresta pluviale dove Schweitzer aveva lavorato come medico per tutta la vita.

Non era stato né il primo né l'unico medico a inoltrarsi nella foresta vergine, ma il suo pensiero, il suo spirito, la sua personalità erano diventati un mito ed un riferimento per quelli che nel mondo condividevano i suoi ideali.

Albert Schweitzer era nato a Kaysersberg in Alsazia il 14 gennaio 1875.

Il padre era un pastore luterano a Gunsbach, un piccolo villaggio in cui crebbe il giovane Albert. Nella chiesa dove predicava il padre il culto era comune alla religione cattolica e protestante e Albert scrisse nel suo Aus meiner Kindheit und Jugendzeit (Dalla mia infanzia e adolescenza): «Da questa chiesa aperta ai due culti ho ricavato un alto insegnamento per la vita: la conciliazione [...] Le differenze tra le Chiese sono destinate a scomparire. Già da bambino mi sembrava bello che nel nostro paese cattolici e protestanti celebrassero le loro feste nello stesso tempio».

Aveva una notevole disposizione alla musica, in particolare per l’organo, pochi amici, ma mostrava una spiccata e generosa emotività, estesa anche agli animali, dimostrata dalla preghiera che, sin da bambino, rivolgeva a Dio, invocandone la protezione verso tutte le creature viventi.

Terminate le scuole medie e gli studi classici, conseguì la laurea in teologia a 24 anni. Nominato vicario presso la chiesa di San Nicola a Strasburgo, nei tre anni successivi ottenne la cattedra di teologia, divenne preside della facoltà e direttore del seminario teologico, pubblicò varie opere sulla musica e sulla teologia ed eseguì concerti di organo. 

A trent’anni, venuto a conoscenza della drammatica situazione sanitaria della popolazione del Gabon, e in particolare della mancanza di personale specializzato della missione evangelica di Lambaréné s’inscrisse a medicina. Laureato e specializzato in malattie tropicali, nell’aprile del 1913, a trentanove anni, parti per l’Africa.

Spiegò cosi la sua decisione: «Qui molti mi possono sostituire anche meglio, laggiù gli uomini mancano. Non posso più aprire i giornali missionari senza essere preso da rimorsi. Questa sera ho pensato ancora a lungo, mi sono esaminato sino al profondo del cuore e affermo che la mia decisione è irrevocabile»

 

Albert era accompagnato dalla moglie Helene, diplomata infermiera, per realizzare il sogno comune con il marito. L’ambulatorio fu ricavato da un vecchio pollaio, con una rudimentale, ma efficace camera operatoria e nominato Ospedale Schweitzer. Ciò che spinse Schweitzer a fondarlo a Lambaréné, fu il nome della località: che nella lingua locale significava vogliamo provare.

Albert e Helene si trovarono di fronte a difficoltà di ogni genere, la natura ostile, la diffidenza degli indigeni, la carenza di alimenti e medicinali, malattie di ogni genere, compresi i lebbrosi.

Lentamente il “grande medico bianco” conquistò la fiducia non solo della gente di Lambaréné; i malati arrivavano dal profondo della foresta, da villaggi lontani anche centinaia di chilometri.

Schweitzer (e la comunità di medici volontari che piano piano crebbe intorno a lui) divenne un benefattore, una figura di riferimento; le notizie di quello che stava facendo nel cuore dell’Africa smossero l'opinione pubblica mondiale.

Colpiva anche la sua attività di scrittore e musicista: aveva portato con sé un pianoforte e alla sera, alla luce di una lampada a petrolio, nelle pause del lavoro e nel silenzio delle notti africane, suonava e scriveva.

Nel 1914 Francia e Germania erano in guerra e Albert e sua moglie, a causa della loro nazionalità, furono internati in un campo di lavoro in Francia.

Nei cinque anni dopo la fine del conflitto, Schweitzer riprese sia il lavoro come assistente medico presso l'ospedale di Strasburgo, che le funzioni di pastore.

Eseguiva concerti dì organo per raccogliere fondi per il suo ospedale e nel 1921 pubblicò un libro di ricordi africani, All'ombra della foresta vergine, il cui contenuto si può ancora considerare indicativo per le azioni che s’intraprendono per i Paesi in via di sviluppo.

Il richiamo dell’Africa era troppo forte e nel 1924, a cinquant’anni, ritornò a Lambaréné e si dedico alla ricostruzione dell’ospedale.

Venne inaugurato tre anni dopo e Schweitzer raccontò la commozione della prima sera: «Per la prima volta da quando sono in Africa, gli ammalati sono alloggiati come si conviene per degli uomini. È per questo che levo il mio sguardo riconoscente a Dio, che mi ha permesso di provare questa gioia». Tornava frequentemente in Europa, insegnando, eseguendo concerti, facendo conferenze e scrivendo libri per raccogliere fondi per l’ospedale.

Spesso veniva insignito di lauree honoris causa e di molteplici riconoscimenti, tanto che la rivista Time lo considerò «il più grande uomo del mondo». Ma lui rimaneva umile e timido e una volta confessò a un corrispondente: «[...] Soffro di essere famoso e cerco di evitare tutto ciò che attira su di me l'attenzione.».

Nel 1952, a 77 anni, fu insignito del premio Nobel per la pace e con il ricavato fece costruire il villaggio dei lebbrosi il Village de la lumière (villaggio della luce).

Legato da profonda amicizia con Albert Einstein e Otto Hahn si unì a loro nella denuncia del pericolo degli esperimenti atomici con «tre richiami» trasmessi da Radio Oslo e ripresi da stazioni di tutto il mondo nell’aprile del 1958.

Volle morire nel suo amato villaggio di Vasto a Lambaréné, vicino alla gente a cui aveva dedicato tutto se stesso.

Migliaia di canoe attraversarono il fiume Ogooué per portare l'ultimo saluto al loro benefattore, che fu seppellito presso l'ansa del fiume insieme alla moglie deceduta poco prima.

Dagli indigeni con cui visse fu denominato «Oganga», lo «Stregone Bianco».

A lui successe Walter Munz, un medico svizzero di ventinove anni che nel 1962, si recò a Lambaréné e assunse la direzione dell’ospedale dopo la morte di Schweitzer.

Munz ha scritto diversi libri di ricordi africani, tra cui Albert Schweitzer nel ricordo degli africani, in cui ha testimoniato le esperienze straordinarie vissute in Gabon.

Oggi l’ospedale ha dipartimenti di medicina interna, chirurgia e pediatria, una clinica della maternità e odontoiatrica e dal 1981 una Unità di Ricerca medica dedicata a ricerche sulla malaria.

 

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