Berkeley e la “cancel culture”
Nuovo capitolo della caccia alle streghe condotta, soprattutto negli Stati Uniti e in Inghilterra, dalla cosiddetta “cancel culture”, impegnata a riscrivere la storia demonizzando personaggi celebri del passato. Colpevoli di non essere in linea con i criteri del pensiero che oggi si definisce “corretto politicamente”. Questa volta, a cadere sotto la scure dei censori, è addirittura George Berkeley che, con John Locke e David Hume, è il capofila dell’empirismo britannico. Berkeley, dal punto di vita puramente filosofico, è oggi considerato un precursore delle tesi di Ernst Mach, Albert Einstein e Niels Bohr, poiché insisteva sull’inesistenza della materia e sull’impossibilità di un tempo e di uno spazio assoluti. Un pensatore, dunque, molto moderno. Anche se gli studenti liceali di solito lo ricordano con un certo timore. I suoi testi sono infatti di difficile comprensione perché in contrasto netto con molte tesi del senso comune, vale a dire con la visione del mondo che gli esseri umani adottano, quasi sempre in modo inconsapevole.
Quali sarebbero, quindi, le “colpe” del grande filosofo irlandese? Come sempre accade, ai fautori della “cancel culture” le tesi filosofiche interessano poco o niente. Il loro unico intento è riscrivere “a posteriori” l’intera storia umana, cancellando da suo corso tutti gli elementi – e sono moltissimi – che contraddicono le norme della correttezza politica invocate in epoca contemporanea dai fautori della “cancel culture”. E le “colpe”, a ben guardare, sono sempre le stesse. Gli esponenti della cultura della cancellazione puntano a “decolonizzare” i curricula scolastici e, in primo luogo, quelli universitari. Berkeley, come molti altri intellettuali della sua epoca, possedeva schiavi nello Stato americano del Rhode Island, e scrisse anche alcuni opuscoli in favore della schiavitù. Un fatto che, nel suo tempo, era piuttosto comune. Condannabile, certo, ma pure contestualizzabile e storicizzabile. Dopo tutto, la storia è unidirezionale, e non possiamo percorrerla a ritroso “purgandola” di tutti gli elementi che suonano sgradevoli alla mentalità dei nostri giorni. Eppure la “cancel culture” proprio questo intende fare. A Berkeley è intitolata la biblioteca del Trinity College di Dublino, dove egli lavorò come bibliotecario per parecchi anni. Ora gli amministratori del Trinity College, che è la più antica istituzione universitaria irlandese, hanno deciso di cambiare il nome della biblioteca, affermando che il nome di Berkeley suscita orrore e risentimento negli studenti di origine africana. E non è finita qui. Anche la più antica università della California, la “University of California, Berkeley”, è intitolata al filosofo irlandese. Pure in questo caso le autorità accademiche stanno pensando di cambiare il nome dell’ateneo per gli stessi motivi di cui sopra. E ragionando negli stessi termini del rettore del “Trinity College” di Dublino. “Sulla grandezza dei contributi filosofici di George Berkeley non sussistono dubbi ma, poiché era un proprietario di schiavi, il so nome è in aperto conflitto con i nostri valori fondamentali. Si prevedono conseguenze a cascata. La celebre “Columbia University” di New York fa un chiaro riferimento a Cristoforo Colombo, lui pure proprietario di schiavi nonché colonizzatore. Di qui la proposta di cambiare anche il nome della “Columbia”. E, già che ci siamo, qualcuno ha notato che anche Aristotele era a favore della schiavitù. Meglio quindi eliminarlo dai curricula a scanso di equivoci. Poco importa che nell’antichità greca questa fosse una posizione comune. Né importa che Berkeley sia vissuto a cavallo tra ’600 e ’700, altra epoca in cui era pressoché normale pensarla così. Importante è “purificare” la storia trasferendo nel passato criteri di giudizio dei nostri giorni. Non vi sono tracce, purtroppo, di un’imminente fine di questa follia.
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