L’Egitto e il potere assoluto di al-Sisi
Giunto al potere nell’ormai lontano 2014, il 68enne generale Abdel Fattah al-Sisi è più che mai il padrone assoluto dell’Egitto. Le contestazioni ci sono, ma vengono duramente represse dalle forze armate. Anch’esse dominate - in apparenza senza opposizione alcuna - da colui che capeggiò il golpe contro i Fratelli Musulmani, e che si concluse con la defenestrazione del loro leader, Mohammed Morsi. Eppure la situazione politica nella maggiore nazione della Lega Araba è tutt’altro che tranquilla. Colpa soprattutto di un’economia in crisi perenne, ulteriormente aggravatasi sotto il regime di al-Sisi. Il generale aveva promesso riforme strutturali in grado di far intraprendere all’Egitto una strada nuova. In realtà le riforme non ci sono state e il regime si è distinto per l’alto numero di progetti faraonici, pochissimi dei quali sono stati effettivamente realizzati. L’inflazione ha raggiunto livelli altissimi e la povertà, ormai, tocca non solo gli strati più umili della popolazione, ma anche la stessa classe media che, nel 2014, aveva salutato con favore l’avvento di al-Sisi e la sconfitta dei Fratelli Musulmani.
L’Egitto ha un grande problema, comune del resto a molti regimi nati da golpe armati (un esempio classico è il Myanmar, la ex Birmania britannica). Anche al Cairo, infatti, i militari controllano in modo ferreo tutte le leve dell’economia, lasciando ben poco spazio alle iniziative di imprenditori che non fanno parte del loro blocco di potere. Controllano tutte le principali aziende, inclusa l’attività estrattiva del petrolio che, pur non raggiungendo i livelli di altri Paesi del Medio Oriente, assicura comunque notevoli introiti. La sterlina egiziana, tuttavia, negli ultimi anni si è deprezzata del 50% rispetto al dollaro Usa, e molte famiglie prima prospere hanno difficoltà persino ad acquistare i beni di prima necessità. L’Egitto ha sempre potuto contare sul sostegno finanziario dell’Arabia Saudita, ma ora l’uomo forte di Riad, il principe ereditario Mohammad bin Salman, ha deciso di chiudere i rubinetti. Non hanno avuto successo nemmeno le richieste di supporto agli Emirati Arabi Uniti. Stranamente, l’unico a concedere aiuti è Al Thani l’emiro del Qatar, Paese notoriamente favorevole alla Fratellanza Musulmana. A fronte di questa situazione al-Sisi sta manovrando per staccarsi parzialmente dal tradizionale alleato Usa. Ha fatto scalpore la sua decisione, per ora bloccata da Washington, di inviare munizioni alla Russia impegnata nel conflitto ucraino. Ma si deve pure notare una certa convergenza con Putin anche in Libia, dove egiziani e russi appoggiano congiuntamente il generale di Bengasi Khalifa Haftar, L’Egitto, insomma, si inserisce nel processo che vede una diminuzione significativa dell’influenza americana in Medio Oriente, per la quale finora Biden non ha trovato rimedi. E pure i cinesi fanno la loro parte, concedendo prestiti e finanziando infrastrutture. Lo scenario sta dunque cambiando anche in questa parte del mondo. Le conseguenze toccano pure l’Italia. I migranti egiziani sbarcati sulle nostre coste sono infatti aumentati in misura notevole. Nel 2022 più di 20000 erano egiziani su un totale di 105000. Il gruppo più numeroso tra quelli censiti dalle autorità italiane. |
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