I danni della pseudostoria
La pseudostoria è una delle pseudoscienze ed è verosimilmente la più diffusa fra queste, perché concerne direttamente componenti politiche, ossia è strumentale a rivendicazioni e progetti di tale natura. Interi movimenti politici difatti sono stati fondati e sono attivi sulla base di pseudostorie. Nonostante le differenze di contenuti, di protagonisti, di temi e periodi storici, la pseudostoria ha alcuni fattori comuni, riassunti da Garrett G. Fagan nel suo saggio Archaeological Fantasies (Routledge, New York 2006), che riguarda in modo specifico la pseudoarcheologia. Riprendendo quanto scritto da Fagan e rielaborandolo, si possono individuare alcune componenti abituali nella pseudostoria.1 1) È immancabilmente opera di semplici dilettanti, invariabilmente privi sia d’una preparazione culturale specifica, sia d’esperienza di ricerca storica. Spesso costoro sono privi persino di una formazione universitaria di qualsivoglia genere e nella loro esistenza hanno svolto professioni lontanissime da quella di storico. In Italia, fra celebri autori di pseudostoria si ritrovano uno sceneggiatore televisivo, un tabaccaio, un cantante, giornalisti esperti di cronaca nera o di calcio… 2) Rifiuta ogni forma di confronto con la storiografia, che viene escluso accusando a priori e senza prove tutti gli storici d’essere falsari e mentitori consapevoli, perché intenzionati a nascondere una verità che loro stessi conoscerebbero ma che vorrebbero nascondere. Insomma, postula un gigantesco complotto degli storici, nonostante la sua inverosimiglianza, considerando che tale categoria professionale è diversificata per nazionalità, idee politiche, metodologie, istituti di ricerca etc. etc. etc. Ad esempio, in Italia il sedicente revisionismo del Risorgimento immagina fantasiosamente che esista una “storia ufficiale” i cui membri sarebbero parte, tutti, di una medesima congiura contro la verità.
Tale complotto comprenderebbe quindi storici monarchici e repubblicani, fascisti, liberali, democratici, socialisti, comunisti, del Nord e del Sud, cattolici e laici, durante il regno d’Italia e durante la repubblica d’Italia, insomma proprio tutti nonostante le profondissime differenze biografiche, ideologiche ed anche metodologiche. Una variante del complotto della “storia ufficiale” è quella secondo cui "la storia la scrivono i vincitori". Si potrebbe scrivere un'intera monografia per spiegare quanto tale affermazione sia falsa, ma bastino pochi esempi. Scendiamo all’Antichità ed ai capolavori indiscussi dei suoi storici, modelli esemplari per tutti i loro eredi. Chi ha scritto della guerra del Peloponneso fra Atene e Sparta, rendendola immortale? Tucidide, che era fra gli sconfitti ed aveva partecipato di persona alla guerra. Chi ha scritto meglio di tutti sulla II guerra punica e sulla salita di Roma a massima potenza del Mediterraneo? Polibio di Megalopoli, che finì a Roma come ostaggio dopo che la Grecia cadde sotto controllo romano. Chi ha scritto l’opera che è alla base della conoscenza della guerra giudaica fra Roma e l’insurrezione ebraica? Giuseppe Flavio, che fu il comandante dei ribelli. Chi ha descritto il fallimento del progetto di restaurazione pagana dell’imperatore Giuliano e la gravissima disfatta militare di Adrianopoli, in cui la miglior armata romana dell’epoca fu distrutta? Ammiano Marcellino, ufficiale romano di convinzioni pagane. Secondo il revisionismo del Risorgimento, la storia di tale periodo sarebbe stata “scritta dai vincitori”, dunque non rappresenterebbe la “vera storia del Sud”. Tuttavia, è sufficiente scorrere le bibliografie della saggistica universitaria sul Risorgimento per ritrovare un numero alto, se non maggioritario di storici risorgimentali che sono del Meridione. Anzi, coloro che sono ritenuti essere i maggiori studiosi del Risorgimento furono meridionali: Benedetto Croce, abruzzese e napoletano d'adozione, che fece in tempo a conoscere e frequentare vecchi borbonici; Gioacchino Volpe, abruzzese, che con L’Italia in cammino pose una pietra miliare nell’interpretazione del Risorgimento; Rosario Romeo, abitualmente ritenuto il più grande di tutti, autore di un capolavoro indiscusso come i tre ponderosi volumi di Cavour e il suo tempo, gigantesco ed accuratissimo affresco di un’intera epoca imperniata sul grande statista, era siciliano e, politicamente, un ferreo repubblicano; Alfonso Scirocco e Giuseppe Galasso, napoletanissimi. Nel periodo repubblicano, si può anzi dire che erano numerosissimi i libri di testo marxisti, insospettabili di simpatie ideologiche per la monarchia sabauda ed il liberalismo risorgimentale. Per portare un esempio concreto, per interi decenni le cattedre di storia contemporanea delle università italiane hanno visto una prevalenza di docenti di provenienza marxista, tutt’altro che disposti a simpatizzare per la monarchia dei Savoia ed il liberalismo e liberismo di Cavour e dei suoi eredi. Si noti ancora che la storiografia accademica sul Risorgimento italiano è solo in parte stata scritta da studiosi italiani, ed in buona misura da stranieri. Ad esempio, alcuni fra i maggiori biografi di Garibaldi sono stranieri. Si trovano fra di essi inglesi, tedeschi, russi, americani, uruguagi, brasiliani, persino un giapponese. A Tōkyō esiste infatti una sezione locale dell'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano, retto dal prof. Fusatoshi Fujisawa dell'Universita Keizai, autore di molti saggi sulla figura del Nizzardo Lo stesso si può dire per la “questione meridionale", i cui principali storici sono di norma italiani del Sud, ma anche con il concorso di molti stranieri. Insomma, la storia studiata a scuola e nelle università non è stata scritta dai "vincitori" (anche perché nel secondo dopoguerra buona parte di essa è di provenienza marxista!), ma da una molteplicità di studiosi, correnti, scuole, prospettive ecc. La differenza fra essa ed il cosiddetto "revisionismo" consiste nel metodo, ovvero nel valore "scientifico" delle risultanze. Ad esempio, Garibaldi è stato studiato sotto diversi aspetti e si è giunti spesso ad interpretazioni discordanti della sua esistenza: questo però è radicalmente diverso dall'inventarsi fatti mai avvenuti (come fanno alcuni revisionisti) o nel ricostruire i fatti combinandoli a priori in modo da sostenere tesi preconcette. 3) La pseudostoria è costruita su ipotesi, che non sono prove. È caratteristico in essa l’interpretazione del conosciuto sulla base dello sconosciuto, ossia l’interpretazione forzata dei dati storici certi sulla base di ricostruzioni astratte ed a priori. Anziché partire dal conosciuto per raccordare gli elementi noti fra di loro ed elaborare una teoria, la pseudostoria postula a priori un’ipotesi astratta e fantasiosa, poi cerca forzatamente d’interpretare i fatti storici accertati sulla sua base. È caratteristico di questo grave errore di metodo la forzatura delle fonti, che sono omesse o rifiutate se in contrasto con l’ipotesi. Lo pseudostorico in modo sistematico o semplicemente le trascura, oppure sostiene che sono false, o che l’autore mente, o che si sbaglia. Inoltre lo pseudo storico tende ad erigere castelli in aria: formula un’ipotesi indimostrata, su cui puntella un’altra ipotesi indimostrata e così via. 4) La pseudostoria impiega l’espediente dell’inversione dell’onere della prova, per cui si domanda al critico di provare la falsità di quanto affermato, mentre invece principio fondamentale d’ogni scienza è che un’affermazione senza prove è priva di valore. Lo pseudostorico infila nel testo una sequela di asserzioni prive di ogni prova, senza fonti, pretendendole vere senza dimostrazione, ma invitando chi le contesti a dimostrarle false. 5) I suoi testi sono carichi di retorica e di appelli all’emotività. La pseudostoria cerca costantemente di suggestionare il lettore, anziché di provare quanto afferma. In altri termini, non potendo dimostrare razionalmente le sue asserzioni, si sforza di persuadere plagiando con l’irrazionalità. È tipico il caso di coloro che aizzano all’odio contro una categoria etnica, religiosa, sociale, che funge il ruolo di capro espiatorio per i problemi del gruppo di lettori a cui si rivolge lo pseudostorico. Il meccanismo, comunissimo ed elementare, risiede nel rivolgersi al gruppo A additando al gruppo B d’essere la causa dei mali del primo. Le mitologie pseudostoriche del genere della Lost Cause, come il mito asburgico, sono un’altra variante dell’uso ed abuso di un romanticismo mistificatorio. Un popolo, una società, uno stato, un gruppo politico ha subito una sconfitta politica e militare che ha segnato traumaticamente una cesura fra il prima ed il dopo. Gli sconfitti per dare un senso alla loro esperienza e cercare di sopravvivere quale comunità producono una cultura che si proclama continuazione di quella trascorsa anteriormente alla disfatta, ma che in realtà è l’esito proprio della frattura epocale. La nuova identità collettiva si costruisce non soltanto dopo ma attorno alla sconfitta. Una miscela variopinta di emozioni, aspirazioni fallite, nostalgia, collera verso i nemici, desideri di rivalsa, glorificazione dei propri protagonisti etc. sfocia in una idealizzazione del passato, trasfigurato romanticamente e rivisitato con l’omissione di tutte le componenti estranee al mito di un’età dell’oro. Ad esempio, dopo la sua scomparsa è sorto il mito dell’Old South anteriore alla guerra civile. Negli Usa si parla per questo della letteratura della Lost cause (la Causa perduta), il cui esempio più popolare è il romanzo Via col vento, da cui è stato tratta la pellicola omonima. Ma anche qui esiste un divario netto fra l’immagine mitizzata e quella reale.2 6) Affine al punto precedente è il ricorso ai giudizi soggettivi, che non sono neppure ipotesi indimostrate, ma appunto puri e semplici asserzioni soggettive. Lo pseudostorico riportandole si limita in ultima analisi ad esprimere suoi personali sentimenti. È come se scrivesse “questo mi piace” oppure “questo non mi piace”, soltanto in maniera più elaborata. Caratteristicamente, nella pseudostoria la figura dell’autore, che nella storiografia di norma scompare nel testo, campeggia invece in primo piano, in misura tale che talora acquista un ruolo preponderante. La sua biografia, le sue esperienze personali per necessità estremamente limitate (è così per ognuno), i suoi soggettivi sentimenti divengono la misura di tutte le cose. 7) La pseudostoria, per tutte queste cause, sconfina nella letteratura in senso proprio, con una miscela di vero, verosimile ed inverosimile, la mescolanza di realtà e finzione che appartiene ai romanzi storici. Difatti, proprio i romanzi storici sono talora adoperati come fonti dagli pseudostorici e, cosa ancor più importante, alcuni celebri (o famigerati) testi di pseudostoria sono veri e propri romanzi. Restando in Italia, il capostipite del revisionismo del Risorgimento fu uno sceneggiatore televisivo, Carlo Alianello, con suoi quattro romanzi (L’Alfiere, Soldati del re, L’eredità della priora, La conquista del Sud), che sono alla base di tutta la posteriore corrente, in modo diretto od indiretto. Molte sue creazioni puramente letterarie sono state prese per autentiche dai suoi epigoni e spacciate quali storiche, con comica credulità. Infatti il successivo “revisionismo” ha scopiazzato largamente dal romanziere Alianello, da cui riprende gran parte delle proprie ipotesi fantasiose: il fantomatico complotto massonico contro il reame borbonico; l’altrettanto chimerico tradimento dei generali e degli ammiragli; il brigantaggio come sollevazione popolare contro i “piemontesi”; la presunta infelice sorte degli ex militari delle Due Sicilie; la decadenza economica del Mezzogiorno quale conseguenza dell’Unità ecc. Può dare un’idea dell’attendibilità e dello stile di questo novelliere basti accennare alla conclusione de La conquista del Sud, il capitolo Al chiaro di luna. L’autore si troverebbe di notte a Messina presso i ruderi della ex cittadella borbonica ed a questo punto avrebbe una visione, in cui gli apparirebbe il fuciliere Nicola Marturano del 1° reggimento Re. Costui è un fantasma che vaga a Messina, in uniforme e fucile, ma che non sa di essere morto. Quando infine gli viene rivelato da Alianello che è morto, appare in una visione l’intera guarnigione. Durante il colloquio fra Alianello e lo spettro, il romanziere racconta al fantasma che il generale Gennaro Fergola, ultimo comandante borbonico della cittadella, sarebbe stato insultato e fucilato da Cialdini dopo la resa. Visione spiritica a parte, Enrico Cialdini al momento della resa non insultò Fergola, ma anzi si complimentò con lui per la difesa prestata, tanto da concedergli ciò che si definisce resa con l’onore delle armi. Era usanza secolare nelle guerre europee che al momento della capitolazione di un esercito il suo comandante consegnasse la propria spada a quello nemico, che poteva accettarla oppure restituirla per onorare il vinto. È per questo che al generale borbonico fu permesso, in segno di stima e rispetto, di conservare la propria arma personale. Fergola inoltre non fu ucciso da Cialdini, poiché dopo un brevissimo periodo di prigionia fu congedato, con l’autorizzazione a conservare il proprio grado di generale ed una pensione corrisposta dallo stato italiano. Gennaro Fergola morì 10 (dieci) anni dopo la resa della piazzaforte di Messina, nel 1870. Vi sarebbe molto altro da aggiungere sulla pseudostoria, tuttavia i tratti sopra riportati possono ritenersi suoi tipici e si ritrovano regolarmente nei suoi esponenti. La pseudostoria ha sostanziale disinteresse per la storia in quanto tale, poiché essa diviene unicamente lo strumento per perseguire progetti politici oppure interessi personali, o magari entrambi, dei suoi fautori.
Note 1. Si è avuto un dibattito sulla epistemologia delle pseudoscienze, inclusa la pseudostoria: D. Allchin, ‘Pseudohistory and Pseudoscience’, in Science & Education 13, 2004, pp. 179–195. David R. Hershey, Pseudohistory and Pseudoscience: Corrections to Allchin’s Historical, Conceptual and Educational Claims in Science & Education, 15, 2006, pp. 121-125. 2. K.B. Grant, G. Grant, Lost Causes: The Romantic Attraction of Defeated Yet Unvanquished Men and Movements, Nashville 1999, p. 13. Alan Nolan, The anatomy of the myth in Gary Gallagher-Alan Nolan (a cura di), The Myth of the Lost Cause and Civil War History, Bloomington (Indiana USA) 2010; Eduardo González Calleja-Carmine Pinto, Cause perdute. Memorie, rappresentazioni e miti dei vinti, in «Meridiana», n. 88, 2017, pp. 9–17.
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