Visita a Vladimir, cuore della vecchia Russia
Paese strano e attraente al contempo la Russia. E parlo di quella che c’era prima dell’invasione dell’Ucraina. Arrivo a Vladimir per firmare un accordo di cooperazione tra l’Ateneo locale e il mio scoprendo che, un paio di giorni prima, il loro rettore è stato destituito dal Governo federale. «Fired?», chiedo ai colleghi in inglese con una certa meraviglia (non parlo russo). «Fired, certo», mi viene risposto, e la cosa non sembra destare eccessive apprensioni: mi pare di capire che ci siano abituati. Sono dunque nel cuore della Russia “vera”, quella slava e ortodossa, con chiese dalle cupole verdi, azzurre e dorate, con le icone che spuntano ovunque. Vladimir è stata capitale prima di Mosca – dal 1169 al 1238 – quando cedette all’assalto dei Mongoli dell’Orda d’Oro. Ma è anche la città che conserva a ogni angolo i ricordi di Alexander Nevsky, il principe che sconfisse i Cavalieri Teutonici nella battaglia del Lago Peipus, e di Andrej Rublev, massimo eponente dell’arte russa nel Medio Evo. Nella piazza principale la statua del monaco Rublev intento a dipingere un’icona fronteggia quella di Lenin, che non è stata distrutta. Pare quasi che Rublev stia tracciando il ritratto del capo bolscevico che arringa la folla. Poco avanti la sede della polizia reca ancora sulla facciata lo stemma del KGB, una spada sormontata da falce e martello.
Riusciremo mai a capire la Russia? Da un lato della strada trovi un McDonald’s enorme, ovviamente pieno di giovani, con la scritta “McDonald’s” in caratteri cirillici. Dall’altro un grande monastero che fu distrutto dai bolscevichi poco dopo la Rivoluzione d’Ottobre e poi ricostruito nella sua forma originale. Ora fa di nuovo parte delle proprietà della Chiesa ortodossa, che sta riacquistando senza rumore la ricchezza perduta. Entri in bar e ristoranti scoprendo con meraviglia che la musica prevalente è italiana. Ma non quella di adesso: là il tempo sembra essersi fermato. Celentano fa la parte del leone. Ho ascoltato - con un certo piacere, lo ammetto – “Soli” almeno una decina di volte. E poi Toto Cutugno con il solito “L’italiano”, Umberto Tozzi con “Tu” e altri di cui perdo il conto. Mi spiegano divertiti il perché notando che ho l’aria strana. Nell’URSS questa era la sola musica legalmente permessa, a parte quella locale e la musica classica, da sempre amata dai russi. Eppure l’Unione Sovietica finì più o meno 25 anni fa. Sarà vero? La ritrovi nei palazzi in stile staliniano delle periferie, nello sguardo dei poliziotti che timbrano innumerevoli volte il tuo foglio d’uscita all’aeroporto, nell’indolenza gentile e un po’ distratta del personale all’albergo. Personale sovrabbondante, peraltro. A ogni piano stazionano giorno e notte in un gabbiotto almeno due donne – a volte tre – che non si capisce bene cosa facciano, poiché le addette alle pulizie sono altre ancora. Nei banchetti trovi facilmente le matrioske con Putin che contiene Medvedev, le icone accanto agli accendini decorati con falce e martello. E le strade sono davvero infami, anche quella trafficatissima che va da Mosca a Vladimir. Le buche sono la norma e i conducenti quando possono le evitano, in caso conrario rischiano le sospensioni senza visibili segni di preoccupazione. Difficile, all’Università, parlare di politica. Ho tuttavia la sensazione che Putin conservi una forte popolarità. Mi fanno notare che, dal punto di vista russo, la stabilità e l’ordine hanno la prevalenza su ogni altra cosa, e gli viene dai più riconosciuto il merito di aver tirato il Paese fuori dal caos. Non dico che siano felici, ma si percepisce un certo senso di lontananza dalle manifestazioni di protesta che spesso si vedono nei telegiornali italiani. Gli Atenei stanno cercando di adeguarsi alle linee direttive del Processo di Bologna (e se ne pentiranno, dico in italiano sottovoce). Dunque anche le Università russe avranno tra poco il sistema 3 + 2 europeo, forse non rendendosi conto dei danni che arreca alla formazione superiore. Rimane costante, nonostante l’attuale crisi, l’ammirazione per l’Italia, per i suoi prodotti, le sue città, i suoi cantanti (anche se datati). Non credo sia solo – come alcuni insinuano - l’effetto della vecchia amicizia tra Putin e Berlusconi. È qualcosa di più profondo. Tutti i miei interlocutori – proprio tutti – insistono sulla somiglianza caratteriale di russi e italiani. A me non pare così evidente, ma loro ne sono convinti. E pensare che potrebbero facilmente metterci in ginocchio tagliando le forniture di gas (cosa poi avvenuta realmente). Quando parto e ripenso a ciò che ho visto e sentito mi rendo conto di non aver capito granché. Questa nazione che ha le dimensioni di un continente resta misteriosa come prima, anche se sono alla terza visita.
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