Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il “lager” di Fenestrelle uno dei tanti falsi storici

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Il giornalista Gigi Di Fiore, che ha iniziato a scrivere sul Risorgimento dopo aver dato alle stampe un romanzo sui fatti di Pontelandolfo nel 1861, è uno dei maggiori sostenitori dell’inverosimile ed indimostrata ipotesi che nel regno d’Italia i militari ex borbonici vennero spediti in sorta di “lager” ante litteram.

L’ipotesi è inverosimile ed improbabile a priori, perché lo Stato italiano era costituzionale, liberale e nazionale, cosicché perseguitare militari italiani per la loro origine regionale sarebbe stato contrario sia ai suoi principi giuridici, sia ai suoi ideali ispiratori.

È indimostrata, perché prove di quanto afferma non sono mai state prodotte a distanza di tanti anni e dopo tanto vociferare mediatico.

Il saggio del professor Alessandro Barbero, I prigionieri dei Savoia, molto esaustivo sull’argomento, non ha mai ricevuto una valida confutazione, nonostante i ripetuti tentativi di contestazione da parte di improvvisati revisionisti storici.

Sarebbe superfluo pertanto qui riprendere qui la critica che lo storico accademico ha rivolto alle righe spese da Gigi Di Fiore su Fenestrelle e san Maurizio Canavese, sedi di stazioni militari diventate nell’immaginario dei nostalgici delle Due Sicilie “campi di concentramento”.

 

Può essere invece interessante soffermarsi sull’insostenibilità delle affermazioni del giornalista napoletano non soltanto sul piano dell’assenza delle fonti a sostegno, ma della vera e propria impossibilità materiale, fisica e chimica.

Il Di Fiore ne I vinti del Risorgimento a proposito dei militari borbonici a Fenestrelle ha scritto: «A centinaia però non riuscirono a tornare dai campi del nord, dove trovarono la morte.

A Fenestrelle, la calce viva distruggeva i cadaveri di chi non ce l'aveva fatta a superare il rigore del freddo e a sopportare la fame. I più deboli, abituati al clima delle Due Sicilie, per la prima volta nella loro vita così lontani dalle loro terre di origine, crollavano. L'ospedale della fortezza era sempre affollato».

Simili asserzioni sono prive della necessaria conferma delle fonti.

Barbero nel suo libro ha demolito la succitata asserzione, ribadendo che: «Com'è ovvio, non un documento, non una fonte sostengono queste affermazioni.»

Il giornalista Di Fiore è ritornato a parlare di Fenestrelle, dopo la pubblicazione dei libri di Bossuto e Barbero, nel suo La nazione napoletana. Controstorie borboniche e identità suddista (scritto proprio con due “d”), ma la vasca di calce in cui, secondo quanto aveva precedentemente affermato, venivano sciolti i corpi dei soldati delle Due Sicilie, in questa sede non è stata neppure menzionata.

Eppure, ne aveva scritto in modo deciso in due libri, usciti nel 2004 (I Vinti del Risorgimento) e nel 2007 (Controstoria dell’Unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento).

Invece nel 2015, dopo la pubblicazione del saggio del professor Barbero, la vasca di calce sparisce! La ragione è palese.

Nel 2012 era uscito il saggio del professor Barbero, che aveva smentito quella costruzione del tutto arbitraria.

Evidentemente Di Fiore non avendo delle prove documentarie a sostegno di quanto aveva riportato ha preferito semplicemente omettere l’esistenza della famigerata vasca senza dare alcuna giustificazione per il grossolano errore storico che rendeva il carcere di Fenestrelle un vero e proprio lager di sodati meridionali.

Ciononostante i suoi libri, oltretutto editi da una casa editrice con ampia distribuzione, continuano ad essere in commercio e a diffondere un falso storico.

L’idea che i cadaveri di ex militari borbonici siano stati fatti sparire sciogliendogli nella calce resta pertanto insostenibile, giacché è inesistente alcuna fonte che citi una simile operazione.

Già solo questo è sufficiente per respingere l’ipotesi di Gigi Di Fiore, perché ogni affermazione in storiografia (come in ogni altra disciplina scientifica) deve essere provata, altrimenti non può essere ritenuta vera.

Inoltre, vi sono ulteriori argomenti che contrastano l’immagine fantasiosa di militari ex borbonici giustiziati e disciolti nella calce. Lo storico Juri Bossuto, cresciuto a Fenestrelle, membro attivissimo dell’associazione che ha recuperato il forte dopo un lungo abbandono, è stato anche autore della prima (minuziosa e documentata accuratamente su fonti archivistiche), monografia sul gigantesco complesso piemontese, dando alle stampe il libro Le catene dei Savoia.

L’autore ha spiegato che la vasca era stata installata unicamente per essere impiegata in caso d’assedio e per ragioni igieniche, secondo una prassi consueta nelle fortezze europee del secolo XVIII.

Essa rimase comunque inutilizzata per tutta la storia di questo enorme apparato difensivo, che non fu mai assediato. I decessi avvenuti in questa fortezza nella sua lunga attività di forte, caserma, carcere, sono da ricondurre a circostanze diverse e i corpi dei defunti furono seppelliti nel cimitero, dopo la debita registrazione nei registri anagrafici.

Ma è importante ora soffermarsi anche sulla questione chimica.

La calce non è in grado di sciogliere le ossa umane e difficilmente può riuscire a dissolvere anche solo i tessuti molli. L’idrossido di calce è debolmente basico ed ha proprietà caustiche molto ridotte, tanto che i muratori lo tengono in mano continuamente.

È vero che irrita la pelle, ma è incapace di corrodere un corpo umano. L’ossido di calcio invece ustiona quando reagisce con l’acqua, e proprio per questo sarebbe stato molto problematico l’utilizzo per sciogliere un cadavere, poiché avrebbe rischiato d’ustionare chi lo manipolava, da vivo.

L'idrossido di calcio è una base, mentre le ossa sono dei sali (fosfati). I sali si sciolgono negli acidi e non nelle basi, come si può apprendere da un banale manuale di chimica. La sostanza comunemente chiamata calce si distingue in calce viva, che è alcalina e caustica (quindi ha proprietà corrosive ed ustionanti), e spenta, che naturalmente non le possiede.

Soffermandosi pertanto solo su quella viva, essa è ossido di calce (CaO), prodotto dalla cottura del calcare. Le ossa umane invece sono composte da fosfato di calcio (86%), carbonato di calcio (12%), fosfato di magnesio (1,5%) quindi sono dei sali che non reagiscono con l'ossido di calce.

Che cosa può avvenire se si getta della calce viva su di un cadavere? Può intaccare la pelle, corrodendola, od anche parte dei tessuti molli. Ma è impotente a sciogliere le ossa. Questo processo è comunque largamente teorico, perché di fatto la calce viva entrando a contatto con l’acqua (contenuta nel corpo umano) si trasforma divenendo idrossido di calcio, ossia calce spenta.

L’effetto prodotto dallo spargimento di calce viva su di un cadavere umano può quindi produrre solo una corrosione superficiale, seguita da una calcificazione letterale delle parti esterne, che non distrugge il corpo, ma, anzi, crea una specie di intonacatura che rallenta fortemente od impedisce il processo di decomposizione.

Spargere calce viva su di un corpo può facilitarne la conservazione prolungata, lungi dallo scioglierlo! Tant’è che la calce è stata usata, specialmente in fosse comuni per morti in battaglia od in epidemie, non con l’obiettivo di sciogliere i cadaveri, ma al contrario per impedire la percolazione di fluidi dagli stessi ed il loro fluire all’esterno.

La funzione di questa sostanza è stata, se e quando adoperata nelle sepolture di esseri umani o di animali, strettamente igienica e sanitaria.

Se poi si volesse cercare di dissolvere i tessuti molli di un essere umano con la calce viva, essa andrebbe utilizzata in proporzioni pari alla quantità di corpo da sciogliere, all’incirca 1 kg. di questa sostanza per 1 kg di peso corporeo. Inoltre si dovrebbe procedere alla rimozione, tramite raschiatura od altre operazioni analoghe, della calce spenta che (come si è spiegato) si verrebbe a formare.

Lo scheletro comunque sarebbe impossibile da dissolvere. Per elementari leggi di chimica e fisica, la massa componente il cadavere comunque non “sparirebbe”, ma cambierebbe soltanto forma e consistenza. Essa verrebbe inoltre raddoppiata dalla calce impiegata.

Questo, si ribadisce, sempre con l’eccezione delle ossa, che non potrebbero essere sciolte. Pertanto, anche con una procedura lentissima ed assai sgradevole di spargere calce viva su di un corpo, attendere che faccia effetto, raschiare via lo strato di calce spenta creatosi, ripetere l’operazione sino al totale dissolvimento dei tessuti molli, non sarebbe stato possibile produrre la “sparizione” di cadaveri in quel di Fenestrelle.

Gli scheletri sarebbero comunque rimasti ed in più si sarebbe dovuto smaltire il tessuto organico sciolto e raddoppiato in quantità dalla calce impiegata.

Centinaia o migliaia di corpi umani trattati in questo modo non solo non potevano sparire “nel nulla”, ma avrebbero lasciato uno scheletro intatto e inoltre la quantità di massa dei tessuti molli sarebbe raddoppiata dalla calce necessaria per riuscire a scioglierli.

A Fenestrelle dovrebbe allora esistere una intera collina di morti, se si vuol credere a quanto immaginato dal Di Fiore!

Da ultimo, ma non per ultimo, vi sarebbe ancora da chiarire dove sarebbero finiti gli effetti personali dei morti, a cominciare dalle calzature (scarpe o stivali) e dai bottoni metallici delle uniformi.

Anche qui, non è stata mai rinvenuta una minima traccia delle presunte centinaia o migliaia o decine di migliaia di morti di cui favoleggia la pubblicistica filoborbonica.

È superfluo ricordare che la calce non è in grado affatto di sciogliere il cuoio od il metallo!

Anzi, una tecnica di lavorazione del cuoio prevede la concia della pelle proprio immergendola nella calce, operazione detta calcinaio.

I veri lager, quelli nazisti, avevano in deposito enormi quantità di scarpe delle loro vittime Dove sarebbero finite invece a Fenestrelle?

In conclusione: la storia va documentata chiamando in causa, quando occorre altre discipline, come in questo caso, la chimica.

Sul “lager” di Fenestrelle non soltanto mancano fonti a sostegno di quanto Di Fiore e improvvisati revisionisti sostengono, ma la scienza ha ampiamente dimostrato l’infondatezza di certe affermazioni, smascherando un conclamato e purtroppo reiterato falso storico, uno dei tanti, uno dei troppi.

 

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