Procida 2022, pregi e controsensi di una capitale della cultura
Dopo 174 anni gli atti di morte dello Stato civile del Comune di Procida hanno riportato alla luce una strage avvenuta nel carcere dell'isola, il palazzo D’Avalos, la notte tra il 26 ed il 27 giugno del 1848. 140 detenuti furono trucidati dalle guardie borboniche con l’accusa di tentata evasione. I segnali del malcontento popolare manifestati in Sicilia tra 1837 e il 1847 avevano portato ai moti rivoluzionari del ’48. L’avversione alla dittatura borbonica era stata alimentata da un complesso di ragioni, che comprendevano la soppressione d'ogni forma d'autonomia, la condizione di povertà dell'isola, il duro regime poliziesco e le violazioni degli impegni presi da parte del sovrano, Ferdinando II (soprannominato il Re Bomba proprio in seguito alla repressione delle insurrezioni), che rispose in maniera intransigente e spietata. Inviò in Sicilia, con poteri straordinari, il marchese Francesco Del Carretto, già famoso per aver soffocato i moti nel Cilento del 1828, che ripristinò l'ordine con metodi brutali e oppressivi.
Per malvagità d'animo, alle misure poliziesche in senso proprio, aggiunse atti della più bestiale ferocia, ordinando uccisioni, stupri e saccheggi. Centinaia di prigionieri furono deportati nelle carceri del regno dove subirono torture ed eccidi di massa. Alla presenza del sindaco di Procida, Dino Ambrosino, di Antonio Carannante, assessore alla cultura ed altri funzionari, il 10 giugno 2022 una serie di esperti hanno offerto una lettura degli archivi e delle fonti documentarie, seguita dalla proiezione dei nomi dei prigionieri trucidati dalle guardie borboniche sul muro esterno del carcere di Procida allo scopo di richiamare l’attenzione su una tragica storia remota e ancora oscura. Una lodevole iniziativa, non c’è che dire. Il problema però è che venti giorni dopo, il sindaco Ambrosino, tramite posta certificata, ha ribaltato la sua posizione, offrendo il suo sollecito assenso a posizioni neoborboniche che gli hanno chiesto di stravolgere la storia di un’altra rivoluzione, quella del 1799, riportata sinteticamente sui pannelli turistici esposti al Belvedere dei Cannoni. Il primo cittadino in questione ha immediatamente condiviso tesi arbitrarie secondo cui, durante la rivoluzione napoletana del 1799, il popolo non fu incoraggiato, bensì massacrato dalle truppe francesi. È risaputo che la rivoluzione del ’99, come tutte le rivoluzioni, contò le sue vittime da una parte e dall’altra e che la Repubblica, proclamata dopo un mese di anarchia (in seguito alla vile fuga di Ferdinando IV e tutta la corte a Palermo il 23 dicembre del 1798), non ebbe vita facile dal momento che i lazzari, abbandonati e profondamente delusi dal loro re, si diedero a difendere il “loro” territorio, con saccheggi, uccisioni ed atti di cannibalismo perpetrati anche dopo la restaurazione ed ampiamente documentati non solo nelle cronache del tempo, ma anche nei registri della Congregazione dei Bianchi della Giustizia. I patrioti che presero possesso di Castel Sant’Elmo non fecero altro che ristabilire un governo in una Napoli anarchica e devastata dalla guerra civile. I francesi arrivarono poco dopo, ma quando già era stata proclamata la Repubblica il 22 gennaio del 1799 e, chiaramente, dovettero superare in combattimento le orde di lazzari che, ripeto, non stavano difendendo il regno del loro re fuggiasco, bensì la loro disumana anarchia e per la quale si immolarono. Quando l’esercito francese entrò nella capitale, una parte del popolo, quella più ragionevole, superata la diffidenza inculcata loro dai falsi proclami del Borbone (che aveva promesso - e invece era scappato - di combattere al loro fianco l’entrata degli invasori), e meravigliati dal “famoso” miracolo di S. Gennaro giacobino al cospetto del generale Championnet, alla fine accettarono il nuovo ordinamento. Tant’è vero che alcuni “capi rione”, tra cui Michele Marino ed Antonio Avella, che si adoperarono per la causa repubblicana, cercando di spiegare alle masse il senso della democrazia, furono in seguito anch’essi condannati a morte dalla reazione borbonica. Dire e ripetere fino alla noia che tutto il popolo fu massacrato dai francesi coadiuvati dai “giacobini” napoletani, gonfiando a piacimento le cifre, tirando in ballo citazioni decontestualizzate di autori ben noti, significa non solo dare una versione tendenziosa e approssimativa della vera storia, ma rinnegare e denigrare indecorosamente, il sacrificio di quella parte della popolazione che costituì la Guardia Nazionale, le donne che indossarono le uniformi repubblicane, le madri della Patria e tutti, ma proprio tutti i maggiori esponenti dell’intellighenzia che avevano sperato e combattuto per liberare il sud dell’Italia da una monarchia retrograda e assolutista. Altri che traditori! E noi questi eccidi ancora li stiamo pagando, ritrovandoci in balia di mafie e politiche corrotte. Troppo spesso ormai taluni amministratori comunali stanno assecondando le richieste di abili manipolatori che da anni, stanno usando la storia, mettendo in campo un movimento politico (fallimentare), e un business scaltro e redditizio. Basti pensare a tutta quella merce che impazza sul mercato con il marchio borbonico: dal caffè alle mutande, dagli oggetti di arredo agli alimenti, dai libelli propagandistici ai pellegrinaggi su ipotetici luoghi della memoria. Quasi sempre gli scaltri e sedicenti storici revisionisti trovano ospitalità in piccoli comuni provinciali i cui amministratori accettano anche di presenziare a pseudo convegni "identitari", intrallazzati da sagre, triccheballacche e book shop. Insomma è tutto un mero giro di affari a scapito della vera conoscenza e soprattutto ad onta di chi per il passato ha dato la vita per l’Italia Unita, la democrazia e la libertà. Alla luce di questa ignominiosa realtà è ovvio che queste considerazioni non fanno testo quando si tratta di accontentare il portavoce di una associazione che, oltre ad incamerare quote ed altri proventi, fa retaggio di proseliti che prendono per oro colato tutto ciò che l’auto referenziato meridionalista declama, per poi incitarli a diffondere il suo “verbo” in rete e denigrare senza mezzi termini chiunque osi dissentire. Denigrare l'Unità d'Italia, vilipendiare la bandiera, considerare traditori tutti i patrioti del Risorgimento ed insultare chi invece cerca di difendere i valori costituzionali e la storia della propria nazione, dovrebbe costituire reato, ma a quanto pare tutto viene concesso e lasciato dire in piena tranquillità, come se si trattasse di un innocuo passatempo per nullafancenti leoni da tastiera. A tal proposito è opportuno segnalare che in seguito ad una lettera aperta al sindaco di Procida (che si riporta di seguito), da me scritta e poi sottoscritta da docenti e presidenti di enti culturali, inviata e replicata per email e posta certificata il 3 luglio 2022 oltre che al sindaco dell’isola, anche al Ministero della Cultura, sulle pagine gestite da fiancheggiatori di movimenti neoborbonici, sono piovuti insulti e diffamazioni sia alla scrivente che a tutti coloro che, indignati, hanno sostenuto il pubblico esposto. È ovvio che di tante offese debitamente registrate ci si riserva di procedere per vie legali. Ma, intanto, il signor sindaco di Procida ha finora ritenuto opportuno trincerarsi nel silenzio, esimendosi dal dare una doverosa e civile giustificazione in merito al suo assenso al proposto revisionismo neoborbonico. Certo questo non farà cadere l’accaduto nel dimenticatoio perché, e per fortuna, noi esistiamo e pertanto reclamiamo e reclameremo risposte, e non consentiremo che certe manipolazioni passino inosservate ed a vantaggio di chi, tronfio di un potere e competenze che non ha, pensa di poter infangare a suo piacimento la storia del Risorgimento Italiano e gli studiosi seri che se ne occupano. Finché questi onorevoli signori organizzeranno sagre e si esibiranno tra schiamazzi e tarantelle, premiando “lazzari veraci” e “valorosi briganti”, possono soltanto generare esaltazione in quei contesti provinciali ed arretrati a loro congeniali, ma sfociare in ambiti seri e di una certa rilevanza culturale ha tutt’altra eco. Vogliamo pertanto sperare che il signor sindaco ed i suoi assessori siano almeno consapevoli che non è edificante la noncuranza quando invece dovrebbero rappresentare, difendere e sostenere Procida Capitale della Cultura 2022. La storia di Procida merita molto, ma molto più rispetto, non solo per la memoria dei suoi eroici cittadini, ma perché quell’isola meravigliosa vanta monumenti voluti dal popolo per commemorare il ricordo di coloro che presero parte alla repubblica e per essa, dopo indicibili torture, furono impiccati il 1° giugno 1799. Procida non può assecondare i sostenitori dei Borbone carnefici del 1799 dopo aver organizzato uno splendido evento per ricordare la strage dei prigionieri siciliani del 1848, quando la mano assassina fu la medesima. È un clamoroso controsenso! Se poi l’amministrazione locale per ottenere consensi da più parti non distingue gli opportunismi dalle cause giuste, è una sua manchevolezza etica e morale che però, non può e non deve ricadere sulla storia dell’isola.
Lettera aperta al Sindaco di Procida Raimondo Ambrosino
Gent.le signor sindaco, siamo venuti a conoscenza di una proposta a lei indirizzata da parte di sedicenti storici e associazioni neoborboniche, e da lei immediatamente accolta, di una modifica molto discutibile da effettuare su alcuni pannelli informativi sul 1799 presenti sul Belvedere dei Cannoni. Secondo la dicitura, oltretutto esatta, «il popolo, incoraggiato dalle truppe francesi, al comando del Generale Championnet, si rivoltò contro la monarchia e invocò la repubblica.» La richiesta che ha ricevuto da parte del portavoce del movimento neoborbonico di specificare che il popolo procidano non fu incoraggiato, bensì, “massacrato” dai francesi, verte a distorcere la storia, servendosi di affermazioni decontestualizzate di Vincenzo Cuoco, lungamente analizzate e interpretate da seri studiosi del periodo e non da improvvisati cultori di pseudo storie che, oramai da anni, stanno inondando la rete di fake news allo scopo di infangare la memoria dei martiri del 1799 e di tutto il Risorgimento italiano. Il popolo di cui questi signori si fanno portavoce è lo stesso raccontato dai memoriali del tempo, quello che si diede ai saccheggi, agli assassini e soprattutto ad atti di cannibalismo. Per opportuna conoscenza la invito a leggere un testo di recente pubblicazione del prof. Luca Addante, I cannibali dei Borbone, ed. Laterza, e tutte le cronache del tempo, ad iniziare da quelle di Diomede Marinelli, testimone oculare. Se poi vuol dare credito alle fandonie con cui si cerca di infangare la verità storica, ne darà ovviamente conto ad enti culturali che da anni lavorano per la tutela del nostro patrimonio storico. Vorrei ricordarle la sua alta funzione pubblica nell’isola in cui, nella piazza dei Martiri, campeggia l’omonimo monumento voluto da Mariano D’Ayala a fine Ottocento allo scopo di rendere giustizia a quelli che furono martiri della Libertà, i cui resti furono gettati in una fossa comune in un sacello della Chiesa attigua di Santa Maria delle Grazie. Probabilmente tra le varie celebrazioni le sarà sfuggito che il primo giugno del 1799 fu proprio a Procida che vennero barbaramente trucidati dai carnefici Borbone persone sia autorevoli che rappresentanti del popolo i cui nomi potrà leggerli sulla lapide del succitato monumento, tra cui don Antonio Scialoja, ascendente del senatore Antonio, tra gli isolani più celebri di tutti i tempi, la cui statua innalzata nel 1895, ed attigua al monumento ai martiri del 1799, è già stata vergognosamente sfregiata nel 2013. Lo scopo di questa lettera aperta è quello di evitare che un’isola meravigliosa come Procida, oltretutto quest’anno capitale della cultura, possa prestare il fianco a simili e vergognose manipolazioni, che, ad ogni modo, non saranno tollerate e comporteranno serie conseguenze. Si invitano pertanto tutti coloro che operano e amano la storia vera a replicare via mail ( Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. oppure Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. ) al sindaco di Procida Dino Ambrosino quanto sopra esposto. La presente lettera sarà inviata per pec agli enti culturali regionali e nazionali ed al Ministero della Cultura e del Turismo.
Napoli, 3 luglio 2022
Antonella Orefice – Dir. Resp. Nuovo Monitore Napoletano Anna Poerio Riverso – Dir. Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano (com. Caserta) Renata De Lorenzo – Pres. Società Napoletana di Storia Patria Nicola Terracciano – Pres. Ass. Risorgimento Napoletano Inoltre alla presente hanno aderito ed inviato mail al sindaco di Procida ed al Ministero dei Beni culturali tantissimi docenti e cittadini cultori di storia.
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