Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Fabbricatori di morte

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L’ennesima strage nella scuola elementare di Uvalde, in Texas, ha riacceso la polemica sull’eccessiva permissività riguardo all’acquisto delle armi, vigente in alcuni Stati degli USA.

È acclarato, ormai, che la facilità, con la quale ci si può armare ed andare in giro, liberi di usare fucili e pistole, rende ogni giorno l’America un luogo sempre meno sicuro.

Tuttavia, il cosiddetto “shooting mass”, sembra quasi essere stato metabolizzato da larga parte dell’opinione pubblica statunitense.

Dopo una prima fase di sgomento, incredulità e dolore, si torna ad un incredibile acquiescenza in base alla quale, gli omicidi di massa dovuti alla leggerezza con la quale si permette a qualsiasi cittadino di acquistare uno strumento di morte, facciano tutto sommato parte dello scenario.

Un prezzo da pagare per la “libertà”.

 

Come se fosse quasi ineluttabile il verificarsi di eventi del genere che, palesemente, invece, rappresentano una grottesca interpretazione insana di “libertà costituzionale”.Il Secondo emendamento della Costituzione americana, fu ratificato all’epoca della guerra d’indipendenza e del mito della frontiera, quando si riteneva necessario che ogni cittadino del Nuovo Mondo, potesse difendere la propria vita, proprietà e libertà da solo, con le armi.

Tuttavia, questo retaggio appartenente ad un’epoca lontana e sorpassata dalla storia, nel tempo è stato sempre più strumentalizzato ed enfatizzato in larga misura dalla cosiddetta “lobby delle armi”, ossia una serie di potenti aziende fabbricatrici di armi che godono della compiacenza e della protezione di larga parte del mondo politico di Washington, specialmente tra le fila dei Repubblicani più conservatori.

 

Neppure di fronte al ripetersi di episodi da far-west sempre più cruenti ed incompatibili con una società civilizzata e in un paese che ritiene di essere il leader dell’Occidente democratico, si è mai verificata un’attenta riflessione sulla necessità reale ed ineluttabile che gli americani abbiano la possibilità di possedere delle armi da guerra in soggiorno e di scambiarsele a Natale.

Durante l’amministrazione Obama, un progetto di legge fu presentato al Congresso proprio per attuare delle restrizioni affinché fosse sempre più difficile acquistare armi e girare indisturbati con esse senza averne spesso titolo.

Nonostante l’opinione pubblica americana fosse favorevole ad essa, il progetto di legge si arenò contro il muro dei congressmen repubblicani.

Il sangue dei morti della Sandy Hook Elementary, in Connecticut, tra i quali venti bambini, era ancora caldo e reclamava giustizia, ma il potere della Nra, la National Rifle Association, che promuove e protegge la libertà di detenere armi, si rivelò insormontabile, grazie alla saldatura politica con gli ambienti repubblicani.

Il presidente Joe Biden, oggi, dopo la terribile strage nella scuola elementare Robb, nella città di Uvalde, ha esclamato che sono trascorsi quasi dieci anni da Sandy Hook, ma tutto è rimasto uguale e nulla si è fatto per arginare la terribile piaga che attanaglia e mina alle fondamenta le radici democratiche di un paese che fa del proprio concetto di libertà che si traduce, in questo caso, nella libertà che ha un qualsiasi disadattato o affetto da patologie mentali, di armarsi fino ai denti con fucili d’assalto ed ammazzare chicchessia.

Un’idea di libertà, dunque, estremizzata e distorta che si traduce in caos, anarchia, in perdita di controllo da parte delle istituzioni nei confronti del cittadino e del suo agire.

Eppure, molti americani ritengono che sia proprio la libertà dettata costituzionalmente dal Secondo emendamento, a garantire la democrazia. In particolare, l’autonomia di stati e di piccole contee dal cappio del potere federale accentratore e dirigista.

Dunque, innalzano il vessillo dell’autonomia locale, statale, contro le vessazioni di un lontano governo federale che risiede a Washington, disinteressato ai problemi della provincia americana.

Il diritto di armarsi, dunque, contro il potere dello Stato, lo straniero, il diverso, chiunque voglia attentare all’integrità della nazione americana e alla propria libertà di autogestirsi. È anche così che si spiega la matrice politica degli stragisti di massa. Spesso si tratta di persone anonime, con problemi di relazionali, di razza bianca, cristiani, incapaci di inserirsi in contesti sani.

Spesso seguaci del suprematismo bianco e, dunque, intrisi di odio razziale, omofobia e misoginia.

A volte, si tratta di uomini molto giovani, come il diciottenne di Uvalde, che non si collocano politicamente in un’orbita determinata, ma sono semplicemente vinti dal narcisismo patologico e dal disagio familiare ed interpersonale e trovano nell’uso delle armi, una chance irrinunciabile di rivalsa sociale.

Passare agli “onori” della cronaca per un fatto di sangue di cotanta portata, dà loro la possibilità di sentirsi finalmente al centro dell’attenzione. Indubbiamente, dietro a gesti così gravi, c’è una rilevante responsabilità della famiglia che non ha vigilato e altresì non possiamo non affermare, senza alcuna ritrosia, che abbia fallito, ancora una volta, un intero sistema. Sociale, culturale, ma soprattutto politico.

La politica ha, infatti, una responsabilità enorme che non è solo quella di affrontare grandi temi di macroeconomia e di geopolitica, ma ha il dovere di prendersi cura dei propri cittadini, non semplici elettori, ma innanzitutto persone umane, con le proprie debolezze ed insicurezza, che vanno guidate, protette ed educate.

Non posso evitare di citare l’attuale governatore del Texas, Greg Abbot, né il senatore repubblicano Ted Cruz che, poche ore fa, di fronte la grido di dolore del Presidente Joe Biden, ha esclamato “limitare id diritti dei cittadini americani nell’uso delle armi, significa limitare le libertà costituzionali e poi…non funzionerebbe”. Affermazioni raggelanti.

Torniamo ad Abbot, il trumpiano Abbot che oggi ha ribadito, con il sangue di venti bambini e due insegnanti ancora versato sui pavimenti della scuola elementare di Uvalde, che la legge 1927, approvata lo scorso giugno, permette a chi risiede in Texas non solo di possedere, ma pure di portare sempre con sé un’arma da fuoco anche senza porto d’armi e formazione.

Si tratta di una legge, secondo Abbot, che rafforza la libertà nello Stato.

Pur volendo sorvolare sulla sua ostinata, insensata ed antidemocratica battaglia, di lunga durata, contro i diritti dei gay, delle donne e degli immigrati e sulla nazionalizzazione del Sistema Sanitario Nazionale, resta incomprensibile che si possa credere di essere così permissivi sul possesso e sull’uso delle armi da parte di chiunque, in nome di motivazioni arcaiche, anacronistiche ed estremiste.

Oggi, dopo l’ennesimo eccidio, ha avuto l’ardire di ribadire che, al fine di contrastare episodi sanguinosi di questo tipo, è necessario armare i funzionari pubblici e far presidiare da guardie armate gli “obiettivi sensibili”.

Insomma, il mito del far-west, in cui il diritto era sospeso e vigeva la legge del “più e meglio armato”, sembra aver fatto breccia in modo indissolubile nel cuore del governatore del Texas.

Eppure, 26 anni fa, un uomo armato entrò in una scuola primaria in Scozia e uccise 16 bambini ed un insegnante.

Immediatamente dopo questo mostruoso episodio di cronaca, il governo britannico, che ha molto a cuore le “libertà civili” e non si può definire un esempio scintillante di socialismo e progressismo, legiferò nel segno di un rigidissimo controllo delle armi.

Da allora, ci sono stati zero sparatorie nelle scuole dell’intero Regno Unito.

I conservatori schierati molto a destra, come Abbot, si proclamano da sempre “uomini concreti e realisti” che badano ai fatti e ai dati, ma sembrano, volutamente, miopi se non del tutto ciechi, di fronte alla realtà.

Consentire che tutti i cittadini, indiscriminatamente, si armino, non rende le città più sicure e gli uomini più liberi, bensì rende le città molto più insicure e pericolose e gli uomini molto meno liberi, anzi schiavi della paura e dell’egocentrismo criminale di alcuni, tra i quali si possono annoverare i sedicenti guerrieri della libertà.

Libertà di usare violenza deliberata, anziché affidarsi all’ombrello dello stato di diritto, conquista faticosa dell’umanità ottenuta a suon di rivoluzioni, eroismo e battaglie di menti illuminate e lungimiranti.

Vien da pensare che sia solo propaganda politica, demagogia che cavalca le paure più profonde per restringere, invece, il raggio d’azione della democrazia per assicurarsi poltrone ben salde e nutrire le tasche di alcuni spietati e potenti lobbisti: i fabbricatori di armi. E di morte.

 

 

 

 

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