Giovanni Bovio, intellettuale e politico

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Giovanni BovioGli antenati del nobile meridionale, Giovanni Bovio (Trani, Bari, 1837- Napoli, 1903) erano di Altamura, ricchi e dotti. Per aver aderito alla Repubblica Napoletana del 1799 persero tutto.

Fu figlio di un erede a Trani, Nicola, con la madre, Maria Pasquino, che erano onesti, ma poveri. Trascorse un’infanzia triste nella povera casa ed una vita anche di lavoro precario nell’adolescenza e nella giovinezza e conobbe sulla sua persona la pena operaia.

I genitori, come racconta in un’autobiografia del 10 settembre 1902, scritta pochi mesi prima della morte, «non potevano comperarmi i libri e mandarmi a scuola. Cominciai io, tra i quindici e i sedici anni, a procurarmi dagli amici qualche libro, e tentai da me, in Trani, ad imparare greco, latino, italiano, francese; poi lessi matematici, storici, filosofici, giuristi e poeti, come mi venivano a mano.

Imparai da solo un po’ di greco, tanto da intendere Omero, Platone e Aristotele. Maggiore dimestichezza ebbi coi latini e seppi quasi a memoria Tacito e Lucrezio. Con questa preparazione mi accostai a Dante, che amai sopra a tutti, reputando oscuri quei tempi che si allontanano da lui.

Il Risorgimento italiano fissò la mia attenzione. Lessi ed intesi i filosofi di quel tempo, i quali mi parvero araldi di tutta la civiltà moderna. Ventenne, pubblicai un saggio di filosofia naturale. Verso i trent’anni uscii da Trani, e, senza danaro, me ne venni a Napoli, dove, per via di esami, sotto il Ministero Minghetti, acquistai il diritto di insegnare (filosofia del diritto) all’Università.» (anche senza avere la laurea in giurisprudenza che gli fu data poi ‘honoris causa’).

 

Fu amatissimo dagli studenti, era un grande oratore, scrittore e autore anche di opere teatrali di contenuto storico (es. Cristo e Socrate).

Fu padre di Libero (Napoli, 1883-1942), il grande autore di alcune delle più belle canzoni classiche napoletane. Il fratello Gennaro, nato l'anno dopo Giovanni, nel 1839, e morto a Napoli nel 1920, fu avvocato e protagonista della nascita del movimento operaio e democratico sociale progressista in Puglia, a Napoli, nel Mezzogiorno.

Dopo aver indicato il suo impegno intellettuale e i suoi scritti, passò all’impegno politico.

«Questa vita d’intelletto non disgiunsi dall’opera politica. Da giovinetto entrai nel partito repubblicano, per invito di Mazzini e convincimento mio, e non ho cercato sottigliezze per uscirne. Sto da nove legislature alla Camera, al mio posto (eletto in particolare nel collegio pugliese di Minervino Murge). Deputato da ventisei anni, insegnante da molti anni prima, non venni meno alla mia dottrina ed alla mia fede. La moda non mi seduce, neanche quando assume sembianza di modernità.

Non voglio ingannare il re, il popolo, né la chiesa: non voglio divenire ministro; non desidero ricchezze. L’adulazione e la detrazione non entrarono nei miei scritti; nei miei desideri non entrarono il potere, il denaro e gli onori.

Mi chiamano irreligioso; ma la mia fede, quasi religione, nei destini dell’umanità è profonda. Tollerantissimo delle credenze e delle opinioni altrui, le esamino e non le derido. Debbo alcuni uffici didattici che occupo ai miei esami, ai miei scritti, ai tanti anni di insegnamento, interrotto soltanto recentemente da una penosa malattia.

Della mia scarsa fortuna non accuso nessuno: unico artefice del mio destino è stato il mio carattere. Parlo con ripugnanza di me, stimando vana ogni parola, dove i documenti non arrivano a sottrarre l’uomo dall’oblio. Sento di poter finire come sono vissuto.»

Fu uno degli esponenti più prestigiosi e noti alla Camera e nel paese della sinistra democratica progressista laica.

Tra le sue riflessioni quella della piena democrazia elettorale, ma con una aristocrazia elettiva, cioè con il diritto di eleggere riconosciuto a tutti, ma con gli eleggibili scelti solo tra i migliori del paese per ingegno e moralità, ma sempre sotto il controllo democratico.

Era per la lotta contro le disuguaglianze, ma da eliminare in via evolutiva, in modo democratico e non rivoluzionario, e lontano da visioni classiste tipiche della tradizione socialista o comunista.

Fu amico del napoletano Matteo Renato Imbriani, il grande patriota, deputato e promotore dell’acquedotto pugliese, una delle opere pubbliche più grandi dell’età risorgimentale, condividendo anche la sua battaglia irredentista per Trieste e Trento, e di Salvatore Morelli per la sua battaglia sull’emancipazione della donna e gli fu vicino negli ultimi momenti della sua vita.

Matteo Renato Imbriani, Salvatore Morelli, Giovanni Bovio e tanti altri loro compagni di fede, come ad esempio Felice Cavallotti, Alberto Mario, furono tutti grandi patrioti e combattenti nei campi di battaglia, nelle carceri e al domicilio coatto, alla Camera, di influsso mazziniano-garibaldino-cattaniano, per una Italia più libera, più democratica, progressista, laica, europea, di una sinistra non classista, catastrofica-rivoluzionaria, socialista e comunista marxista, anzi critici di quell'orientamento dogmatico autoritario e statolatra, tutto tedesco (che di tragedie ne ha provocate), e che sono stati rimossi dall'immaginario delle forze politiche del Novecento ed ancora oggi, tanto che nessuna forza li riprende e si riferisce ad essi, pur definendosi genericamente 'democratica'.

 

 

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