Napoli: due narrazioni contrapposte
In essa, sullo stesso territorio, convivono da secoli quattro città distinte, anche se inevitabilmente intrecciate e dialoganti per diversi aspetti. Le narrazioni su Napoli poi contribuiscono quasi tutte a confondere lo sguardo, a non cogliere nel profondo le quattro città congiunte, i loro destini, le loro vite quotidiane, i loro diversi problemi. La Napoli della pizza, del mandolino e della canzone, dei bassi, della camorra, della guapperia, di Posillipo, di Chiaia, del Vomero, dei Quartieri Spagnoli, di Scampia, di San Giovanni a Teduccio, del porto e del mare sequestrati, la Napoli dell’altissima cultura di livello non solo italiano, ma europeo, confliggono tra di loro come immagini e non fanno afferrare la ‘vera’, ‘dura’ realtà di Napoli. Una città di circa un milione di abitanti, la terza attuale dell’Italia, dopo essere stata la prima e la terza d’Europa, un’area metropolitana ormai conturbata con Napoli di tre milioni e mezzo di abitanti, terza area del paese dal punto di vista demografico restano disarticolate, senza un piano unitario di riordino e di programmazione non solo per il lontano, ma neanche per il prossimo futuro, e tutto è sostanzialmente affidato alla precarietà, alla fondamentale arte napoletana dell’arrangiarsi, ognuno per sé e solo Dio per tutti, per tirare la carretta quotidiana della propria vita personale e familiare, che costa fatica inimmaginabile e impedisce di avere energie per l’impegno civile e politico.
L’evasione, il trucco, la maschera è l’infinito parlare. Il Napoletano agli occhi dei più lucidi osservatori è un tipo caratterizzato dall’essere largo di bocca fiorita, anche gradevole, teatrale, ma stretto assolutamente di mano, di impegno, di tenace sacrificio civili. Dopo le parole e qualche faticoso piccolo gesto di impegno, non lo trovi mai più e ti trovi solo con le sue promesse, le sue pacche sulle spalle, i suoi complimenti esagerati. Ne nasce come effetto costante “una precarietà civile” sperimentalmente verificabile istante dopo istante in quasi ogni manifestazione della vita civile: ad esempio dal traffico alla qualità dei servizi pubblici, caratterizzati dalla precarietà più assoluta dall’alto in basso, dove i valori della responsabilità, del controllo, della doverosa collaborazione sono volatilizzati ed affidati alla buona volontà di qualche persona o gruppo serio, eroico (che fa vivere e fa di fatto andare avanti la città e l’area metropolitana), immediatamente individuati ed ostacolati. Così è andata la storia, va, deve andare e chi si oppone è un nemico di intralciare, colpire, anche distruggere, se insiste o diviene pericoloso. Dal basso in alto. Quando finalmente Napoli divenne italiana e libera col Plebiscito del 21 ottobre 1860 (e di strade di modernizzazione ne ha fatte Napoli da allora ad oggi per l’azione di eroiche minoranze di tutti i tipi), il grande Cavour indicò la via maestra con tre valori, tre stelle polari, per risolvere i problemi secolari di Napoli: libertà, ordine (serietà, senso del dovere e rispetto delle leggi), e lavoro. Esse restano ancora oggi fondamentali per costruire una città, un’area metropolitana unitarie e moderne.
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