Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

La pandemia ci fa riflettere sull’esistenza dei “fatti”

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Negli innumerevoli dibattiti televisivi sulla pandemia che i talk show ci propinano con ritmi massacranti, tali da indurci a chiedere perché mai il pubblico continui a seguirli, si sono subito distinti due schieramenti.

Il primo è formato da scienziati che si occupano di virus e di malattie infettive. Il secondo – minoritario rispetto al precedente - è invece composto principalmente da filosofi spesso mossi da spirito anti-scientifico in senso lato.

Tralascio qui la strana galassia dei no vax e dei no green pass che, pur presenti in gran numero nei suddetti dibattiti, hanno ben poco da offrire all’approfondimento degli argomenti. Si limitano infatti a negare, talvolta, addirittura l’esistenza della pandemia, citando i tanti siti complottisti presenti in Internet senza preoccuparsi della loro attendibilità. Sono davvero convinti che il “grande complotto” esista, ragion per cui convincerli del contrario è in pratica impossibile.

A scanso di equivoci dico subito che gli scienziati – e in primis i virologi – non escono bene da questa vicenda. I più, anche se non tutti, vanno in tv per soddisfare il proprio ego personale, per dimostrare che loro hanno ragione mentre i colleghi che odiano professionalmente hanno torto. Succede in tutte le comunità scientifiche, dove la competizione professionale porta spesso ad esaltare se stessi e a sminuire i contributi degli avversari, magari soltanto perché provengono da una diversa “scuola accademica”.

 

Tale situazione, però, ci consente di sottolineare una questione importante. A differenza di quanto sostengono i positivisti, la scienza non può mai essere un’impresa perfetta e scevra da errori. E meno che mai lo sono le discipline mediche, che notoriamente si collocano a cavallo del difficile confine tra scienze empirico-sperimentali e scienze umane. Tutti gli scienziati sbagliano e, come notava Popper, è proprio dai loro errori che la scienza in senso lato trae la sua linfa vitale.

Per quanto riguarda i filosofi, ve ne sono alcuni piuttosto noti che hanno per l’appunto scelto di schierarsi sul versante anti-scientifico.

I nomi in primo piano sono ovviamente quelli di Agamben e Cacciari, sulla cui originalità di pensiero nessuno discute. Per comprendere la loro posizione, tuttavia, occorre procedere a una breve digressione sul concetto filosofico di “fatto”.

Secondo alcune correnti che vanno per la maggiore nel pensiero contemporaneo, i “fatti in sé” (denominati talora “fatti bruti”) non esistono affatto.

Esistono solo le “interpretazioni”, giacché la nostra conoscenza ha un carattere essenzialmente transazionale, dove per “transazione” s’intende un processo che non comprende fattori rigidamente determinati sin dall’inizio, bensì elementi le cui caratteristiche vengono stabilite nello svolgersi del processo medesimo.

Tracciando una distinzione di questo tipo, non possiamo dire nulla di significante a proposito del mondo in sé, inteso come realtà indipendente dalle indagini che gli esseri umani svolgono. Ovvero, vi sarebbe un mondo naturale che esiste indipendentemente dal fatto che noi entriamo o meno in contatto con esso.

Tuttavia questo mondo è anche “ambiente” solo nella misura in cui ha a che fare, direttamente o indirettamente, con le funzioni vitali dell’organismo.

Ad ogni modo si può dire ben poco circa le cose prima che esse entrino nel raggio d’azione della nostra indagine.

L’errore consiste nel pensare a situazioni che fanno parte del mondo indipendentemente dagli effetti che la nostra ricerca ha su di esse. Sostenendo che non si può dire gran che circa la natura delle cose prima che entrino nel raggio d’azione della nostra indagine, si presuppone una distinzione - che appare intuitivamente fondata - tra (1) cose esperite e (2) cose indipendenti dall’esperienza.

Se affermo che non posso dire molto circa (2), non sono affatto costretto a negare che vi sia un mondo indipendente dall’esperienza.

er esempio, è legittimo sostenere che c’è stato un tempo in cui non vi erano soggetti conoscenti che esperissero il mondo, e la storia naturale ci insegna in fondo proprio questo. In termini kantiani, si potrebbe anche dire che c’è un mondo indipendente dalla nostra attività sensoriale e dai particolari modi in cui essa si esplica. Ma occorre fare attenzione, perché il punto è molto delicato.

Se parliamo di organismi e di ambiente, e di interazioni tra quest’ultimo e gli organismi, facciamo sempre riferimento a certi aspetti della realtà che si collocano “al di fuori” dei contenuti e dei risultati delle indagini poste in essere dai soggetti conoscenti.

I filosofi che negano la stessa esistenza dei “fatti bruti” si posizionano nella scia di una tradizione di pensiero che Isaiah Berlin definì “romanticismo filosofico”, contrapponendola a un’altra che si piò invece chiamare “razionalismo illuminista”.

Quest’ultima vede nella scienza il vero paradigma della conoscenza, mentre la prima non attribuisce alla scienza stessa alcun tipo di superiorità. Ovvio che gli appelli a “credere nella scienza” non trovano affatto, in questo ambito, orecchie attente.

Il vero problema, o ancor meglio, la vera posta in gioco è che il virus circola in modo incontrollabile e uccide, come accadde del resto in precedenti pandemie che colpirono l’umanità in passato.

A fronte di tale situazione risulta arduo sostenere che non esistono fatti, ma solo interpretazioni.

Finire in terapia intensiva è proprio un fatto, e non un’interpretazione. Ed è pure un fatto che la pandemia minaccia di cacciarci in una recessione economica (ma pure culturale) da cui sarà terribilmente difficile riemergere come se nulla fosse.

Dunque critichiamo pure i “virologi star”, ma non dimentichiamo i tanti ricercatori che lavorano alacremente per venire a capo di un fenomeno che presenta ancora lati oscuri.

 

 

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