La tregua di Natale
La Grande Guerra era iniziata da pochi mesi e ormai era svanita l’illusione di una “soluzione lampo”. I morti avevano già superato il milione. Nel mese di novembre di quel 1914, dopo la conclusione della prima battaglia di Ypres, nelle Fiandre, la situazione giunse a un punto di stallo: la guerra di movimento cessò e il fronte si stabilizzò lungo una linea continua di trincee estesa dal Mare del Nord alla Svizzera, dietro le quali i contendenti si ammassarono a difesa. Nel mese di dicembre piovve continuamene nelle Fiandre. I soldati tedeschi e quelli inglesi inviati in Europa camminavano nelle trincee invase dal fango, scivolando nella melma tra l’odore nauseante della decomposizione proveniente dalle vittime che non si potevano seppellire. Venne quindi la sera della vigilia di Natale. Proprio nelle trincee di Ypres, in Belgio, accadde qualcosa di straordinario. I soldati tedeschi accesero le candele su migliaia di piccoli alberi di Natale improvvisati e cominciarono a cantare canti di Natale. I soldati inglesi risposero con un applauso, dapprima timido, poi sempre più scrosciante. Poi, a loro volta, cominciarono a intonare le proprie canzoni e i soldati tedeschi li applaudirono. All’alba di Natale ricominciarono i canti e gli applausi. Poi, dalla trincea tedesca, uscirono i primi soldati disarmati. I britannici emersero a loro volta dai ripari e si incamminarono verso i tedeschi. Si incontrarono nel terreno tra le due trincee, scambiandosi piccoli doni: tabacco, bottoni, sigarette e souvenir. Furono addirittura scattate foto ricordo. I tedeschi portarono sigari e brandy, gli inglesi carne di manzo. E seduti intorno al fuoco i soldati festeggiarono insieme quel Natale, nel fango della zona deserta tra le due linee. Fu addirittura organizzata una partita a calcio, uno sport che allora cominciava a diffondersi ovunque. Per la cronaca vinsero i tedeschi 3 a 2. Sembra una favola, ma invece è realtà. Non ne parlarono le fonti ufficiali, perché poco in linea con lo spirito belligerante dei governi. Non ne scrisse la stampa, in una sorta di silente censura. Il primo a riferirne fu dopo qualche settimana il New York Times, forse perché giornale di un Paese allora neutrale. Questa bella storia ci è stata tramandata dalle lettere dei soldati inviate alle famiglie. Una vicenda che merita di essere ricordata, emblema di uno spirito natalizio che vince sul male, riaffermando la propria essenza incancellabile. Un vero “Canto di Natale” del ventesimo secolo: non più individualistico quale quello di Dickens, ma corale, così come corale è stato il Novecento. Auguro a tutti voi un Natale simile. Una festa nella quale i dispiaceri, le preoccupazioni e i problemi del quotidiano possano essere accantonati con un abbraccio e, magari, con un piccolo dono, foss’anche un bottone. Un Natale in cui si possa comprendere che non esiste un nemico invincibile, ma semplicemente “l’altro”. Un’alterità che deve essere rispettata. Non è detto che si debba “amare” indistintamente ogni persona al mondo, compito – questo – lasciato ai santi. Ma certamente possiamo far nostri i doni del rispetto, della tolleranza, della giustizia. Per rendere il Natale l’alba di un nuovo mondo. Per tutti.
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