Carlo di Borbone nel contesto europeo
Carlo III, nato a Madrid nel 1716, fu re di Napoli dal 1734 al 1759, poi di Spagna fino alla morte nel 1788. Ripercorrere la storia di questo grandissimo personaggio senza analizzare il contesto europeo è sbagliato. Si commette l’errore tipico di accentrare su di una unica persona tutto il potere e il sapere terreno e ne viene fuori una meteora caduta sul trono, inviata da forze divine. Parlo del secolo dei “Lumi” e delle scienze e quasi tutti gli imperatori e i regnanti si abbeverarono a quella fonte. Tutto ebbe inizio a Londra con la nascita della Royal Society, fondata nel 1660 per lo sviluppo delle conoscenze naturali. Isaac Newton (1642-1726) ne divenne presidente ed è famosa la sua frase: «Se ho visto più lontano è perché stavo seduto sulle spalle di giganti». Con quella forgia di cervelloni Londra si rinnovò, il Parlamento diede avvio ad una profonda riforma e fu fortemente voluta una capitale moderna, con palazzi lussuosi. Il governo si preoccupò di avere una marina militare e un esercito di professionisti, si aprirono cantieri navali in tutte le città di mare, ne mancarono investimenti nei settori tessili ed agricoli. Le nuove conoscenze si traducevano in investimenti economici in tutti i settori. Chiaramente quello che accadeva a Londra si sapeva nelle corti europee.
Dopo il suo periodo londinese, il giovane Pietro, Zar di tutte le Russie, fece nascere la città oggi chiamata S. Pietroburgo, una capitale bellissima e lussuosa, con tantissimi cantieri navali e la nascente grande industria del ferro. Non mancò di organizzare un grande esercito. Alla sua morte Caterina la Grande continuò l’opera. In Austria la Gran Duchessa Maria Teresa fece le stesse cose, aggiungendo la scuola pubblica per operai e tecnici specializzati nella meccanica. In tutte le corti europei si accoglievano letterati e scienziati e certamente accadeva anche a Madrid, dove il giovane Carlo era svincolato dalla procedura rigida dell’educazione dei futuri re, perché terzogenito e con zero possibilità di arrivare al trono. Difatti la sua educazione spaziava in ogni campo e s’incuriosiva di ogni novità. A soli 18 anni divenne re di Napoli. Accentrò il potere a corte e si circondò di ministri attenti alle nuove idee che circolavano veloci nelle corti europee. Così iniziò la costruzione di una modernissima capitale del Regno con opere che ancora oggi richiamano milioni di turisti: la reggia di Caserta, voluta per competere in bellezza con quella di Versailles, la reggia di Capodimonte, il palazzo reale e il teatro S. Carlo. Nei 25 anni di regno compì l’opera di una Napoli seconda solo a Parigi per numero di abitanti ma certamente prima in bellezza. La storia di Carlo di Borbone a Napoli si chiuse a Napoli nel 1759 con il passaggio a Madrid dove fu incoronato Carlo III re di Spagna e dei vastissimi territori americani. Trovò un ambiente culturale effervescente dove risuonavano le parole del celebre illuminista aragonese Benito Jeronimo Fejòo: «La patria… che dovremmo mettere al di sopra dei nostri privati interessi, è quel corpo politico in cui, sotto un governo civile, siamo uniti sotto il giogo delle medesime leggi. Così la Spagna è l’oggetto dell’amore degli spagnoli». Una delle cause dell’impoverimento della Spagna stava nel regionalismo, nella divisione politica e culturale tra castigliani, aragonesi e catalani, ma anche altre piccole regioni avevano sempre rivendicato la propria autonomia nei confronti di Toledo, prima, e Madrid, dopo. In quel 1759 poco si era mosso, le Fueras (I Privilegi) delle singole città venivano sempre difese, e quelle della chiesa, guai a parlarne! Solo un dato aiuta a comprendere quale fosse l’ostacolo maggiore ai piani di Carlo III. L’Abbazia di Toledo poteva contare in una entrata annua di 3 milioni e 500 mila ducati d’oro, la corte di Madrid di 12 milioni di ducati. Una sproporzione da incubo per qualsiasi ministro delle entrate. Il marchese di Squillace, diventato Esquillace, il marchese Grimaldi, tutte e due ministri a Napoli e portati a Madrid, e il ministro delle Indie Julian de Arriaga furono protagonisti della grande riforma di Carlo III. Fu istituita nel 1763 una Junta segreta per discutere di entrate dei vice-reami americani e del commercio delle Indie. Dopo pochi mesi il potere di Madrid cominciò aumentando le fortificazioni dei porti americani. Fu inviato il capitano generale dell’Andalusia, Juan de Villalba, a capo di due reggimenti per completare il programma di riforme militari. Queste prevedevano un grande esercito di professionisti e gli spagnoli dovevano prepararli. Le cose andarono diversamente perché i vice-re, i creoli, e le milizie mal sopportavano l’arroganza degli spagnoli. Solo verso la fine del decennio si cominciarono a vedere dei risultati con un esercito di 40.000 uomini ben addestrati. Fu l’intuizione di estendere anche ai militari americani il privilegio del fuero militar, senza distinzione tra spagnoli e creoli. In quel decennio successe di tutto, in coerenza con il programma politico di Carlo III, e quando si profilò la possibilità non si perse tempo. Nel 1767 decise di espellere i Gesuiti da tutti i territori e di acquisire i loro beni. Tra l’odierno Paraguay, Cile, Perù, Colombia e Venezuela ben 400 aziende dei Gesuiti passarono in mano private, con gran beneficio delle casse di Madrid. Ovviamente ci furono resistenze e rivolte finite in 85 impiccagioni e migliaia di rivoltosi in galera. La determinazione dei riformatori di Carlo III non avrebbe potuto trovare un simbolo migliore dell’espulsione dei Gesuiti, e le riforme fiscali e amministrative accelerarono, aumentando considerevolmente le entrate di Madrid. Andava tutto bene? Non proprio. Dovette licenziare con molto rammarico il ministro Esquillace. Ma leggerete questa parte della storia nel prossimo articolo. |
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