Quel daltonismo pericoloso sulla ricchezza italiana
Segni ne sono chiari come il sole sotto gli occhi il numero dei proprietari di case, in città e nei luoghi di villeggiatura, il numero delle auto a volte più d’una per famiglie, con i costi che implicano, il numero di barche, che affollano i porti grandi e piccoli lungo i 2 mila chilometri di costa italiana, la inimmaginabile diffusa imprenditorialità privata, che rende, con l’industria pubblica, l’Italia un alveare produttivo straordinario, che suscita l’ammirazione del mondo. Non parliamo dell’industria turistica con i beni ambientali-culturali unici al mondo con flussi interni e dall’estero, produttori con l’indotto di ricchezze e di lavoro. E ancora non parliamo dell’occupazione e dei posti pubblici (dalla sanità alla scuola, all’Università, alle amministrazioni pubbliche, dalla capitale agli 8 mila Comuni).
L’Italia, inoltre, conta uno dei maggiori numeri di pensionati, con una vita media la più alta della sua storia e nei confronti di altri paesi. Il nostro “bel paese” è dunque complessivamente ricco, ha la più straordinaria partecipazione ed emancipazione delle donne della sua storia, è la settima potenza economica al mondo e non a caso centinaia di migliaia e migliaia di persone (ormai sono milioni gli stranieri in Italia) sono venute e vogliono venire qui. Per concludere: è giusta la critica sociale, sacrosanto l’impegno per attenuare e in prospettiva abolire l’ingiustizia (anche se la storia ci ha insegnato e ci insegna che è questione complessa), ma senza vedere sempre e solo tutto nero, criticando di continuo, facendo gli apocalittici e i pessimisti, rischiando così di pensare e di dire cose che non esistono e che sono smentite ogni istante sotto i nostri occhi.
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