La laicità dello Stato nei versi di Dante
Il secolare problema della laicità dello Stato, che resta ancora oggi come uno dei problemi irrisolti. era già stato individuato da Dante con versi straordinari per profondità.
«Ahi gente che dovresti esser devota, e lasciar seder Cesare in la sella, se bene intendi ciò che Dio ti nota, guarda come esta fiera è fatta fella per non esser corretta dalli sproni, poi che ponesti mano alla predella.» (Dante, Purgatorio, Canto VI, versi 91-96)
Così spiega essenzialmente nel suo commento Natalino Sapegno: «Voi gente di chiesa, che dovreste essere tutta dedita alle cose spirituali (intenta cioè solo a ciò che Dio veramente vi comanda, a non interessarvi anzitutto cioè del potere politico), avete voluto, volete invece mettere mano alla briglia, guidare a vostro piacimento il cavallo italiano, producendo solo danni sociali e civili.
Esso, non sentendosi più ai fianchi gli sproni del suo cavalcatore (la forte autorevolezza del potere civile), è diventato indocile e ribelle. La gente di chiesa non è capace di inforcare il cavallo e, presumendo di condurlo a mano a suo talento. non riesce in realtà più a domarlo, producendo, si ripete, solo danni sociali e civili. Usurpando il potere civile, la gente di chiesa malamente e tragicamente confonde il potere spirituale col potere temporale, viene meno ai suoi doveri specifici e indebolisce l’autorità politica e civile».
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