2020 Annus horribilis
Si dice «Anno bisesto, anno funesto». Si dice, si pensa, si scongiura, adottando tutte le possibili scaramanzie. Ma contro il 2020 nessuna formula magica ha avuto la meglio sul suo potere malefico. Indimenticabile, spietato, mortale, oscuro. Così sarà ricordato questo anno maledetto che ha seminato nel mondo dolore e angoscia, malattia e morte. Nessuno di noi potrà mai dimenticare lo strazio delle bare trasportate dai camion dell’esercito, i forni crematoi incapaci di far fronte al numero elevato di cadaveri, le sale di rianimazione trasformate in anticamere di morte, le tute bianche degli operatori sanitari reincarnati medici della peste. Secoli appartenenti al passato improvvisamente hanno recuperato sul tempo e si sono ripresentati nella nostra epoca con tutto il loro carico di desolante impotenza umana. Abbiamo rivissuto scenari orribili, lo sconforto dei lazzaretti, la strazio delle morti in solitudine, il sacrificio di tantissimi anziani e tanti, troppi amici strappati alla vita da un nemico invisibile. Abbiamo assaporato l’amarezza delle distanze, lo spettro delle nostre popolose città desertificate, disumanizzate, il silenzio squarciato dalle sirene spiegate delle ambulanze, il loro sinistro lampeggiare in attesa a un portone vicino, il brivido, il sentore della morte a un passo da noi. Abbiamo imparato a nascondere il nostro respiro nelle mascherine, a guardare con sospetto il vicino di casa, a temere gli “untori”, a metterci in fila nei supermercati per far scorte di beni di prima necessità con affanno, trepidazione, abbiamo imparato a sfiorarci appena col gomito, a rinunciare ai calorosi abbracci, alle più normali manifestazioni d’affetto. Abbiamo riscoperto gli angoli più remoti delle nostre case, arricchito il nostro vocabolario di termini nuovi, a contare le gocce di pioggia dietro ai vetri opachi, assaporare la tristezza di una primavera che non potevamo vivere. Abbiamo totalmente stravolto la nostra vita per difenderci da un virus maledetto che ancora minaccia e incute timore, costringendoci a rinunciare a tante cose che prima vivevamo con serenità e naturalezza.
Abbiamo visto tante saracinesche abbassate, la disperazione dell’economia messa in ginocchio, scene di guerra, rituali dissacrati. E poi l’immancabile egoismo dettato dalla noncuranza, dalla cattiveria, dall’ignoranza, dalla stoltezza disumana che travisa la realtà, la nega, veicolando il male, offrendogli nuove vittime e vanificando il sacrificio di tanti. Questo Annus horribilis sarà ricordato nella storia dell’umanità molto più della febbre spagnola o delle altre pestilenze, perché ha dimostrato che, nonostante i progressi della scienza, la natura è e sarà sempre più capace di coglierci impreparati ad affrontare un nemico invisibile e sconosciuto, e la scienza, per quanto possa evolversi, è sempre fallibile nella sua necessità di tempo per studiare, capire, sperimentare. Perché intanto si muore, il virus muta, si potenzia, e ride del nostro misero affanno. L’unica corazza che ora ci resta da indossare non è la presunzione del negare, ma un’armatura di speranza, l’unica ancora di salvezza che solo il vaccino ci può offrire per riappropriarci della nostra vita, facendo tesoro di tutta la drammaticità di un anno indimenticabile, ma da cancellare. Speranza, salute e serenità. Sono le uniche tre parole magiche a cui possiamo ora aggrapparci per dimenticare un Annus horribilis e augurarci un nuovo “Annus mirabilis!”
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