Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Cimarosa e il senso di colpa del cardinale Ruffo

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Io, inguaribile sognatore, incallito collezionista di carte vecchie, con dentro l'intima, perenne convinzione di trovare  quel documento, quella lettera che cambia ciò che è già stato, che è già scritto, il 19 aprile dell'anno domini 2019 fui spinto dal destino e dalla voglia di farmi un regalo, in una prestigiosa libreria di Napoli in Santa Maria di Costantinopoli.

La giornata era di quelle buone, anche se fuori pioveva a dirotto, perché mi fu dato un malloppo di carte del Settecento da visionare e tra cui scegliere.

In casi come questi, la prima regola è non farsi vedere dal libraio con la bava alla bocca, ossia realmente interessato … quindi una rapida occhiata a ogni lettera, una tra il sospettoso e l'implorante al libraio e la scelta era fatta.

Che ben di Dio!  Lettere di Tanucci, Carlo De Marco, il Cardinale Domenico Orsini, l'immancabile Acton, insomma la storia di quel contraddittorio secolo che ebbe alba luminosa e crepuscolo insanguinato era tra le mie mani.

Distrattamente, ne presi alcune, ne feci un blocco, discussi il prezzo, raggiunsi un accordo, poi, come ad un ortolano dopo aver fatto una gran spesa si chiede di mettere gratis nella busta il basilico (gli odori), così pescai un'altra lettera, quasi a caso dal mazzo, colpito dal suo intrigante  colore azzurrino e la aggiunsi al lotto acquistato, il cui prezzo era già ineluttabilmente definito.

 

Prima di uscire rapidamente come un ladro e non come uno che ha pagato la merce, lo sguardo curioso mi cadde sul "basilico" azzurrino … un'altra lettera del cardinale Ruffo. «Almeno fosse del 1799!» pensai, ma niente, bastò un batter di ciglia per spegnere la speranza: era del 1801. Un  po’ deluso, mi avviai verso casa con tutta quella storia ben avvolta in una busta di plastica per non farla bagnare.

Eppure quella lettera aveva un valore immenso. In poche righe cambiava la storia, anzi una storia in particolare, quella triste e poco conosciuta della morte del grande musicista Domenico Cimarosa e del destino della sua famiglia dopo la sua morte.

Si sapeva che al cardinale Ruffo, Ferdinando IV da Palermo aveva affidato la direzione della commissione di inchiesta sul presunto coinvolgimento del grande maestro, nei fatti del 1799 e che all'esito del verdetto il Cimarosa fu incarcerato.

Era noto pure il fatto che il dispiacere, il duro regime carcerario, influirono negativamente sulla  salute del musicista e furono concausa della morte.

Ed inoltre che fu il Cardinale Consalvi, grande estimatore e mecenate del maestro ad aiutare i suoi figli rimasti orfani, del cui destino poche sono le fonti.

Ma quella lettera autografa di Fabrizio Ruffo scritta il 21 marzo 1801 al segretario di Stato della Corte Borbonica , diceva qualcosa in più ed era lo spunto per poter fare un po' di chiarezza sull'argomento.

Il cardinale, sentendosi in qualche modo corresponsabile della morte del Maestro, si occupò della sistemazione dei suoi figli dopo quella morte  definita "immatura", e pertanto, supplicò il Re affinchè fosse dato un impiego al primo figlio, che era esperto «di tre lingue fra le quali la russa che potrebbe essere ora di qualche comodo in una corte».

Per il secondogenito poco più che dodicenne chiese invece l'accoglimento «in qualche conservatorio perchè in seguito possa emulare il Suo Genitore.»

Di questo interessamento del cardinale Ruffo la storia fino ad oggi ha taciuto e questo silenzio è stato per me una spinta ad approfondire la tutta la vicenda.

La lettera è di soli due mesi posteriore alla morte prematura del musicista avvenuta a Venezia l'11 gennaio di quell'anno, e in qualche modo conduce ad una nuova riflessione sulla posizione che la storia ha fin qui attribuita al Cardinale Ruffo nei confronti di Domenico Cimarosa il più famoso musicista del barocco italiano.

È certo che Ruffo, fu incaricato da Re Ferdinando IV, recuperato il regno dopo i fatti del novantanove, di presiedere la Commissione di inchiesta su Cimarosa, per esaminare la sua condotta e il suo ruolo nell'ambito della Repubblica Napoletana del 1799.

L'aver musicato l'inno di Rossi della Repubblica Napoletana e soprattutto l'essersi fregiato del titolo di maestro della cappella di corte nella pubblicazione della cantata per il ritorno di Ferdinando sul trono, fecero sì che Ruffo chiudesse l'inchiesta con una comminazione di pena detentiva al musicista, una detenzione che sicuramente, per quanto breve, incise sul suo stato di salute.

Alla sua morte i tre figli Raffaele, Paolo e Costanza, già orfani di madre, finirono in una triste e misera condizione.

Gli ultimi anni di vita del Maestro risultano, a tutt'oggi abbastanza misteriosi, soprattutto per la mancanza di documentazione diretta.

Contrariamente a tanti artisti coevi, Paisiello o Mozart, ad esempio, non esistono più documenti epistolari. Cimarosa fu un compositore che, dato il suo grande successo, ebbe moltissime occasioni di viaggiare in Italia e all'estero.

Ma nessuna sua lettera, tranne una scritta da Venezia ai figli pochi giorni prima di morire, è rimasta. Nessuna corrispondenza tra lui e i familiari, nessuna corrispondenza tra lui e il Cardinal Consalvi suo promotore.

Di per sè, questa assenza totale risulta già molto strana e, probabilmente, non casuale.

Indubbiamente, nel documento del 1801, quando il cardinale Ruffo presentò le competenze linguistiche del primogenito di Cimarosa, si riferiva a Raffaele che era nato a San Pietroburgo nel periodo in cui Cimarosa era maestro del coro presso Caterina di Russia;
mentre il figlio dodicenne (che otterrà il beneficio) era sicuramente Paolo.
Si tace della terzogenita, Costanza che, comunque, il Cardinal Consalvi provvedette, anni dopo, a sistemare in un convento a Roma.

Durante gli ultimi giorni di vita del Maestro, la famiglia era alloggiata a Napoli da un certo Sig. Ferdinando (di cui non si conosce il cognome, ma che poteva essere un parente o un amico di famiglia.

Nel 1801 Raffaele era già sposato con Antonia Boni, dalla quale ebbe, negli anni successivi tre figli: Domenico, Sofia e Costanza.

Raffaele, ad un certo punto scomparve dalla scena napoletana (le figlie, infatti, nacquero entrambe a Cefalonia, dove il padre, presumibilmente, morì). Non si conosce il motivo per cui si spinse fino a Cefalonia. Ma si sa che il figlio Domenico, che evidentemente chiamandosi come il grande nonno, aveva la musica nel sangue, divenne un trombettiere dell'esercito borbonico, mentre le due figlie, Sofia e Costanza, per interessamento dello zio Paolo, una volta morto Raffaele, entrarono in Conservatorio.

In sostanza, Paolo, il figno minore del Maestro, ebbe per le nipoti lo stesso compito che ebbe Ruffo per lui dodicenne: presentò una supplica affinché le due piccole nipoti, rimaste orfane, potessero entrare al Conservatorio.

Sofia ricomparve in un trafiletto della "Gazzetta Musicale di Milano" datato 1877, nel quale se ne annuncia la morte in un ospedale di Milano. Nello stesso breve trafiletto, inoltre, si rendeva noto che morì vedova e che il marito si chiamava, di cognome, Pacifico e che fu ufficiale dell'esercito borbonico.

La dinastia del grande musicista si ferma qui o almeno queste sono le notizie fondate.

Ma torniamo al 1801.

La fama del defunto Cimarosa era immensa e la Curia Romana, rappresentata dal cardinale Consalvi, e forse il pentimento del Ruffo che lo aveva condannato alla galera, condussero quest'ultimo ad occuparsi della sua famiglia. Una prima istanza venne ignorata, ma la seconda in cui il Ruffo tentò una sistemazione per Raffaele o per Paolo, andò a buon fine.

Non è escluso che una buona predisposizione di animo nei confronti del Cimarosa, rappresentasse anche una mossa tattica e politica del Re e soprattutto della Regina Carolina per sviare dalla corte il sospetto di omicidio che ancora su di essa gravava. L'estraneità della regina alla morte del grande musicista fu chiarito, o almeno si provò a chiarirlo, solo il 5 aprile 1801 allorché la corte di Napoli divulgò un certificato di morte che facevano dipendere la causa del decesso ad un cancro allo stomaco.

Ma all'epoca della lettera di marzo 1801 ancora correva forte la voce che Domenico Cimarosa fosse stato avvelenato da sicari della regina, e ancora il dubbio non è stato chiarito.

Ciononostante la raccomandazione del cardinale andò in porto e, come si legge nel rescritto autografo di Acton, il Re accolse il dodicenne Paolo in conservatorio gratuitamente affinchè seguisse le orme del grande genitore, ma purtroppo Paolo divenne solo un mediocre musicista.

Fabrizio Ruffo "trasferito di ufficio" a Roma come ministro del regno di Napoli, dopo l'accoglimento della sua supplica, visse  forse con un animo alleggerito da un qualche ingombrante rimorso. Ma fu giusto uno dei tanti.

 

 

 

 

 

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