La percezione del rischio. Sapere di non sapere
Avendo percepito intorno, negli ultimi mesi, una spasmodica ricerca di rassicurazioni sia da parte dei decisori politici, sia nei comportamenti e negli atteggiamenti dei più, non posso fare a meno di manifestare una pesante insofferenza. Ci sono due aspetti ben distinti ma ben interconnessi in questa riflessione, ed entrambi hanno un nome comune: esso è il rischio. Questa pesante percezione del rischio che lo pone in cima ad ogni pensiero (tanto da dettare ogni ordine di grandezza e di priorità alle agende) mi pare del tutto falsa. O miope e disutile, quantomeno. Non viviamo affatto in una vera Risikogesellschaft, la “società del rischio” di cui aveva dato ottima definizione Ulrich Beck nel celebre saggio del 1986 “La società del rischio. Verso una seconda modernità”: non ci siamo dentro, semplicemente perché non viviamo in un mondo più pericoloso del precedente. Semmai diversamente pericoloso, ma non certo “più” pericoloso. A cambiare è la conoscenza, che i moderni mezzi di informazione hanno espanso all'inverosimile: non tanto e non solo la dose di conoscenza scientifica, ma soprattutto la sua accezione di diffusione di notizie, la cui qualità e affidabilità oltretutto è ad un punto davvero troppo, troppo basso. Quello che manca è un certo limite, nel non sapere dove sbandare: perché non accettare una sana, naturale e immanente cultura dell’incertezza, ed invece voler necessariamente approdare su sponde che prevedano la ricerca di una sorta di rischio-zero, di Sicurezza con la S maiuscola?
È una posizione che appare strabiliante, per la sua assurdità, eppure sembra la prevalente. Se accettassimo, come dicevamo esattamente un mese fa, di lasciare le chiavi delle decisioni in mano agli scienziati pur benemeriti, di sicuro la tentazione di andare verso la Sicurezza aumenterebbe; però allora magari non dovremmo più attraversare la strada, pensando ai 612 morti italiani in un anno (uno ogni 14 ore con un indice di mortalità 3,2 - dati dell'Ufficio Studi Asaps anno 2019); non almeno fin quando ci sarà l'auspicato rischio-zero nel farlo. Se andiamo oltre però, e cerchiamo qualche via di uscita accettabile, basta rendersi conto del vantaggio strategico che abbiamo e che deriva da ogni tipo di conoscenza e dagli aspetti positivi dell'Incertezza: parlare dei rischi, sapere che esistono, essere disponibili a capire che si dividono in quantitativi e non, sedersi a contrattare i pesi e i contropesi delle scelte, sopravanzare i tabù antichi e moderni con un approccio razionale, e magari sorridere al pensiero di essere umani. Perché anche la nostra tanto amata libertà, quella dell'essere umani, non sarebbe tanto grande se non contenesse un'enorme dose di insicurezza. E perfino di democrazia, essendo una continua scelta fra opportunità. Non c'è libertà, senza incertezza. Né contribuisce la difficile convivenza fra la storica sovrastruttura dello Stato-nazione e la moderna globalizzazione, la quale ultima potrebbe vantare di somigliare maggiormente (essa estremamente grande) alle più vaste aspirazioni dell'uomo (esso estremamente piccolo), e tuttavia fallisce nel mutilare ogni gesto in quanto ridotto a mera espansione di una sola delle nostre affermazioni, ovvero quella strettamente economica. Ma soprattutto, con una domanda secca quanto la verità che contiene: scusate, ma perché mai dovremmo pensare, o quantomeno tendere con tanta intenzione, ad un rischio-zero? Ma quando mai in Natura è esistito questo concetto? In quale forma, per quali specie, in quale era... ? Qualunque scienziato darebbe l'ovvia risposta: mai, perché semplicemente esso non esiste. Anzi, esiste il suo contrario, dal quale se non erro è stato generato tutto ciò che ci circonda, noi compresi. La Natura è antitetica al concetto di rischio zero: perché dunque noi dovremmo fare tanti sforzi per tendere ad esso, sia come uomini sia come società? Perché ci siamo tuffati in questo paradosso dell'avversione al rischio, dell'angoscia per l'incerto, del danno potenziale, noi che non abbiamo mai conosciuto questo concetto? Un ultimo aspetto, poi, fa intimamente parte della struttura stessa della conoscenza: la crescita del Sapere è direttamente proporzionale a quella delle incertezze che crea. Più cose sappiamo, più inevitabilmente ci possiamo rendere conto di quante cose non sappiamo. E questa è la conquista più grande: ad ogni passo si svela un fallo. Se non lo accettiamo, significa che non abbiamo fatto ancora nemmeno il primo passo.
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