Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

L’Affaire Dreyfus e la Civilta’ Cattolica

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La disfatta dell’esercito francese nella guerra franco-prussiana del 1870/71 e la conseguente cessione dell’Alsazia e di parte della Lorena all’impero germanico, creò in Francia un profondo senso di sfiducia e di avvilimento, che defluirono sovente nel più becero complottismo antisemita.

In quel contesto va inquadrata la vicenda di Alfred Dreyfus, ufficiale d’artiglieria di origini alsaziane ed ebreo, ricco di famiglia e con una bella moglie. Il capro espiatorio era perfetto.

La vicenda, molto nota, è stata oggetto, nel tempo, di numerosissime trattazioni e dibattiti nonché rappresentazioni teatrali e cinematografiche tra cui il recente film di Polanski.1

In breve, Dreyfus fu ingiustamente accusato di spionaggio a favore della Germania, arrestato con divieto assoluto di comunicare anche con la famiglia, processato, condannato dal tribunale militare (22 dicembre 1894), degradato con infamia e deportato nella colonia penale dell’Isola del Diavolo, nella Guyana Francese.

L’opinione pubblica si divise in due fazioni contrapposte: i colpevolisti, che gridavano al complotto ebraico e gli innocentisti.

La vicenda travalicò ampiamente i confini nazionali. Vi furono tumulti a Vienna, Trieste, Budapest, Bruxelles, Napoli e Messina mentre Germania, USA, Austria e Inghilterra proposero di disertare l’imminente esposizione universale di Parigi.

 

Il 13 Gennaio 1898 Émile Zola, altro ebreo francese, ma di origini venete per parte di padre, pubblicava sul quotidiano L’Aurore di Parigi la famosa lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Felix Faure, dal titolo cubitale J’accuse.

La battaglia combattuta da Zola per due anni consecutivi contro militari e politici fu durissima, sino all’ultima, infuocata e temeraria lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Emile Loubet, pubblicata sull’Aurore del 22 dicembre 1900.2

La sua decisa presa di posizione gli costò sofferenze indicibili e una condanna per vilipendio alle forze armate, che lo vide costretto a riparare in Inghilterra.

Il 3 giugno 1899 la Corte di Cassazione annullò la sentenza di condanna a Dreyfus e il successivo 19 settembre il Presidente della Repubblica pronunziò la grazia.

Il 12 luglio 1906 la Corte di Cassazione emise il provvedimento di riabilitazione e il successivo giorno 13 Dreyfus fu reintegrato nell’esercito. Il calvario era durato dodici lunghissimi anni dei quali quattro di orribile segregazione alla Cayenna.

La Civiltà Cattolica, organo di stampa della Compagnia di Gesù, indiscusso punto di riferimento per tutto il mondo cattolico, in quegli anni si occupò ripetutamente dell’ebreo Alfredo Freyfus e dei “confratelli ebrei” che peroravano la sua innocenza, senza mai smentire la fama di antisemitismo che aveva caratterizzato quella testata sin dalle sue origini.3

La violenta campagna contro Dreyfus iniziò nel quadro delle esacerbanti accuse al “partito che sta al potere” e non poteva essere diversamente, vista la naturale inclinazione della Chiesa per i bonapartisti e l’avversione congenita per ogni forma di liberismo, soprattutto per la Repubblica Francese, risorta poco più di vent’anni prima dalle ceneri dell’impero e per “quegli energumeni della sinistra parlamentare”.

Contro “la dissoluzione putrefacente del liberalismo” e la “liberalesca civiltà”, nel suo delirio di onnipotenza, invocava “La inesorabile maledizione fulminata nella Bibbia contro gli apostati di Dio, che perirà chiunque, o popolo o individuo, da lui si separi …”

In un breve trafiletto del 1895 scritto a ridosso della condanna di Dreyfus, avvenuta nel precedente mese di dicembre, la rivista gesuita scriveva:

«Ora è un capitano di stato maggiore, il sig. Dreyfus, che è messo in prigione per sospetto, anzi per le prove luminosissime di tradimento, per aver palesato i segreti della difesa nazionale allo straniero. Codesto sig.  Dreyfus è un ebreo e per ciò protetto in modo specialissimo dà suoi correligionari, col favor dei quali scavalcando gli altri giunse al suo posto di fiducia».

A piè pagina la nota del redattore puntualizzava che «E’ già stato condannato all’ergastolo». 4

La campagna antisemita era partita. Dreyfus era l’ebreo colpevole di tradimento, protetto dai suoi correligionari e giunto alla carica di capitano mediante intrallazzi, passando sulla testa di altri, sicuramente più meritevoli.

Che bisogno c’era che la polizia segreta zarista, di là a pochi anni, inventasse i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion?”  I Gesuiti se la cavavano egregiamente anche senza di quelli.5

Da quel momento Dreyfus  divenne “l’ebreo Alfredo Dreyfus, il traditore”, ed Emile Zola “il pornografo Zola, il più immondo romanziere che abbia contaminata la Francia”, “quel corvo del malo augurio”, “il sudicio romanziere” e gli israeliti (quelli non aderenti al cattolicesimo, beninteso), secondo una lunga tradizione, i “discendenti della tribù di Giuda Iscariota”.

Per la verità Zola si trovava già in buona compagnia poiché altri illustri maestri della letteratura francese del XIX secolo quali Victor Hugo, Alexandre Dumas padre e figlio, Balzac, Flaubert, Stendhal, George Sand, Lamartine, avevano già ricevuto l’onore dell’iscrizione all’indice dei libri proibiti.

La Civiltà Cattolica dedicò alla vicenda Dreyfus molti spazi tra il 1895 e il 1904, nella corrispondenza proveniente dalla Francia, ma il primo articolo di fondo, dal titolo Il caso di Alfredo Dreyfus  comparve nel 1898, dopo che l’Aurore aveva pubblicato, il 14 di gennaio, la lettera di Zola al presidente Félix Faure.6

Nel solito stile delirante s’invocava la legittimità della sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Guerra, passata in giudicato da tre anni, contro “il traditore Dreyfus”, “capitano dell’esercito francese, addetto allo stato maggiore, di origine alsaziano, giudeo di razza e per di più, come si asseriva, pezzo grosso della Massoneria”.

Si poteva insinuare di peggio? Alsaziano e per sillogismo tedesco e traditore, di razza giudea e per di più massone!7

Dreyfus fu lo spunto ideale per un articolo che di fatto rilanciava, dalle colonne della Civiltà Cattolica, una violentissima campagna antisemita.

Gli ebrei al momento rappresentavano in Francia il 3 per mille della popolazione, 130.000 anime su una popolazione di 39 milioni «Ciò non ostante, questo pugno di giudei, tra pullulativi dentro e introdottivisi di fuori, vi si è sollevato ad una potenza che, cent’anni fa, si sarebbe detto sogno di pensarla. Sotto lo scudo dell’uguaglianza civile, di ogni cosa vi si è impadronito: del fôro, della stampa, del commercio, della banca, delle ferrovie, della cattedra, della letteratura, della scienza, della pubblica amministrazione, ed in gran parte del potere legislativo e persino dell’esercito … La Massoneria, signora dello Stato, dipende servilmente da essi; ed essi, per mezzo suo, hanno in mano la Repubblica, detta perciò ebraica più che francese».

Il trampolino delle leggi razziali era allestito e già s’intravedevano all’orizzonte gli orrori del XX secolo per “quel popolo maledetto” scacciato ben sette volte dai confini della Francia e «sette volte se li è riveduti tra i piedi; ed ogni volta sempre più tenaci, rapaci e voraci di prima, tanto che oggi ha le sue vive carni fra i loro artigli».

La rivista italiana La difesa della razza degli Anni ’30-‘40, diretta da Telesio Interlandi, ben sapeva dove attingere i soggetti per le sue vignette.

L’articolo suggeriva, conformemente alla linea consueta, «una legge fondamentale e concorde dei singoli Stati, che assimilasse i giudei ai forastieri e li volesse trattati da ospiti e non da cittadini».

Insomma una ghettizzazione in grande comportante la perdita dei diritti civili, sempre però nello stile dei tanti piccoli ghetti dell’ex Stato Pontificio e dei suoi satelliti.

La corrispondenza dalla Francia proseguì negli anni successivi sempre tra sberleffi e basse insinuazioni mascherate da notizie di cronaca, contro tutti i non allineati al gesuitico-pensiero.

L’oro degli ebrei, la loro pervicace perfidia, i subdoli raggiri, l’immondo romanziere Zola, furono espressioni fastidiose e ricorrenti.

Il processo di Rennes, avvenuto sempre a porte chiuse, decise, con verdetto del 9 settembre 1899, di confermare la precedente sentenza di condanna per Dreyfus, ma la pena, per circostanze attenuanti, fu ridotta a dieci anni di reclusione dei quali cinque già scontati, in gran parte alla Cayenna.

Il malcontento fu immenso e molte testate giornalistiche di tutta Europa ripresero con maggior vigore le accuse ai Gesuiti, alla Chiesa e allo stesso Papa di indebite interferenze nell’affaire Dreyfus. Capolista in Italia erano la Tribuna e il Don Chisciotte.

Per parare il colpo La Civiltà Cattolica pubblicò subito dopo un lungo articolo, sempre anonimo, dal titolo L’anticlericalismo e Dreyfus, in difesa soprattutto del “sapientissimo Pontefice e della Corte Romana”, con toni apparentemente più concilianti.8

L’ovvia conclusione è «che nulla la Chiesa nostra Madre, nulla la Santa Sede, nulla le discipline e le dottrine cattoliche, nulla l’educazione e lo spirito genuino del Cattolicesimo ebbero a spartire coll’andamento del malaugurato processo francese».

La notte del 13 settembre morì  Emile Zola e La Civiltà Cattolica nella cronaca dalla Francia, si deliziò nel descriverne i particolari del decesso mentre in un successivo, lunghissimo articolo dal titolo L’immoralità trionfante, scatenò le sue ire contro lo “scrittore di sporcizie per proposito deliberato e per mestiere”, “il maggior pornografo dei nostri tempi” dalla cui intera opera esalvaa “puzza di suburra”.9

L’articolista, sempre anonimo, colse l’opportunità di scagliarsi anche contro il povero Antonio Fogazzaro, che aveva avuto l’ardire di pubblicare sul Giornale d‘Italia un brano di lode per lo scrittore, e contro la stampa librale italiana.

«E all’apoteosi della Francia si unì l’apoteosi di parecchie altre nazioni, dell’Italia massimamente, rappresentata ufficiosamente dalla sua stampa liberale e ufficialmente dal suo Ministro per la Pubblica Istruzione.»10

L’organo di stampa gesuita pubblicò l’ultimo articolo sul caso Dreyfus, intitolato Waldeck Rousseau nel 1904.11

Lo spunto è offerto dalla “tragica fine” di Waldeck Rousseau, primo ministro in carica, reo di aver fatto riaprire il caso Dreyfus di cui lo scrittore, sempre anonimo, descrisse con voluttà il trapasso all’altro mondo.

«Egli impresse e condusse a riva il grande affare della reintegrazione dell’ebreo Dreyfus. Dall’isola del diavolo dove era stato confinato gli fece varcare i mari, facendolo arrivare in Francia, e ripresentare ad un nuovo consiglio di guerra; e non lo potendo forbire della macchia di tradimento, lo fece per grazia sovrana restituire alla libertà ed agli agi della vita cittadina».12

Ovviamente Dreyfus rimaneva sempre il traditore ebreo ma la principale colpa di Rousseau era quella di aver dichiarato, mediante una legge speciale di proscrizione delle congregazioni religiose, «guerra a tutte le monache, a tutti li frati, che si trovavano in tutte le città ed in tutte le campagne della Francia».

Al tempo i religiosi erano penetrati sin nei gangli più vitali dello Stato direttamente o mediante proxy, un termine che va oggi tanto di moda e, soprattutto, dominavano incontrastati nella formazione della gioventù francese.

Zola, nella lettera al senato pubblicata sull’Aurore del 29 maggio 1900, senza alcuna inibizione, aveva denunciato quella fortissima ingerenza ecclesiastica negli affari della Repubblica.

«Oggi è a tutti evidente che la Francia, l’ultima delle grandi nazioni cattoliche ancora in piedi e potente, è stata scelta dal cattolicesimo, o per meglio dire dal papismo, per restaurare il potere vacillante di Roma, ed ecco il motivo per cui c’è stata un’invasione in sordina, ecco perché i gesuiti, per non parlare degli altri che si sono fatti strumento religioso, si sono impossessati della gioventù con incomparabile destrezza; al punto che un bel mattino la Francia di Voltaire, la Francia che a tutt’oggi non è ancora ritornata ai preti, si è risvegliata clericale, in mano a un’amministrazione, a una magistratura e a uno Stato Maggiore che ricevono gli ordini da Roma.» 

La Civiltà Cattolica non riprese mai più il discorso su Dreyfus, che la Giustizia e il mondo intero oramai riconoscevano vittima della macchina militare, all’inizio probabilmente in buona fede, ma successivamente ripiegata su se stessa per proteggersi da scandali e malumori.

L’argomento, semplicemente, fu rimosso, nello stile dei Gesuiti, come fecero ancora più in là con le leggi razziali, che avevano sostenuto e difeso vigorosamente.13

La grazia concessa dal Presidente Émile Loubet calmò gli animi e consentì a Dreyfus di tornare alla vita normale.

Morì nel suo letto il 12 luglio 1935, ma la moglie dovette attraversare in clandestinità tutto il periodo dell’occupazione nazista.

 

L’ancestrale, cronico antisemitismo della Chiesa Romana ha radici teologiche molto profonde, che risalgono agli albori della sua esistenza.

Ancora oggi, nonostante le prove di dialogo, l’esistenza dello Stato di Israele e una Gerusalemme ebraica sono avvertiti dal Vaticano come una minaccia esistenziale.

Roma ha sostituito Gerusalemme, e la Chiesa Cattolica è subentrata al mondo ebraico nelle benedizioni celesti, quindi, non ha ragione di esistere né lo Stato di Israele, né una Gerusalemme ebraica.

In questa ottica va inquadrata la ribellione di quei vescovi cattolici che hanno chiesto a Israele l’abolizione della legge adottata dal Parlamento israeliano lo scorso il 19 luglio 2018, che definisce Israele “Stato-Nazione del popolo ebraico” e l’obbiettivo, per Gerusalemme, di uno “status garantito a livello internazionale” pervicacemente reclamato dal Vaticano.14

Sintomatico, poi, è il costante rifiuto del Papa e di tutta la piramide cattolica di nominare Israele per quello che è: lo Stato di Israele, designandolo mellifluamente come Terra Santa.

I tempi, quindi, non sono mutati. Viviamo sempre all’ombra di una Chiesa camaleontica nelle forme, al punto da arrivare a chiedere scusa per i misfatti del passato e di atteggiarsi addirittura a protettrice del mondo ebraico, ma granitica nella sostanza, che non ha mai rinnegato nessuna delle sue dottrine, passando per le blasfeme risoluzioni del Concilio di Trento, per il Sillabo di Pio IX e ghermendo lo Stato mediante gli accordi con Benito Mussolini, Craxi, la pesantissima intromissione nella scuola pubblica e avendo ben gioco su un popolo impaurito, superstizioso e quasi sempre governato da masnade di interessati opportunisti.

 

 

Note

1. L'ufficiale e la spia, film del 2019 diretto da Roman Polański.

2. E. Zola, La vérité en marche, Paris, 1901, ripreso da L’affaire Dreyfus, Giuntina, 2011, con prefazione di Roberto Saviano e in appendice la cronologia degli avvenimenti.

3. Tutti i numeri del La Civiltà Cattolica consultati, dal 1895 al 1907, sono scaricabili gratuitamente da Internet Archive.

4. La Civiltà Cattolica, anno 46°, vol. I della serie XVI, Roma, 1895, pag.109-110

5. La seconda edizione italiana, del 1938, anno delle leggi razziali, è preceduta da una introduzione di Julius Evola, contiene l’elenco di tutti i cognomi ebraici italiani e un’appendice di Giovanni Preziosi, volenteroso firmatario, oltre ai 10, del manifesto della razza.

6. La Civiltà Cattolica, anno 49°, vol. I della serie XVII, Roma, 1898, pag. 273 a 287

7. L’Alsazia non era più francese ma fagocitata dell’impero germanico dopo la guerra franco-prussiana del 1870/71)

8. La Civiltà Cattolica, anno 53°, vol. VIII della serie XVIII, Roma, 1902, pag. 129 a 141.

9.La Civiltà Cattolica, anno 53°, vol. VIII della serie XVIII, Roma, 1902, pag. 257 a 273.

10. Ministro della P.I. in quel momento era Nunzio Nasi del Governo Zanardelli.

11. La Civiltà Cattolica,  anno 55°, vol. 3, Roma, 1904, pag. 513 a 526.

12 Dalla nota a pag. 514 sembrerebbe trattarsi di Ilario Rinieri.

13.R. Taradat – B. Raggi, La segregazione amichevole. La Civiltà Cattolica e la questione ebraica 1850-1945, Editori Riuniti, Roma, 2000.

14. Gerusalemme città per tutti i popoli

 

 

 

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