Eleonora de Fonseca Pimentel, ricordandoti

Il I maggio a Castellammare di Stabia (1890 - 1948)

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Il I maggio, un giorno che non da oggi conosciamo come Festa dei Lavoratori, nasce in realtà come giornata di mobilitazione per la conquista delle otto ore lavorative in un tempo in cui si era costretti a lavorare almeno 12/14 ore effettive al giorno, con punte di sedici, per sei giorni consecutivi alla settimana.

Non di rado, anzi, spesso, si era obbligati a lavorare pure nel settimo, nella sacrosanta giornata dedicata al riposo, con l'intera mattinata della domenica impiegati nella manutenzione degli impianti, se non nelle tenute dei Proprietari, come braccianti o altro.

Erano tempi in cui i diritti degli operai erano prossimi allo zero e perfino scioperare era considerato un reato da una legge matrigna che riconosceva esclusivamente i diritti dei padroni.

Scioperi repressi con scariche di fucileria ad altezza d'uomo e spesso accompagnate da feroci cariche della polizia a cavallo.

A onor del vero ancora oggi in tante realtà produttive  non mancano padroni che obbligano i propri dipendenti a lavorare, ampiamente sottopagati, per dodici e più ore al giorno, basti pensare all'utilizzo dei braccianti extracomunitari nella valle padana, nel casertano o Puglia, giusto per indicare alcuni luoghi simbolo del riconosciuto e non represso sfruttamento.

Stesso trattamento nel commercio, in particolare nei bar, negozi e ristoranti, dove spesso e volentieri si lavora senza orario, nella migliore delle ipotesi in grigio. Termine terribile per indicare la condizione di chi viene assunto per mezza giornata, quasi sempre per meno di quattro ore  e lavorarne dodici. Il tempo per alcuni padroni schiavisti, si è fermato.

Bisogna attendere il 1833, in Inghilterra, patria della rivoluzione industriale, affinché una prima legge, largamente inapplicata,  limitasse a 12 ore il lavoro di chi aveva tra i diciotto e i tredici anni, e a 9  ore per i minori  di tredici.

Era ancora una enormità, ma tanto bastò per provocare un putiferio nel mondo industriale, facendo gridare alla Lesa Maestà.

Ai primordi della rivoluzione industriale e ancora alla vigilia della Grande Guerra, in molti paesi non si aveva scrupolo alcuno ad utilizzare bambini di cinque anni,  costretti per pochi centesimi a travagliare 14 infinite ore al giorno in luoghi totalmente insalubri e privi di qualsiasi misure di sicurezza sul lavoro. Fenomeno ancora presente in diverse realtà del mondo, in particolare nel Sudamerica.

Per chi si ribellava il licenziamento era immediato e senza prospettive per il futuro immediato.

Lascio immaginare lo spaventoso tasso di mortalità, nell'indifferenza assoluta delle istituzioni e della Chiesa.

L'operaio italiano di fronte al padrone non ha  forza e dignità di parte contraente. È un  morto di fame che l'imprenditore atteggiandosi a benefattore dell'umanità sofferente assume a lavoro per carità.

Essi disuniti, incoscienti, sono costretti a incrudelire gli uni contro gli altri per disputarsi un  tozzo di pane. Si fanno la concorrenza tra loro e si mangiano l'un l'altro offrendosi a lavoro senza pietà, senza limiti, senza condizioni.1

Ricordo brevemente che il primo tentativo di lanciare l'obiettivo delle otto ore fu fatto in Australia nel 1856, dedicando una giornata di lotta il 21 aprile di ogni anno, senza grande successo.

Un secondo tentativo ci fu, dieci anni dopo, negli Stati Uniti, durante un congresso sindacale tenutosi a Baltimora nel 1866. La data del primo maggio come giornata di mobilitazione prende corpo  nel novembre del 1884 quando il IV congresso dell'America Federation of Labor, svoltosi a Chicago votò la seguente risoluzione:

 

«Otto ore costituiranno la durata legale  della giornata di lavoro a partire dal 1° maggio 1886 e noi raccomandiamo alle organizzazioni sindacali di questo Paese di fare promulgare delle leggi conformi a questa risoluzione, a iniziare dalla data convenuta.»2

 

Così, in base alle decisioni assunte nel 1884, il 1° maggio 1886 fu indetto uno sciopero generale che vide la partecipazione di 340mila lavoratori delle maggiori città americane, provocando in numerosi luoghi  la violenta reazione della polizia. Questa non esitò a caricare i manifestanti di una fabbrica di Chicago, sparando ad altezza d'uomo, uccidendo sei persone e ferendone una cinquantina.

La manifestazione di protesta contro la  violenza inaudita della forza pubblica, con oltre 15mila partecipanti si svolse senza problemi, quando verso la sua conclusione fu esplosa una bomba nel punto in cui stazionavano alcuni reparti di polizia uccidendo due agenti.

A loro volta i poliziotti iniziarono a sparare contro la folla provocando numerosi feriti. L'indagine, a senso unico, portò all'arresto di otto anarchici, tutti dirigenti sindacali, con sette  condanne a morte, di cui quattro eseguite. Sei anni dopo ai tre superstiti, a seguito della revisione del processo, fu concessa la grazia.

Nel frattempo anche in alcuni paesi europei l'obiettivo delle otto ore veniva posto al centro delle rivendicazioni operaie, divenendo piattaforma di lotta nel corso del convegno convocato a Parigi dalle diverse organizzazioni socialiste e dal quale nacque la Seconda Internazionale nel luglio 1889, in occasione del centenario della presa della Bastiglia.

La I Internazionale socialista, sorta nel 1864, su iniziativa dello stesso Carlo Marx, si era sciolta nel 1876 per gli insuperabili problemi organizzativi e per il feroce scontro ideologico con anarchici e repubblicani.

Per l'Italia vi parteciparono Andrea Costa, Giuseppe Croce ed altri, nessuno del Mezzogiorno d'Italia a differenza di quanto era accaduto nel 1869 quando tra i partecipanti della Prima Internazionale troviamo il pugliese trapiantato a Napoli, Stefano Caporusso. 

Nell'ultima giornata dei lavori, il 20 luglio, fu deciso, in concomitanza con quanto già proclamato dai sindacati americani, di tenere il 1° maggio 1890 una grande manifestazione internazionale a sostegno della lotta per le otto ore, una giornata che doveva ripetersi ogni anno fino alla conquista di quel sacrosanto diritto alle cosiddette tre otto.

Nasceva in quel modo il 1° maggio, un giorno indimenticabile nella storia del Movimento Operaio di tutto il mondo, una giornata di lotta, di riflessione, ma troppo spesso bagnata del sangue proletario provocato dalle cariche feroci delle forze dell'ordine, lasciando quasi sempre sul terreno morti e feriti.

Basti ricordare gli 82 morti e 450 feriti di Milano del 1898, addirittura con la folla inerme presa a cannonate dal famigerato Generale, Fiorenzo Bava Beccaris, oppure  quella non meno efferata di  Portella della Ginestra in Sicilia nel 1947, con undici morti, la prima delle tante stragi proletarie compiute in epoca repubblicana e finanche il primo dei tanti oscuri delitti di Stato.

Appena tre anni dopo, nel 1950, seguirà l'eccidio proletario di Celano, in provincia dell'Aquila, ancora due braccianti morti e dodici feriti dal fuoco dei carabinieri.

E quando tutto andava bene non mancavano mai le provocazioni, i fermi di polizia, gli arresti sproporzionati e le condanne al carcere di militanti e dirigenti maggiormente esposti. 

Ma se questo poteva avere un senso, anche se non l'aveva, nella monarchica Italia dei Savoia, incomprensibili e ingiustificabili sono i braccianti e gli operai uccisi dalla polizia democratica dello Stato repubblicano nato dalla Resistenza:

complessivamente dal 1947 al 1954 ben 137 vittime innocenti sono caduti sotto il fuoco della polizia del famigerato ministro dell'Interno, Mario Scelba (1901 – 1991), un uomo vissuto assai carico di onori e di gloria e al quale vi è stato chi gli ha dedicato strade e vie, come per Bava beccaris.

Dal 1943 al 1978 i caduti diventano 460, ancora una volta operai, braccianti e militanti politici uccisi dalle forze dell'ordine. Si potrebbe continuare e dire che dal 1969 al 1984 si contano 11 stragi, 150 morti e 652 feriti, da Piazza Fontana del 1969  a  Bologna del 1980, quando a uccidere non sono più soltanto le forze dell'ordine  ma terroristi fascisti interessati a destabilizzare lo Stato democratico. Ma questa è un altra storia di cui non dobbiamo in questa occasione occuparci.

Napoli fu presente al suo primo appuntamento con la Storia, nonostante non avesse una classe operaia organizzata, tranne sparute Leghe proletarie e ristretti circoli repubblicani, socialisti e anarchici, poche centinaia di uomini impossibilitati ad incidere sul tessuto sociale ed economico, nonostante una tradizione antica di lotta risalente al 1869 con la nascita della prima sezione aderente alla Internazionale socialista.

Una seconda sezione si era avuta perfino nella più tranquilla e prudente Castellammare di Stabia con oltre 500 aderenti. Tutto spazzato via dalla repressione autoritaria dello Stato nel giro di pochi, terribili mesi. 

Naturalmente il primo maggio napoletano, come in tante altre località d'Italia e del mondo finì con arresti e feriti di operai, braccianti e studenti travolti dalle cariche poliziesche.

Una statistica industriale del 1888 contava, a livello provinciale, un totale di 49.592 addetti nell'industria, di cui poco meno di 30mila erano occupati nel solo capoluogo partenopeo.

Con Napoli, a competere sul piano industriale vi erano pochissime altre realtà, tra cui il piccolo triangolo industriale composto da Castellammare di Stabia, Torre Annunziata e Gragnano che spiccava per i suoi cento pastifici, di cui alcuni risalivano alla fine del 1700.

 

Castellammare di Stabia e la Festa del I maggio. 1891 - 1948

 

Castellammare, come le altre due cittadine del Circondario, inutile dirlo, fu assente al primo tentativo di manifestare per i propri diritti.

Le uniche associazioni operaie presenti erano Società di Mutuo Soccorso completamente asservite al padronato, se non create  appositamente per tenere a freno i propri dipendenti e controllarli elargendo denaro per i vari scopi mutualistici, quali malattia, infortuni, funerali e poco altro.

Non a caso un anonimo cronista del giornale locale, Stabia, probabilmente lo stesso direttore, Federico Ciampitti, poteva scrivere sul suo bisettimanale, nel numero 28 del 3-4 maggio 1890:

 

«Il primo maggio fra noi è passato oltremodo tranquillo senza neppure un’ombra di tumulto od apprensione, grazie alla docilità di questi operai, i quali non pensano che a farsi onore con assiduo e diligente lavoro, specie quelli del Regio Cantiere.»

 

Ci provò nel 1891 uno sparuto gruppo, probabilmente aderenti al Circolo repubblicano della Gioventù democratica, Mauro Macchi, limitandosi ad attaccare manifesti sui muri della città e delle fabbriche, invitando i lavoratori ad organizzarsi e a manifestare in quel giorno dedicato ad una primaria conquista di civiltà.

Di questi primi eroi la storia ci ha lasciato il nome di Franco Rodoero (1875 – 1965), all'epoca dei fatti appena sedicenne e Catello De Crescenzo, poco più grande.

Di questo nucleo  facevano parte altri due giovanissimi protagonisti del socialismo stabiese, Catello Langella e Raffaele Gaeta, all'epoca ancora repubblicani. Infatti li troviamo tra i soci del nuovo circolo mazziniano, Aurelio Saffi, sorto nei primi mesi del 1892 subentrando a quello vecchio della Gioventù democratica, perentoriamente chiuso dalle autorità.3

Nell'imminenza della nuova festa del lavoro Castellammare volle ancora una volta esserci, se non scendendo in piazza, riuscendo almeno a distribuire un opuscolo con scritte inneggianti alla Festa dei Lavoratori. 

Tra i protagonisti della pubblicazione del numero unico curato dal nucleo repubblicano  in occasione del 1° maggio 1892, troviamo  i  due stabiesi, Catello Langella (1871 - 1947) e Raffaele Gaeta (1961 – 1944). Con loro un avvocato di San Giuseppe Vesuviano, Angelo D’Ambrosio (1851 - 1911),  vecchio repubblicano della prima ora, passato infine al socialismo.

Ancora una volta la giornata trascorse nella più assoluta tranquillità, forse perché era domenica, ma più concretamente per l’assenza di un qualsiasi movimento in grado di scuotere dal proprio torpore una classe operaia sostanzialmente apolitica, fedele alla monarchia e all’ordine costituzionale.

In mancanza di meglio, quindi, i militanti del circolo repubblicano ritennero sufficiente festeggiare la memoranda data riunendosi nella loro sede e brindando alla salute degli operai, mentre un tempo piovoso chiudeva la giornata.4

Non sappiamo cosa scrissero nell'occasione i baldi rivoluzionari stabiesi, ma poiché nessuno dei due brillava per temerarietà, sicuramente non corsero pericolo alcuno. È pur vero che in quei tempi difficili bastava assai poco per ritrovarsi segnalati, schedati e sorvegliati dalla polizia politica, cosa puntualmente accaduta ai due protagonisti dal 1898, quando decisero di passare il guado e diventare pericolosamente socialisti, seppure moderati.

Vediamo, con un piccolo esempio tratto dall'Avanti!, cosa volesse dire vendere un giornale socialista nel 1898:

 

«(…) Ora dobbiamo raccomandare al maresciallo dei carabinieri di finirla coll'imporre ai giornalai di non annunziare l'Avanti! E ciò sotto pena di arresto! Inoltre non sappiamo perché i giornalai medesimi debbono essere sorvegliati dai carabinieri all'uscita delle maestranze. Queste misure poliziesche odiose, fanno poco onore a quel maresciallo, il quale, come affermò a diverse persone in Pretura, in occasione della causa contro Lubrano, vanta  due fratelli socialisti.»5       

                  

Episodi simili si rividero al tempo del fascismo, e potevano avere una loro logica al tempo di una dittatura, ma inspiegabili le intimidazioni nei confronti di chi diffondeva l'Unità, l'organo del Partito Comunista Italiano fondato da Antonio Gramsci nel 1924, all'indomani della liberazione dal nazifascismo, tra il 1944 e il 1949 ed oltre.

Trascorrono alcuni anni di quiete assoluta, immaginiamo che le giornate del primo maggio siano trascorse, come capitava un poco dappertutto, festeggiando nelle osterie cittadine con una bicchierata e innocui canti rivoluzionari.

Naturalmente guardati a vista da solerti gendarmi, pronti ad  annotare, non sappiamo con quale puntualità, nomi e discorsi da riferire al sottoprefetto.

Tutto questo fino al 1898, quando un gruppo radicale di repubblicani aveva nel frattempo lasciato l'antico circolo per fondare nel 1897 un nuovo nucleo socialista, un Circolo di Studi Sociali dietro cui si nascondeva l'embrione della prima sezione socialista.

A capo del gruppo rivoluzionario vi era,  ancora una volta, come largamente anticipato, il nostro Catello Langella, già corrispondente locale del quotidiano socialista, Avanti!

Al suo fianco pochi compagni, tra cui Nicola Scognamiglio, Luigi Fusco, Vincenzo De Rosa, Salvatore Formicola e lo stesso, seppure ancora titubante, avvocato Raffaele Gaeta.

Per non essere di parte ci serviremo di una cronaca de Il Mattino per descrivere cosa accadde in quel 1° maggio 1898 a Castellammare di Stabia:

 

«Se nuovi agenti di forza pubblica ed una compagnia del Regio Esercito non avessero onorato di una loro visita la nostra città, il 1° maggio a Castellammare sarebbe passato inosservato, anzi la giornata di ieri sarebbe stata da meno di altre domeniche. E quanto mai ci sono state dimostrazioni ostili alle istituzioni tra noi? Se togli qualche baccano senza la benché minima conseguenza triste in caso d’elezione politica, la storia di Castellammare non sa registrare altro.

Ieri in Piazza Municipio non c’erano che i soliti piccoli crocchi d’operai nei vestiti di festa e diversi cenciosi con le scodelle sotto il braccio aspettando la razione della cucina gratuita.

Ai funzionari di servizio sembrò pericoloso tale assembramento e cominciarono a far sgombrare, a quelli che aspettavano la zuppa non piacque tale disposizione e levando in aria le scodelle, protestarono vivamente; uno scugnizzo gridando “rumpimme o caccaviello”, tirò un sasso, il caccaviello cadde in pezzi, tutti risero, gli scugnizzi fecero capriole e la scena tragico comica si chiuse con i regolamentari tre squilli di tromba e con la marcia in avanti della compagnia di soldati con le baionette in canna. Per un caccaviello!

Oltre questo grave incidente non c’è stato altro. Vedemmo diverse volte per la via l’egregio Sottoprefetto, cav. Taranto con l’infaticabile segretario, avv. Ortona, sorvegliare l’ordine pubblico;6

vedemmo i delegati di P.S. irrequieti correre di qua e di là prevenire qualsiasi assembramento in più di una persona sola e ci congratulammo con loro per la preveggenza e per i modi cortesissimi usati, ma non possiamo fare a meno di dire che ci fu somma esagerazione.

La Giunta municipale ha stabilito una rivendita di pane di grano a 30 centesimi, comprando questo pane dai panettieri a 38 centesimi. E a che porta questo provvedimento? Può durare? Il bilancio comunale, che sebbene non ancora formato pur crediamo esausto, aggravato di oltre 7 o 8 mila lire, i panettieri faranno i loro comodi e fra pochi mesi un’altra voce daziaria si farà sentire pel pareggio. E’ l’impianto del grande panificio che bisogna studiare.»7

 

Se i fatti fossero andati così come li ha ricostruiti l'ineffabile cronista del Mattino non si spiega come mai, pochi giorni dopo, il gruppo socialista stabiese fu arrestato e condannato a sei mesi  di carcere, tranne Langella che in quanto leader riconosciuto fu punito con un anno da scontare, come gli altri, nel penitenziario di Pozzuoli.

A uscirne indenne fu il solo Gaeta, probabilmente non ancora coinvolto a pieno titolo nella nascente organizzazione socialista, mentre Franco Rodoero si diede latitante provando a fuggire in Francia, ma fermatosi a Genova vi trovò rifugio in attesa dell'amnistia.

Forti manifestazioni con tumulti e feriti vi furono a Gragnano e nella vicina Torre Annunziata, oltre che nel capoluogo campano e dappertutto ci furono arresti e condanne, con la chiusura di tutti i circoli socialisti e repubblicani, della stampa di sinistra e delle prime Camere del Lavoro, soppresse quando ancora erano ai loro primi vagiti. In tutta la Campania esisteva soltanto quella di Napoli, sorta nel 1894, e subito caduta sotto il controllo della questura, al punto da non subire l'onta della chiusura.

Forgiata da questa dura prova la giovane generazione di socialisti stabiesi si ricompose fondando la prima sezione socialista il 19 luglio 1900, vincendo le elezioni amministrative nel 1906, riuscendo a costruire il primo centro sinistra a Castellammare con Raffaele Gaeta assessore, fino a edificare la Camera Confederale del Lavoro nell'ottobre 1907 con Catello Langella Segretario.

Ma non è di questo che dobbiamo scrivere, velocemente quindi andiamo al primo maggio del 1910 quando una nuova generazione di socialisti si è fatta avanti sotto la saggia guida di Raffaele Gaeta, mentre l'altro leader dal 1907 si è trasferito in Australia, dove vive una delle sue sorelle.

Seguiamo la manifestazione tramite un articolo dell'Avanti!:

 

«Al corteo hanno partecipato le organizzazioni politiche ed economiche di Castellammare di Stabia, Torre Annunziata e Gragnano. Il comizio che è riuscito affollatissimo si è tenuto nei giardini pubblici dove hanno parlato, inneggiando al suffragio universale, l'avvocato Angelo D'Ambrosio, l'avvocato Gino Alfani per la Camera del Lavoro di Torre Annunziata, l'avvocato Cirillo per la sezione repubblicana e il sindacalista Fiore per il gruppo autonomo di Napoli.  (…) Nelle ore antimeridiane a Gragnano si è tenuto un imponente comizio e corteo. Hanno parlato l'avvocato D'Ambrosio e De Siena, sindacalista di Napoli.»8

 

La Propaganda, organo dei socialisti napoletani ci offre una diversa visione, seguiamola:

                  

«Alle ore 16,40, in corteo (da Gragnano, dove in mattinata si era tenuta la stessa manifestazione. Ndr) si andò a Castellammare dove già ci aspettavano le organizzazioni di Torre Annunziata e comuni limitrofi, un corteo imponente, partendo dalla Ferrovia e preceduti da musica, girò la rocca clerico borbonica. Nella villa fu tenuto un imponente comizio. Presiedeva l'avvocato (Gino) Alfani, il quale dette la parola al Segretario della Camera del Lavoro di Gragnano, Luigi Perillo, che portò il saluto degli operai di Gragnano. Il discorso fu interrotto molte volte dal commissario di servizio, mentre la folla plaudiva freneticamente per le parole franche e leali dette da Perillo; indi parlarono Fiore, D'Ambrosio ed Alfani applauditissimi.»9

        

Nel 1911 la manifestazione fu anticipata a domenica  30 aprile. A tenere nella città stabiese i discorsi in occasione della festa del lavoro vennero Romolo Caggese e il Segretario della Borsa del Lavoro di Napoli, Oreste Gentile, un ex pastore protestante, ex anarchico ed ex orefice, noto massone e forte sostenitore dei blocchi elettorali con i partiti affini (repubblicani e radicali).

Nell'occasione si inaugurava pure il nuovo vessillo della risorta Camera del Lavoro, rifondata nel 1910 con alla guida Catello D'Auria, presto sostituito da  Alfonso D'Orsi, entrambi meno che ventenni.10

Dopo il comizio, tenuto al teatro Savoia, gli operai stabiesi – un corteo interminabile al quale presero parte 19 bandiere”– con alla testa i due leaders socialisti napoletani, attraversarono le vie della città.

In Piazza Orologio furono accolti dalle grida ostili dei giovani cattolici abbarbicati sul balcone della sede del circolo, G. Dèhcon. La situazione stava quasi degenerando in una rissa, non riuscendo i giovani socialisti a trattenersi dal reagire, tali e tanti furono gli insulti piovuti loro addosso.

I più anziani dovettero faticare non poco per calmare l’irruenza giovanile dei loro compagni, sapendo come bastasse poco per provocare la reazione della pubblica sicurezza al loro seguito. Indifferenti alle provocazioni dei cattolici contro il corteo, le forze dell’ordine presenti, pubblica sicurezza e carabinieri, erano invece, normalmente, sempre solleciti quando si trattava di sciogliere comizi e manifestazioni operaie.

Erano tempi quelli in cui la legge era chiaramente al servizio non dei cittadini ma del potere dominante. In particolare le forze dell’ordine, e non solo l’esercito, erano addestrate in difesa della proprietà, nella palese funzione anti operaia.

Per questo facilmente dimenticavano, anzi, trovavano inopportuno intervenire quando in qualche modo erano chiamati a difendere pacifici corteo di lavoratori.11

Non meno imponente fu il corteo del 1° maggio 1912, con la sua banda musicale che suonava l’Inno dei lavoratori e quello di Garibaldi, mentre attraversava le vie della città, con il comizio finale del Segretario della Borsa del Lavoro, Oreste Gentile e degli altri oratori, inorgogliendo i socialisti stabiesi, illudendosi di essere finalmente riusciti a mettere in piedi un movimento operaio vero, in grado di affrontare le lotte politiche e sociali.

Forse pensarono che la rinata Camera del Lavoro potesse essere finalmente un’istituzione riconosciuta, in grado di imporre la sua volontà, così come già accadeva da anni nella vicina Torre Annunziata.

E quel folto pubblico così indignato contro le provocazioni venute da un gruppetto di nazionalisti, ubriachi di quel nuovo vento di destra, provocato dal contagio imperialistico evocato dal sognante maschio futurismo di Filippo Tommaso Marinetti (1876 – 1944), venuti improvvisamente a far tacitare con le loro urla l’oratore, al grido di «Viva Tripoli! Viva il Re!» non aveva forse qualcosa della grande epopea operaia?12

Intanto l’oratore, dal palco della Cassa Armonica, parlava con veemenza contro la guerra di Libia, contro i preti pronti a benedire la nuova guerra santa, contro i danni provocati da quel conflitto, inveendo contro quanti avevano salutato quella spedizione pensando ad una semplice passeggiata militare, senza colpo ferire – Ah quest’onnipresente mito della guerra lampo! - e già costato almeno 800 morti in quei primi sette mesi, inchiodando i nostri soldati in quella terra straniera chissà per quanto tempo ancora. 

Tutto questo non era forse il segno di una maturazione del popolo stabiese, sempre così indifferente alla politica in passato? E anche quella rissa improvvisa per allontanare i disturbatori, quel gruppetto di nazionalisti guerrafondai, primi prodromi di un fascismo portatore di tanti lutti e responsabile del fratricida bagno di sangue, non indicava che finalmente la politica, quella vera cominciava ad appassionare la classe operaia, rendendola sensibile alle questioni sociali? E poi quell’intervento brutale dei poliziotti, sempre pronti a sciogliere comizi indetti dai socialisti, anche quello dava il senso del momento importante che si andava vivendo. Ma non era così.13

Le cronache del 1914 raccontano che a tenere il comizio del 1° maggio 1914 fu il giovane professore stabiese, Catello Marano (1884 - 1971) coadiuvato dal professor Giovanni Sanna e dall'avvocato Petti.

Marano si era candidato senza fortuna nelle amministrative del 1910 e uguale sorta ebbe nelle successive elezioni provinciali del 1914.

Dopo il primo conflitto mondiale diventerà, seguendo le orme di tanti ex socialisti, un ardente nazionalista. In verità lo stesso Avanti, da notizia, qualche giorno dopo, che a tenere il comizio furono Nicola Fiore e Gerardo Turi. Probabilmente gli ultimi due vennero in sostituzione di Sanna e Petti. Ovviamente fu un grande comizio.

Poche notizie sul primo maggio 1917, dove è certo che nonostante la guerra e la partenza di quasi tutti i militanti socialisti, il comizio si tenne nel pomeriggio. A parlare per il partito un tale Roia e, probabilmente, anche il giovane Antonio Cecchi, ormai affermato dirigente regionale della Federazione giovanile. Gli stessi, con Gino Alfani, avevano tenuto in mattinata il consueto, partecipato comizio presso la Camera del Lavoro  di Torre Annunziata.

Dopo questa breve carrellata viaggiamo direttamente all'indomani del primo conflitto mondiale -  seppure non mancarono comizi e manifestazioni, pur in tono minore durante il periodo bellico -  quando con il ritorno dei militari dai fronti di guerra fu possibile nuovamente organizzare le manifestazioni del primo maggio, e Castellammare non poteva iniziare nel modo migliore.

Nei primi giorni di aprile era stato congedato, tra gli altri, Antonio Cecchi, impetuoso socialista di sinistra, rivoluzionario di professione e amico di Bordiga, con il quale da tempo si programmava la costituzione del Partito Comunista. Ricostituita la Camera Confederale del Lavoro, si tuffò nella preparazione della Festa dei Lavoratori portando ad  una mobilitazione popolare senza precedenti, riuscendo, per la prima volta, a coinvolgere l’intero mondo della scuola con una partecipazione di massa degli studenti.

Nel tentativo di boicottare la festa la direzione del Regio Cantiere impose ai suoi dipendenti di lavorare anche quel giorno, ma nel cantiere si presentarono soltanto 500 su 3mila. Il  comizio si tenne in Piazza Orologio e oratori furono lo stesso Cecchi, nella sua nuova veste di Segretario Generale della Camera del Lavoro e  Pietro Carrese in nome del Partito Socialista.14

Tra i primi atti del  regime fascista, come è noto, ci fu l'abolizione del primo maggio sostituita dalla Festa del lavoro del 21 aprile, coincidente con il Natale di Roma, ciononostante Castellammare non si piegò supinamente, senza difendersi, utilizzando tutti gli strumenti disponibili per far sentire la propria voce, protestando, manifestando, ribellandosi, non a caso il 1° maggio 1924 centinaia di operai uscirono dalle fabbriche, riunendosi in corteo, decisi a festeggiare la Festa del Lavoro, pur sapendo che percorso qualche via del paese sarebbero stati affrontati da nuclei fascisti, provocando inevitabilmente degli incidenti.15 

Il primo maggio 1926 passò con  un gruppo di militanti comunisti che stamparono clandestinamente dei volantini per diffonderli fuori delle fabbriche, facendo un passo indietro di quasi trentacinque anni, a quel mitico 1891 quando ci fu il primo timido tentativo di manifestare a favore della Festa dei Lavoratori.

Ma stavolta il gesto costò caro a Federico D’Aniello, ammogliato con sei figli, operaio dei Cantieri metallurgici, perché a seguito di una perquisizione fu trovato in possesso di alcuni manifestini. Successive indagini portarono all’arresto degli altri distributori della cellula comunista guidata da Luigi Di Martino. Gli altri arrestati furono Enrico Giuseppe D’Aniello, Carmine Menduto e Vincenzo Ruocco.

A Castellammare, come nel resto d'Italia la persecuzione colpiva inesorabilmente i lavoratori delle fabbriche simbolo della resistenza operaia, dai cantieri navali ai Cantieri metallurgici, con continue ispezioni negli stipetti degli spogliatoi, alla continua ricerca di documenti compromettenti.

Nel Regio Cantiere i controlli erano effettuati con particolare accanimento da un maresciallo della benemerita, un tenente della Marina e un capo tecnico.

Controlli e perquisizioni che diventavano frenetici e isterici alla vigilia di eventi di un certo rilievo come la soppressa festività del 1° maggio. A quel punto non bastava perquisire gli armadietti negli spogliatoi, ma si arrivava a far spogliare gli operai su cui si puntavano i maggiori sospetti. Ma tutto si rivelava inutile, così anche in quel 1926 la Festa del Lavoro fu salutata da, una ventina di fragorosissime bombe carta, per ricordare a tutti l’importanza di quella giornata per la classe operaia e il suo movimento sindacale e politico.16

Un nuovo salto temporale ci porta alla fine del regime fascista, al ritorno delle libertà democratiche, alla nascita della Repubblica nata dalla Resistenza e alle ritrovate Feste del Lavoratori.

A Castellammare ci provarono da subito, nel 1944 con la città occupata dagli anglo americani, ma finalmente libera dal regime fascista e  dall'oppressore nazista. Ancora una volta ci viene in aiuto un edizione meridionale dell'Avanti! da pochi mesi tornata in edicola, il cui direttore era lo stabiese Nino Gaeta, figlio di quel Raffaele incontrato tra la fine dell'800 e  i primi anni del '900:

Nello spiazzale prospiciente la stazione della Circumvesuviana si è improvvisato un comizio di lavoratori ai quali il compagno Costantino Sciucca ha portato il saluto della Confederazione Generale dei Lavoratori.

Il compagno (Giuseppe) Benvenuto ha quindi portato il saluto del Psi al proletariato di Castellammare. Per il Pci ha parlato il compagno Valenzi. Alla fine del comizio i lavoratori, bandiere rosse in testa, hanno percorso in corteo le vie della città.17

Più articolate e meglio organizzate  furono le successive manifestazioni, non a caso il 7 aprile 1946 segnò la vittoria nelle elezioni amministrative del Fronte Popolare con il comunista Pasquale Cecchi eletto sindaco di una giunta socialcomunista. Ne segnaliamo qualcuna a caso, magari quella del 1948, quando dopo la pesante sconfitta alle elezioni politiche del 18 aprile, la rossa Castellammare si consolò con  un lungo corteo che percorse le principali vie della città accompagnato dal fuoco dei mortaretti in segno di festa, per concludersi in villa comunale di fronte alla Camera del Lavoro, dove prese la parola Raffaele Signorelli, Vice segretario provinciale della Fiom e futuro segretario della stessa Camera del Lavoro di Castellammare fra il 1950 e il 1954. La serata sarebbe continuata nei giardini comunali tra corse nel sacco e spettacoli di varietà con attori popolari come Vera Nandi, Fregolini ed altri.18

 

Prime parziali conclusioni

 

Fino agli anni Settanta, inizio Ottanta, la Festa dei Lavoratori è rimasta sostanzialmente una giornata partecipata da parte della classe operaia, poi lentamente qualcosa è cominciato a cambiare, lentamente.

I processi di deindustrializzazione che hanno investito il nostro Paese, a partire dallo smantellamento dell'industria di Stato,  la fine dei partiti storici, il consumismo sfrenato indotto dalle pubblicità sempre più invasive dei programmi televisivi moltiplicati dal proliferare dei canali privati, hanno condizionato non poco  usi, costumi, abitudini che in qualche modo, seppure apparentemente, hanno uniformato le diverse classi sociali, quasi mai in meglio.

La scoperta della vacanze di massa, i fine settimana  da trascorrere nella seconda casa, non più privilegio di pochi, o nelle città di mare, la facilità nel raggiungere le celebri città d'arte, da Roma, a Firenze, fino a Venezia, da visitare senza guardarle, insomma la società contemporanea è cambiata profondamente portando inevitabilmente alla fine di vecchi rituali, alcuni diventati addirittura sconosciuti ai figli nati nel XXI secolo.

Non casualmente sono sempre meno i giovani in grado di poter spiegare l'origine di alcune feste quali il 25 aprile, il 1° maggio e perfino l'importanza del 2 giugno.

Colpa di una scuola che ha abbandonato la storia come materia di studio, di istituzioni insofferenti alle origini della Repubblica, di una classe politica sempre più intollerante alle ragioni e al significato della nostra originaria Costituzione, secondo alcuni la più bella del mondo. 

Non secondario la stessa lenta trasformazione delle organizzazioni sindacali, sempre meno rappresentative dei reali interessi dei lavoratori, portando alla disillusione di molti, all'allontanamento da strutture burocratizzate, centralizzate, a loro volta elitarie al punto da impedire un effettivo ricambio generazionale, sempre più chiuse in sé stesse,  sempre più lontane dai luoghi di lavoro, dal territorio, rinchiuse  nelle loro sedi, come torri d'avorio.

Perfino la Cgil e la stessa Fiom, seppure più tardi, con maggiore sofferenza, tra mille convulsioni hanno cessato di essere luoghi di partecipazione collettiva, di discussioni, di decisioni da parte della base, sempre più luogo di comunicazioni di decisioni già prese al vertice.

Non casualmente la maggior parte dei diritti conquistati negli anni Sessanta e Settanta sono andati irrimediabilmente perduti. Da tempo immemorabile si contano i passi all'indietro giustificati dalla competitività sfrenata, della necessaria produttività e dai processi di globalizzazione.

Simbolo dell'inerzia sindacale, del suo voltapellismo la scomparsa dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, legge del 1970 che tanta fatica era costata al Movimento Operaio, con ore di di sciopero, manifestazioni e licenziamenti di militanti.

Il lavoratore non è più il centro dell'interesse del sindacato, ma il lavoro di per sé, la necessità di salvaguardare il profitto a discapito della salute.

Lo slogan del padronato secondo il quale i profitti vanno privatizzati e le perdite socializzate, fatto proprio anche dai sindacati, hanno rappresentato la loro fine.

La fine della Festa dei Lavoratori così come l'abbiamo conosciuta nei primi cento anni. Non a caso, proprio nel 1990 nacque l'ormai celeberrimo concertone di Piazza San Giovanni a Roma, più che altro partecipata festa dei giovani.

Sarà, come si è detto, che i tempi sono cambiati. In peggio. Non vi è più la passione di una volta, la voglia di scendere in piazza, di rivendicare nuovi diritti attraverso la mobilitazione popolare.

Lo sdegno non ci appartiene più, cosicché grandi scioperi, le manifestazioni oceaniche di carattere politico sindacale diventano uno sbiadito ricordo.

Non da oggi il primo maggio  è diventata l'occasione per fuggire dallo stress del lavoro, dallo smog della città, insomma una giornata di riposo, di rilassamento mentale, magari, se il cielo è blu e il sole è caldo, una buona occasione per andare al mare. Restano poche grandi manifestazioni provinciali nelle principali città e il concerto musicale a Roma con la partecipazione di artisti di fama nazionale e internazionale ad allietare i giovani e sempre meno anta dai capelli ingrigiti, magari qualcuno ancora nostalgico di quella che fu e difficilmente tornerà ad essere.

Per inciso le otto ore furono conquistate dai metalmeccanici  con l'accordo di Milano del 20 febbraio 1919, imponendo le 48 ore settimanali, oltre alla nascita delle Commissioni Interne. Bisognerà poi aspettare il 1975 per ottenere le 40 ore settimanali, grazie alle lotte iniziate nel decennio precedente.

Il prossimo obiettivo sono le 35 ore, puntando rapidamente alle 30, forse complice la grande crisi economica causata dal corona virus con il crollo del prodotto interno lordo a meno nove per cento entro l'anno e il sicuro aumento della disoccupazione, il cosiddetto esercito di riserva di lavoratori, di marxiana memoria, sempre tanto amato da industriali e latifondisti, e nello stesso tempo temuto per le pericolose tensioni che ne derivano.

Un celebre economista americano, puntando sulla rapida rivoluzione tecnologica e informatica, aveva previsto la necessità di arrivare alle 24 ore settimanali entro il 2020: un’ utopia.19

Se i padroni lo permetteranno, se lo Stato si farà carico dei costi aggiuntivi, si potrebbe tranquillamente arrivare da subito alle 35 ore, per poi approdare alle 30.

In fondo la rivoluzione industriale iniziò con una settimana lavorativa di 70 e più ore, salari a livello di sussistenza e un ambiente di lavoro inesistente.

La seconda ci portò gradualmente prima a 48 e poi a  40. Si potrà ben arrivare ad una settimana di quattro giorni lavorativi di 24 ore con la Terza Rivoluzione già in atto da almeno un ventennio.

Sarà necessario costruire un nuovo 1° maggio? Se. Forse. Volendo. Chissà!

 

 

 

 

Postfazione del redattore

Questa ricerca è da considerarsi soltanto un primo approccio, un lavoro appena abbozzato, utilizzando note, appunti, bozze e stralci rubati alle numerose ricerche effettuate dal sottoscritto negli anni, un puzzle composto alla meno peggio, ma sentivo la necessità di pubblicare qualcosa sulla Festa del I maggio, di dare un senso, al tempo del corona virus, a questa giornata un tempo così importante e ormai declassata a semplice giorno di riposo, da trascorrere, in questi tempi cupi di pandemia da covid 19, chiusi in casa, magari ad ascoltare musica, ovviamente rigorosamente leggera, scacciapensieri.

Così ho deciso di trascorrere questi ultimi giorni di clausura forzata, prima della grande uscita in libertà vigilata del 4 maggio,  a mettere insieme i numerosi primi maggio vissuti in una Città ex industriale, antica roccaforte rossa al punto da essere definita la Stalingrado del sud.

Dai primordi al 1948. Ho provato poi a chiudere questa breve panoramica con delle riflessioni a caldo, probabilmente non bene ponderate.

Ho deciso di lasciarle così, in attesa di una seconda, magari terza stesura che il tempo, la voglia e lo studio mi consentiranno di meglio definire. Perciò chiedo venia delle eventuali, seppure improbabili, inesattezze, imprecisioni e perfino di alcuni acidi commenti ai quali mi sono dedicato in chiusura.

In realtà la ricerca che presento è già una seconda versione rispetto a quella pubblicata il 1° maggio appena trascorso su altri portali web, una versione, ora rivista, corretta e ampliata.

Potrei dire che è qualcosa di completamente diverso pur rimanendo identica la precarietà del lavoro nel suo insieme. Lascio ai lettori del Nuovo Monitore Napoletano decidere se ne è valsa la pena.

 

Note

1. S.Merli, Proletariato di fabbrica e capitalismo industriale, La Nuova Italia, 1972, p.149.

2. R. Zangheri (a cura di), Storia del primo maggio, AIEP Editore, 1994.

3. Il Circolo repubblicano denominato, Gioventù Democratica Stabiese, intitolato a Mauro Macchi, era sorto intorno al 1888 e vi faceva parte un nucleo di giovani composto da Catello Langella, Gaetano Forni, Michele D'Auria, Errico D'Angelo e Ciro Cotticelli.

4. Il Mattino, Varie, firmato Veritas, 4 maggio 1892.

5. Avanti!, Castellammare di Stabia, firmato Spartaco, 1 maggio 1898. Era questo uno dei pseudonimi con i quali si firmava il giovane Catello Langella, corrispondente locale del quotidiano socialista.

6. Per una completa ricostruzione degli eventi legati al 1° maggio 1898 nella città stabiese, cfr. R. Scala, Catello Langella, alle origini del socialismo e della Camera del Lavoro a Castellammare di Stabia, in «Studi Stabiani in memoria di Catello Salvati», Miscellanea a cura di G. D'Angelo, A. Di Vuolo e A. Ferrara, Nicola Longobardi Editore, 2002, Napoli,  pp. 155 – 230.

7. Il Mattino, Echi del primo maggio in provincia. L’agitazione pel prezzo del pane, firmato Kerecardia, 3 maggio 1898.

8. Cfr. Avanti!, A Castellammare di Stabia, articolo di Ignazio Esposito, 3 maggio 1910

9. La Propaganda, Organo regionale socialista, n. 88 del 7/8 maggio 1910: Da Gragnano, articolo firmato da Goliardo.

10. Cfr. R. Scala, 1907-2017. Centodieci anni di sindacato a Castellammare di Stabia. Le origini, in «Cultura&Società», anno VII, n. 7/11, 2013/2017, pp. 149-171

11. La Propaganda n° 921, L’inaugurazione del vessillo della Camera del Lavoro” articolo di Alfonso D’Orsi, 6 maggio 1911; Avanti!, A Castellammare di Stabia, articoli in  prima pagina, 29 aprile e 3 maggio 191.

12. Il 14 marzo 1912 il Re Vittorio Emanuele III subì un attentato, mentre intorno alle 10,30 si recava al Pantheon in compagnia della consorte, ad assistere alla messa funebre celebrata ogni anno in memoria del padre, Umberto. A tentare il regicidio, sparando due colpi di rivoltella, fu il giovanissimo anarchico individualista, Antonio D’Alba, successivamente condannato a 30 anni di reclusione.

13. La Propaganda n° 975, 16 maggio 1912. 

14. R.Scala, Centodieci anni di sindacato, cit., p. 163.

15. L’Unità, Castellammare,3 maggio 1924.

16.  L’Unità,  A Castellammare di Stabia, 6 maggio 1926.

17. Avanti!, Il proletariato dell'Italia meridionale ha celebrato ovunque il 1° maggio, 7 maggio 1944.

18. La Voce, 1° maggio a Castellammare, 30 aprile 1948.

19. J.Rifkin, La fine del lavoro, Arnoldo Mondadori Editore,  Milano, 2002.

 

 

 

 

 

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