"Ha da passà a’ nuttata". Ripensando Eduardo
Ce l’ho davanti agli occhi la maschera di Eduardo, scavata nel volto, mentre, assettato o’ tavolo nell’attesa del giorno, fissa il letto in cui giace Rituccia. Parole che a distanza di 75 anni fanno eco nelle tenebre di oggi! A nuttata era la metafora di quella tragica guerra, solo evocata da Gennaro Jovine, che a noi piccoli veniva riesumata dai grandi a’ sera a meza voce ‘ntuorno o’ vrasiere: la fuga nei ricoveri, le file e il pane con la tessera, la polvere di piselli, i morti sotto le macerie; quelle macerie che la mattina nell’andare a scuola, accompagnati mano a mano, testimoniavano l’atrocità dei racconti. Un parto d’amore era stato quello nostro, per quell’averci concepito ancora sotto l’eco delle bombe, a consumare quelle unioni prima solo legate in Municipio per assicurare alla propria femmena quel sussidio che le avrebbe garantito la sopravvivenza nel caso di non ritorno. Parte di quella nuttata era anche il post bellum che Gennaro/Edoardo vedeva dipanarsi “dint’ e ccarte’ e mille lire che fanno perdere ‘a capa” accumulate da Amalia col mercato nero, nel delinquere del figlio, nella perdita d’innocenza di Maria Rosaria. L’allegoria del dramma diveniva anticipazione dei tempi: rottura dei rapporti di solidarietà, dismisura della ricchezza, relativismo etico, degrado di un popolo in massa.
Negli anni a venire capitalismo e liberismo avrebbero completato quel triste presagio, trasformando l’uomo in uno schiavo di merci partorite da macchine che avrebbero dovuto renderlo libero. Ma per quanto profetico, Edoardo nel ’45 (l’anno in cui scriveva) non avrebbe potuto anticipare il precipitare dei tempi, anche se poi li aveva vissuti a uocchie asciutti, come la sua Filumena, e ignoto gli sarebbe rimasto, silente nell’attesa, il convitato di pietra seduto allo stesso suo tavolo, anche lui in attesa del termine della notte. Quella Natura che l’Uomo nella sua spasmodica ricerca di ricchezza (come Amalia) avrebbe depauperata fino a renderla irresiliente, avrebbe defraudata (come Amedeo) fino all’immiserimento, avrebbe violato (come Maria Rosaria) fino allo sfinimento. E’ per l’assenza di questo riscontro post eventum che “Napoli milionaria” si chiudeva con quella stessa speranza che giustificava il gesto dei nostri cari. Sarà Riccardo Spaziano, il ragioniere che Amalia aveva spogliato di tutti i suoi beni, a portare quella medicina che salverà Rituccia, estremo gesto di una solidarietà prima negata, che chiede in cambio solo il dono dell’ascolto. A distanza di trequarti di secolo possiamo dire che quella medicina noi non l’abbiamo saputa, né voluta assumere, mentre irretiti dalla schizofrenia mediatica ci chiudevamo nel nostro solipsismo produttivo. Quella nuttata non solo non è passata, ma nell’incubo presente di questa guerra invisibile, chiusi nelle case come topi, distanziati anche negli affetti, privati delle libertà naturali, viviamo un’oscurità che non sembra avere speranze, rei di aver trasformato la virtù della conoscenza nell’usurpazione del divino. Nessuna più potente metafora di questo tempo è infatti il Bergoglio sferzato dalla pioggia ai piedi del crocifisso in una piazza deserta. Il deus ex machina edoardiano ha disdegnato la carne di un ragioniere, negandosi absconditus per il perdono paterno. Resta l’uomo in ginocchio dinanzi ad un pezzo di legno nel gelido abbraccio di un colonnato lapideo.
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